Nel 2020 la vittoria di Joe Biden era finita al centro di teorie del complotto repubblicane di ogni tipo.
Si parlava infatti di estesi “brogli” da parte democratica; di manipolazioni nel conteggio dei voti da parte dell’azienda Dominion, che fornisce le macchine per il voto elettronico a diversi stati; e addirittura del coinvolgimento dell’Italia nel cosiddetto “ItalyGate”, in cui i satelliti di Leonardo (il gruppo industriale attivo nel settore della difesa) sarebbero stati usati per truccare i voti.
Tutte queste teorie – totalmente false – erano poi confluite nella cosiddetta «Big Lie» («la grande menzogna»), ossia la convinzione che le elezioni fossero state ingiustamente «rubate» a Donald Trump.
Nel rifiutare di ammettere la sconfitta, Donald Trump e il suo entourage le avevano amplificate una dopo l’altra. La campagna di disinformazione era culminata in una serie di cause legali (nessuna delle quali arrivata a giudizio), e soprattutto nel violento assedio al Congresso del 6 gennaio del 2021.
Durante l’ultima campagna elettorale, le teorie del complotto elettorali da parte repubblicana sembravano destinate ad avere un ruolo rilevante. Alcune di esse erano già state formulate preventivamente, anche dallo stesso Trump.
La vittoria del candidato repubblicano ha però cambiato radicalmente lo scenario. Da un lato ha fatto scomparire di colpo quelle della destra statunitense; dall’altro ha portato alla luce teorie di segno opposto, diffuse cioè da ambienti liberal e personalità social-mediatiche democratiche.
Le speculazioni sui satelliti di Starlink e la campagna #DoNotConcede
Molte di queste, come ha riportato la giornalista Taylor Lorenz nella sua newsletter UserMag, sono apparse principalmente su Threads e pure su altre piattaforme.
Una delle più gettonate riguarda Elon Musk, che ha appoggiato esplicitamente Donald Trump e sarà il responsabile del nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa. Secondo diversi utenti su TikTok e X – tra cui la nota scrittrice Joyce Carol Oates – l’imprenditore sudafricano avrebbe utilizzato Starlink (il suo sistema di Internet satellitare) per hackerare le attrezzature del conteggio dei voti e alterare il risultato elettorale.
Nel tentativo di occultare le prove, Musk avrebbe poi distrutto un satellite di Starlink nella notte tra il 9 e il 10 novembre del 2024. Per quanto quest’ultima circostanza sia vera (un satellite si è effettivamente disintegrato nella fase di rientro), tutto il resto è falso.
Come hanno spiegato varie testate, le macchine per il conteggio non sono collegate alla rete Internet né tanto meno hanno dispositivi di connessione Wi-Fi, radio o Bluetooth: non possono essere dunque manipolate da remoto in alcun modo. Paradossalmente, sottolinea un articolo pubblicato su Daily Dot, queste speculazioni ricalcano in maniera pressoché identica quelle dell’ItalyGate – solo che sono a parti invertite.
Secondo un’altra teoria, circolata nell’immediatezza del voto, le elezioni sarebbero state truccate da Peter Thiel (uno dei magnati della Silicon Valley più vicini ai repubblicani, nonché ex socio d’affari di Musk), Steve Bannon (ex consulente strategico di Trump) e Vladimir Putin perché mancherebbero all’appello circa «20 milioni di voti democratici» rispetto alle precedenti presidenziali.
Per questo motivo Harris non dovrebbe ammettere la sconfitta, ma chiedere un riconteggio. Questa richiesta – che la candidata ovviamente non ha accolto – è stata espressa da centinaia di utenti su X, che hanno mandato in tendenza l’hashtag #DoNotConcedeKamala, traducibile per l’appunto come «Kamala non ammettere la sconfitta».
A scrutinio completato, in realtà, i voti che Harris ha perso rispetto a Biden sono circa dieci milioni; e sono spiegabili attraverso vari fattori politici, economici, comunicativi e demografici – di certo non con imprecisate cospirazioni o denunce di brogli inesistenti.
Come ha spiegato in una nota ufficiale Jen Easterly, direttore dell’Agenzia per la cybersicurezza e la sicurezza delle infrastrutture (CISA) che si occupa di sorvegliare sulla correttezza delle votazioni, le presidenziali si sono svolte regolarmente e «senza alcuna interferenza sull’integrità del processo elettorale».
“BlueAnon” e il crescente complottismo tra i progressisti statunitensi
Non è la prima volta che, in tempi recenti, utenti di orientamento progressista rilanciano teorie del complotto di questo tipo.
Dopo il tentato omicidio di Trump dello scorso luglio si era fatta strada la tesi dell’«auto-attentato». Sui social, soprattutto X, erano stati avanzati dubbi sul fatto che la ferita dell’allora candidato repubblicano fosse vera; si era sostenuto che la sparatoria fosse una false flag – cioè un’operazione sotto falsa bandiera – organizzata dalla campagna di Trump; e si era parlato di una vera e propria messinscena a fini elettorali.
E ancora: dopo il primo dibattito televisivo tra Donald Trump e Joe Biden, diversi utenti democratici avevano imputato la disastrosa performance del presidente all’illuminazione scelta dalla CNN, che l’avrebbe «reso pallido come un fantasma».
Sempre su X, altri utenti avevano sostenuto che l’intervista di Biden ad ABC News – organizzata dopo il dibattito per dissipare (invano) i dubbi sulla sua salute fisica e mentale – non sarebbe andata per il verso giusto a causa di un presunto abbassamento della qualità audio per far apparire il candidato democratico vecchio, debole e confuso.
Questa specifica forma di complottismo progressista ha ormai un nome: “BlueAnon”, un gioco di parole tra «Blue» – il colore ufficiale del Partito Democratico statunitense – e QAnon, il movimento complottista trumpiano.
Il termine circola ormai da qualche anno ed è nato a destra, quando tra il 2020 e il 2021 degli influencer conservatori l’avevano utilizzato per screditare i democratici e negare alla radice l’esistenza di interferenze russe durante la campagna elettorale del 2016 – interferenze poi accertate da quattro indagini diverse condotte da organismi parlamentari e agenzie di sicurezza federali.
Sempre intorno allo stesso periodo, alcuni osservatori avevano rilevato la crescente diffusione di teorie del complotto anti-Trump di segno liberal. Come aveva scritto il giornalista Mike Rothschild in un articolo su Daily Dot, «i quattro anni di presidenza Trump sono state costellati da discussioni sul suo presunto status di spia russa, sulle sue finanze, sulla sua salute, e addirittura sull’ipotesi che sua moglie [Melania Trump] sia stata rimpiazzata da una sosia».
L’effetto cumulativo delle teorie del complotto a favore e contro Trump, proseguiva Rothschild, «hanno reso estremamente difficile discutere di politica in modo razionale […]. Invece di adottare un rigoroso scetticismo, stiamo scivolando sempre di più verso spiegazioni intrise di complottismo».
Naturalmente, tra QAnon e BlueAnon c’è una grossa differenza: il primo è ormai parte integrante della propaganda repubblicana, ed è stato apertamente rilanciato da Trump in migliaia di occasioni. Il secondo invece non è stato adottato da alcun parlamentare o funzionario democratico, e rimane dunque confinato in sacche dell’elettorato progressista.
Ma ormai è un fenomeno impossibile da ignorare. Dopotutto, ha detto Imran Ahmed dell’ong anti-estremismo Center for Countering Digital Hate, le teorie del complotto servono anche a «colmare il divario tra le aspettative e la realtà». E di fronte alla prospettiva di altri quattro anni di Trump, BlueAnon non scomparirà così facilmente.