Le teorie del complotto antisemite su Soros e la “sostituzione etnica”
Ciononostante, solo il 22 per cento degli ebrei-americani si fida di Trump nella lotta all’antisemitismo. Anzi, durante la sua amministrazione, quasi il 60 per cento di loro riteneva che il leader repubblicano avesse avuto delle responsabilità per le sparatorie nelle sinagoghe di Pittsburgh e Poway, perpetrate da suprematisti bianchi che credevano nella teoria del complotto della Grande Sostituzione.
L’attentato di Pittsburgh, nel 2018, era infatti arrivato nelle stesse settimane in cui i repubblicani, tra cui Gaetz, incolpavano i democratici e George Soros di aver finanziato una carovana di migranti diretta dal Messico alla frontiera americana. Lo stesso Trump non aveva escluso che, dietro la vicenda, ci fossero i soldi di Soros. Il filantropo di origine ungherese ha ormai sostituito, nell’immaginario antisemita, i banchieri Rothschild nel ruolo del finanziere ebreo internazionale – sia capitalista sia marxista a seconda delle convenienze – che destabilizza il mondo grazie alla sua ricchezza e ne orienta il corso degli eventi.
Trump se ne sente perseguitato, lo ha anche accusato di aver manovrato il procuratore distrettuale di Manhattan Alvin Bragg affinché lo incriminasse per il caso dei pagamenti all’ex pornostar Stormy Daniels illecitamente distratti dai fondi elettorali. «Odia l’umanità. Vuole erodere il tessuto stesso della civiltà», ha detto di Soros Elon Musk, che lo ha paragonato a Magneto, il cattivo della Marvel sopravvissuto all’Olocausto.
Per sottrarsi alla disapprovazione delle associazioni ebraiche, alcune figure della destra americana hanno costituito un gruppo, “ebrei contro Soros”, con l’intenzione di dimostrare che si può attaccare il finanziere senza essere antisemiti. Trump ne ha persino nominato uno dei promotori, Will Scharf, come il prossimo segretario dello staff alla Casa Bianca.
In generale, il presidente eletto sembra circondarsi di un po’ troppe persone con precedenti inciampi antisemiti. Musk, ad esempio, è andato ben al di là di una battuta di cattivo gusto su Soros: dopo l’acquisto di Twitter, ha reinsediato sulla piattaforma diversi account antisemiti e ha pubblicamente avallato un post contro gli ebrei. La polemica scaturita è stata tale da indurlo a visitare il campo di concentramento di Auschwitz, nel gennaio 2024, per riabilitare la sua reputazione.
Gaetz, che abbiamo sopra menzionato, è stato, inoltre, la prima scelta di Trump come procuratore generale, l’equivalente del ministro della giustizia, prima che si ritirasse per alcuni scandali che lo riguardavano, dall’abuso di droghe alle molestie sessuali nei confronti di una minorenne.
Poi c’è Robert Kennedy Jr, designato come segretario alla salute. Il figlio di Robert e nipote di JFK, da tempo impegnato nella disinformazione sui vaccini, ha ipotizzato che il Covid-19 sia stato ingegnerizzato in laboratorio per risparmiare dal contagio cinesi ed ebrei askenaziti, dando così nuova linfa alle calunnie antisemite medievali sull’origine della peste.
Pur essendosi scusato, non è la prima volta che offende la tragica storia degli ebrei per supportare le sue tesi antivacciniste: nel gennaio 2022, ha impropriamente paragonato la condizione dei non vaccinati a quella di Anna Frank sotto l’occupazione tedesca, relativizzando così la dimensione delle persecuzioni naziste; e nel 2015 ha tirato in ballo l’Olocausto per descrivere gli effetti delle vaccinazioni sui bambini, in primis la falsa correlazione con l’autismo.
La retorica antisemita di Donald Trump
Infine, dobbiamo ricordare quello che, forse, è stato l’incontro più imbarazzante per Trump: la cena nella residenza di Mar-a-Lago, nel dicembre 2022, con il rapper Kanye West, ora meglio noto come Ye, e il negazionista dell’Olocausto Nick Fuentes, che l’artista aveva allora assunto come consigliere per una sua ipotetica campagna presidenziale. Lo staff di Trump e Trump in persona si erano affrettati a prendere le distanze da Fuentes, giurando di non conoscerlo, anche se in quel periodo, era lo stesso Ye a destare indignazione per i suoi elogi a Hitler.
Pur non essendoci alcuna evidenza che Trump condivida le esternazioni antisemite della sua cerchia, ha più volte logorato la sua fama di amico degli ebrei – e persino parente, visto che suo genero Jared Kushner è di famiglia ebraica e sua figlia Ivanka si è convertita alla religione del marito – con diverse uscite che rafforzano secolari stereotipi antisemiti.
In particolare, Trump ha spesso richiamato il tropo della “doppia fedeltà”, secondo cui gli ebrei-americani sarebbero vincolati da un giuramento di fedeltà a Israele, oltre che alla loro patria. «Vi apprezziamo molto, anche noi amiamo il vostro Paese», ha detto Trump nel settembre 2020, durante una telefonata ai leader religiosi ebrei-americani, implicando che questi non siano cittadini americani, ma piuttosto cittadini israeliani con diritto di voto negli Stati Uniti. Che non si tratti di un occasionale défaillance, il presidente eletto lo ha dimostrato in altri contesti, ad esempio riferendosi a Benjamin Netanyahu come al «vostro primo ministro», nel corso di un evento con gli elettori repubblicani ebrei, o parlando dell’ambasciatore israeliano David Friedman come del «vostro ambasciatore», in svariati appuntamenti con gli ebrei-americani.
Trump ha anche insistito su alcune caratteristiche attribuite stereotipicamente agli ebrei, come il fatto che siano bravi negli affari o che usino il loro denaro per ottenere influenza sulla politica: per ben cinque volte – le ha contate il Washington Post – il tycoon ha rifiutato un’offerta economica dalle associazioni ebraiche che, tuttavia, non è mai arrivata.
Proprio perché si reputa così popolare tra gli ebrei da essere potenzialmente eletto primo ministro in Israele, Trump non si capacita del suo scarso seguito elettorale tra gli ebrei-americani.
La sua frustrazione si è così sfogata in ulteriori luoghi comuni sul meccanismo di doppia fedeltà – «ogni ebreo che vota per un democratico dimostra una totale mancanza di conoscenza o una grande slealtà», ha dichiarato nel 2019 – o persino in minacce, come durante l’ultima corsa alle presidenziali, quando ha minacciato gli ebrei-americani che li avrebbe ritenuti responsabili di una sua eventuale sconfitta: «il 60% degli ebrei voterà per Kamala o un democratico. E onestamente penso che dovreste farvi visitare la testa. […] Non sono stato trattato in modo corretto dagli elettori ebrei. Lo sanno che diavolo accadrà se non vincerò queste elezioni? Gli ebrei avranno molto a che fare con questo se succedesse, perché significherebbe che il 60% avrebbe votato per il nemico».
Secondo lo storico Timothy Snyder, Trump ha una visione degli ebrei che si ricollega, in maniera preoccupante, all’antisemitismo hitleriano, per almeno cinque convinzioni in essa contenuta: 1) che gli ebrei possano essere valutati come un gruppo etnico a sé stante; 2) che gli ebrei siano tenuti a passare un test di lealtà; 3) che gli ebrei abbiano più potere degli altri; 4) che un voto ebraico all’avversario politico lo renda illegittimo; e 5) che gli ebrei tradiscano alle spalle.
Se, quindi, da un lato la nuova amministrazione Trump agiterà strumentalmente l’accusa di antisemitismo per accreditarsi come protettrice degli ebrei-americani e dello Stato di Isreale, dall’altro, ancora prima di partire, sta già perpetuando una retorica riconoscibile come antisemita e normalizzando discorsi che, fino a pochi anni fa, erano marginalizzati alla destra più estrema. Non la strategia migliore per tutelare la memoria storica del popolo ebraico e la sicurezza degli ebrei in tutto il mondo.