Le principali compagnie di tabacco formarono delle coalizioni per difendere i loro interessi economici, fondando organizzazioni come il Tobacco Industry Research Committee (TIRC), un’entità che sosteneva di condurre studi indipendenti per valutare i rischi del fumo. In realtà, il TIRC aveva lo scopo primario di seminare incertezza sull’evidenza scientifica consolidata sui danni da fumo. Attraverso campagne pubblicitarie e relazioni false, si fece passare l’idea che non esisteva una prova definitiva e consenso tra gli studiosi sul legame tra fumo e cancro. L’industria finanziò direttamente scienziati e ricercatori per pubblicare studi “controversi” che gettassero ombra sulle conclusioni già ampiamente accettate. Lo scopo era intorbidire la discussione scientifica sul tema per rallentare la regolamentazione del tabacco e far sì che la popolazione continuasse a percepire il fumo come non particolarmente pericoloso, così da indurre le persone a sottostimare i rischi per la propria salute, in modo che continuassero a consumare tabacco e ne fossero dipendenti.
Questa strategia iniziò a essere progressivamente smantellata a partire dagli anni Novanta, quando documenti interni delle aziende di tabacco vennero resi pubblici, in seguito a diverse azioni legali. Negli Stati Uniti, le cause più significative sfociarono nel Master Settlement Agreement del 1998, un accordo con il quale le principali compagnie di tabacco accettarono di pagare centinaia di miliardi di dollari agli Stati per i costi sanitari legati al fumo, di limitare la pubblicità del tabacco – soprattutto nei confronti dei giovani – e di creare archivi pubblici con i documenti interni che le aziende avevano tenuto nascosti, tra cui c’è oggi l’archivio digitale Truth Tobacco Industry Documents curato dalla University of California a San Francisco.
Una delle rivelazioni più importanti emerse dai vari documenti fu infatti che l’industria sapeva della pericolosità del fumo già da decenni, ma aveva deliberatamente ingannato il pubblico per difendere i propri interessi economici. Le conseguenze di queste campagne di disinformazione furono immense, con milioni di morti attribuibili alle malattie legate al tabacco.
Non solo fumo, non solo scienza
Nonostante le vittorie legali e le regolamentazioni sempre più stringenti in molte parti del mondo, l’industria del tabacco continua a essere un settore potente e influente, che non abbandona il proprio metodo. Alcune delle stesse tattiche utilizzate a partire dagli anni Cinquanta vengono riproposte ancora oggi, con campagne di disinformazione che mirano a minimizzare i rischi di nuovi prodotti come le sigarette elettroniche.
A fine 2023, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha lanciato la campagna “Stop alle bugie” per denunciare e contrastare le falsità che le aziende produttrici continuano a diffondere. «L’industria del tabacco continua a mentire al pubblico, utilizzando diversi modi per diffondere disinformazione, anche attraverso: gruppi di facciata e organizzazioni terze, influencer sui social media, eventi sponsorizzati, finanziamento di scienziati e ricerche di parte, sostegno ad iniziative di responsabilità sociale d’impresa», si legge nel comunicato, che evidenzia «gli incessanti sforzi dell’industria del tabacco per commercializzare i suoi prodotti ai gruppi vulnerabili, in particolare i giovani».
La Tobacco Strategy, oltre a essere una strategia per offuscare la verità utilizzata ancora oggi, ha anche l’ulteriore cattiva prerogativa di costituire un modello. È conosciuta infatti anche con il più generico nome di Disinformation playbook, ovvero “Manuale di disinformazione”. Più che un vero libro, però, si tratta di una serie di tecniche utilizzate da industrie o grandi gruppi di interesse per scoraggiare la ricerca scientifica che può disturbare i loro affari e inibire l’azione politica – magari necessaria a salvare vite umane – pur di non rinunciare ai propri guadagni.
Oltre che per le sigarette elettroniche, queste tecniche che tentano di minare il consenso scientifico consolidato vengono utilizzate oggi per screditare e sminuire la ricerca sul cambiamento climatico. Nel libro “Merchants of Doubt” – che in italiano sarebbe “Mercanti del dubbio”, anche se non è stato edito in Italia –, gli storici della scienza Naomi Oreskes e Erik Conway spiegano come le stesse tattiche sono state utilizzate per la questione delle piogge acide, il DDT o il buco nell’ozono. Ma la stessa cosa si può dire dell’alcol, con parecchi studi che ne hanno sottostimato i danni ed esagerato i benefici.
Non si è mai trattato, comunque, solo di inquinare il dibattito scientifico. Un altro obiettivo sempre cruciale è impattare in maniera più diretta l’opinione pubblica: tra le tattiche dell’industria del tabacco, c’era anche l’acquisto di spazi pubblicitari sui giornali e la pressione sui media affinché ridimensionassero le notizie sui pericoli del fumo. Addirittura, le pubblicità mostravano dottori consigliare le sigarette, mentre altre associavano il fumo a un fisico atletico e il non fumare all’obesità, retorica ancora oggi alla base di falsi miti e disinformazione sul tema.