Tra il leggendario assedio di Troia e il D-Day in Normandia, infatti, di operazioni di disinformazione ce ne sono state molte e non sempre sul piano strettamente militare, per quanto comunque nell’ambito di conflitti. Gli stessi nazisti, oltre alla disinformazione sistematica, con tanto di ministero della propaganda, giustificarono l’invasione della Polonia simulando di aver subìto un’aggressione. Il 31 agosto 1939 la polizia segreta tedesca inscenò la distruzione di una stazione radio nella città di Gliwice da parte di soldati polacchi. I tedeschi uccisero dei loro prigionieri dopo averli vestiti con uniformi naziste, incolpando i polacchi per il presunto attacco. Una messinscena in base alla quale il giorno seguente Hitler ordinò all’esercito di entrare in Polonia. In pratica, i tedeschi hanno usato una storia falsa per legittimare l’inizio delle ostilità che sarebbero poi sfociate nella Seconda guerra mondiale.
Nei conflitti, il piano comunicativo è importante quanto il campo di battaglia, tanto per attirare consensi quanto per risollevare il morale di cittadini e soldati. Per questo, gli obiettivi soliti delle campagne di propaganda militare sono la demonizzazione del nemico, la glorificazione dei propri combattenti e la diffusione di informazioni false o ingannevoli. Tattiche utili per depistare gli avversari oppure guadagnare il supporto delle proprie truppe o dell’opinione pubblica, secondo schemi che oggi sono ben noti ma che venivano utilizzate già da prima che il consenso dei cittadini acquisisse la centralità che ha oggi nei moderni stati democratici nella gestione del potere politico.
Giovanna d’Arco e lo Zio Sam
Durante la fase conclusiva della Guerra dei Cent’Anni, per esempio, nella prima metà del 1400, sia la Francia che l’Inghilterra utilizzarono la propaganda per manipolare la percezione della popolazione e mantenere il sostegno alle rispettive cause. Significativa è proprio la figura di Giovanna d’Arco, contadina-guerriera che che i francesi usarono come simbolo divino di resistenza e speranza. La scrittrice Christine de Pizan, in particolare, scrisse il Ditié de Jehanne d’Arc, un poema che esalta Giovanna come inviata da Dio per salvare la Francia, rafforzando così la legittimità di Carlo VII, allora sovrano francese. Al contrario, gli inglesi la demonizzarono, presentandola come una strega, nel tentativo di minare il morale francese e giustificare le proprie azioni militari. Tanto che, dopo averla catturata, nel 1431, uccisero sul rogo la diciannovenne paladina, al cui destino il re francese si era ormai disinteressato. Anche in questo caso, sulla divinizzazione della Pulzella d’Orleans, oltre che sulla sua capacità di motivare l’esercito con la fede, fu costruito il successo francese nella più lunga guerra della storia umana, durata 116 anni. E gli studiosi ancora oggi dibattono sulla possibilità che lo stesso Ditié de Jehanne d’Arc sia stato pensato e realizzato proprio come strumento di propaganda a sostegno di Carlo VII e della sua causa, sfruttando la figura di Giovanna d’Arco come simbolo di legittimità. Una versione che pare credibile a molti studiosi, sebbene manchi una visione completa e definitiva di come Christine intendesse distribuire il poema e a che scopo, anche per via della scarsità di fonti e documenti.
Secondo schemi simili, le campagne di propaganda o disinformazione sono una presenza costante anche in conflitti ben più recenti. Le rivoluzioni francese e americana, le due guerre mondiali, la guerra del Vietnam, del Golfo, delle Falklands: in tutti questi conflitti le campagne di manipolazione delle informazioni hanno avuto un ruolo cruciale per ottenere l’appoggio alla causa. I vari governi in guerra hanno sfruttato i vari mezzi di comunicazione nati nel Novecento per diffondere messaggi a loro utili oppure omettere le notizie che preferivano non arrivassero ai cittadini o alle truppe. Anche la scelta di non diffondere alcune notizie, infatti, può portare vantaggi a chi ha interesse a tenerle celate: la censura è uno strumento di controllo delle informazioni molto antico, e se ne trovano riferimenti già nella Bibbia. Platone la riteneva addirittura un elemento necessario della sovranità, argomentazione poi presa in prestito da vari regimi autocratici. Il termine propaganda, invece, si è guadagnato l’attuale accezione negativa durante le Prima guerra mondiale e poi a causa dell’intensivo ricorso che ne hanno fatto i regimi nazista e fascista. Durante il primo conflitto mondiale, i governi si resero conto che per mantenere il morale alto, reclutare soldati e ottenere il sostegno economico della popolazione, dovevano controllare e indirizzare l’informazione.
Entrambi gli schieramenti crearono uffici governativi dedicati. Nel Regno Unito fu istituito il War Propaganda Bureau (Ufficio della propaganda di guerra, in italiano) nel 1914, con il compito di produrre materiali propagandistici a sostegno dello sforzo bellico, con qualche risultato: ad esempio, nel 1917, i giornali britannici come il Times e il Daily Mail pubblicarono una storia macabra secondo cui i tedeschi stavano estraendo grasso dai corpi dei soldati morti, sia tedeschi che alleati, per produrre sapone e margarina. Alla stampa la soffiata arrivò proprio dalle autorità inglesi che, pur consci della sua falsità, la usarono per alimentare l’odio verso i tedeschi e descriverli come barbari.