Nei giorni scorsi un evento meteorologico estremo ha colpito diversi Paesi del Golfo Persico. Una perturbazione ha scaricato sulla regione una massiccia quantità di pioggia, che ha investito con particolare intensità gli Emirati Arabi Uniti e l’Oman. Come ha riferito l’ufficio per le comunicazioni del governo degli Emirati, il Centro nazionale di meteorologia del Paese ha registrato la più grande quantità di piogge degli ultimi 75 anni. Nell’area della città di Al Ain sono caduti più di 254 millimetri in 24 ore, una quantità superiore alle precipitazioni che di norma si accumulano in un anno e mezzo. Le piogge estreme hanno causato improvvise inondazioni, come testimoniano immagini e video diffusi dai media. Nell’Oman ci sono state 18 vittime. A Dubai, la città più popolosa degli Emirati, l’acqua ha sommerso le strade e le piste dell’aeroporto internazionale. Centinaia di voli sono stati cancellati.
Nonostante il clima arido, forti piogge non sono fenomeni infrequenti nella penisola araba meridionale in questo periodo dell’anno. Ma la portata di questo evento, come dimostrano i dati delle precipitazioni e il loro impatto, è stata eccezionale. Quando hanno iniziato a circolare le immagini di quello che stava accadendo a Dubai, si è sparsa la notizia che le forti piogge fossero state la conseguenza di un’operazione di cloud seeding, che il governo emiratino avrebbe effettuato nei giorni precedenti. L’ipotesi è stata rilanciata da diversi media.
Cos’è il cloud seeding e perché non c’entra con le alluvioni a Dubai
Il cloud seeding – letteralmente “inseminazione delle nuvole” – è una tecnica che consiste nella dispersione nell’aria di sostanze, come lo ioduro d’argento, che dovrebbero funzionare come nuclei di condensazione all’interno delle nuvole e stimolare la caduta di pioggia o neve. Sviluppata negli anni ‘40, è stata impiegata per stimolare le piogge durante periodi di siccità. Tuttavia, dopo decenni di sperimentazioni, le evidenze scientifiche sulla sua efficacia sono piuttosto limitate. Il Centro nazionale di meteorologia degli Emirati gestisce un programma di cloud-seeding, ma ha smentito le affermazioni apparse su alcuni media, affermando di non aver svolto nessuna operazione nei giorni precedenti alle piogge. In ogni caso, diversi esperti di meteorologia, climatologia e idrologia hanno spiegato perché questa tecnica non è la causa dell’evento atmosferico che ha colpito Dubai.
L’Università di Reading, nel Regno Unito, ha pubblicato i commenti di alcuni scienziati dell’ateneo. Come spiega il meteorologo Maarten Ambaum, a causare le precipitazioni estreme e le alluvioni è stato un sistema convettivo a mesoscala, cioè un vasto complesso di temporali che possono scaricare piogge per ore. Una settimana fa il Global Flood Awareness System (GFAS), del programma europeo Copernicus, aveva previsto un elevato rischio di alluvioni, nell’area degli Emirati Arabi Uniti e un forte accumulo di piogge era stato indicato dai modelli, come quello del Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMFW).
Anche se fosse stato eseguito, osserva Ambaum, un intervento di cloud-seeding si sarebbe limitato a colpire singole nuvole già presenti, ma non avrebbe avuto un impatto significativo in un evento atmosferico così vasto ed energetico come quello che ha interessato l’area del Golfo Persico. Come nota il fisico dell’atmosfera Giles Harrison, c’è una sostanziale differenza nella scala dei processi coinvolti e non ci sarebbe stata nemmeno ragione di tentare l’inseminazione delle nuvole in questa circostanza, dal momento che erano state previste forti precipitazioni.
La climatologa Friederike Otto, esperta di studi di attribuzione degli eventi estremi al cambiamento climatico, dice che concentrarsi sul cloud seeding è fuorviante. Questa tecnica non può creare nuvole dal nulla, ma stimola l’umidità che è già in atmosfera a condensarsi più velocemente e a far cadere pioggia su una certa area. Ma per prima cosa, c’è bisogno di umidità. E questo è proprio uno dei parametri che il cambiamento climatico sta influenzando.
L’equazione di Clausius–Clapeyron, legando la variazione della pressione a quella della temperatura in un sistema dove una sostanza si trova all’equilibrio tra due fasi, per esempio liquido e vapore, stabilisce che l’aria trattiene circa il 7 percento di umidità in più per ogni grado centigrado di aumento della temperatura. L’equazione riguarda l’umidità complessiva nell’atmosfera, non predice la quantità di precipitazioni. Il cambiamento climatico, tuttavia, sta intensificando il ciclo idrologico a livello globale, influenzando l’evaporazione dell’acqua dai suoli e le precipitazioni. Questo fenomeno, su scala globale, può tradursi in effetti diversi a livello locale. Anche se può apparire paradossale, questo spiega perché il cambiamento climatico aumenta l’intensità e la frequenza delle siccità e di precipitazioni intense, due fenomeni che sono agli estremi opposti.
Al momento non sappiamo se e quanto il cambiamento climatico abbia influito sulle alluvioni di Dubai. Lo stabilirà, eventualmente, uno studio di attribuzione. Ma, dalle loro dichiarazioni, si evince che gli scienziati sono interessati a leggere questo evento alla luce di quanto sta accadendo nel sistema climatico del pianeta.
Cloud seeding e scie chimiche: spiegazioni infondate, ma rassicuranti
A dispetto delle evidenze, diversi utenti sui social media hanno commentato le alluvioni di Dubai puntando il dito contro il cloud-seeding e invocandolo sia come spiegazione alternativa al cambiamento climatico, sia come conferma della veridicità della teoria complottista delle “scie chimiche”. Il cloud-seeding non ha nulla a che vedere con ciò che quella teoria, priva di fondamento, descrive come “scie chimiche”. Ma nelle visioni complottiste i contorni si confondono: inseminazione delle nubi e “scie chimiche” diventano sinonimi, manifestazioni dell’esistenza di oscuri piani di manipolazione meteorologica.
Il cloud seeding è ormai diventato un filone negazionista climatico. Era emerso anche in occasione delle alluvioni avvenute in Romagna nel maggio del 2023. Gli stessi soggetti che negano che alcune attività umane possano cambiare il clima nel lungo termine danno la colpa ad altre attività umane per singoli eventi atmosferici. I ruoli vengono ribaltati e i veri negazionisti sarebbero quelli che smentiscono che le piogge e l’alluvione di Dubai o dell’Emilia Romagna siano state causate dal cloud-seeding.
Le tesi negazioniste e complottiste si alimentano della necessità di trovare spiegazioni di comodo e ideologicamente rassicuranti di ciò che accade intorno a noi. Il cambiamento climatico riguarda tutti, a partire proprio dalle sue cause. Pur con responsabilità storiche e politiche diverse anche all’interno dei Paesi ricchi, in un modo o nell’altro siamo tutti dentro uno status quo fondato sui combustibili fossili, cioè sulla causa del riscaldamento globale. Chi nega il cambiamento climatico lo fa anche per allontanare da sé la responsabilità di dover prendere atto che questo status quo non può perdurare. Perciò nega che lo stesso cambiamento climatico abbia già destabilizzato e stravolto la realtà in cui siamo nati e cresciuti.
Al contrario, accusare il cloud-seeding, le inesistenti scie chimiche, o altre singole entità, permette di spostare l’intera responsabilità di ciò che accade su soggetti diversi da se stessi, dalla propria comunità o dal proprio Paese: un governo straniero, un’organizzazione o un qualsiasi agente dipinto come malvagio e nemico. “Se è colpa del cloud-seeding o delle scie chimiche allora io non c’entro nulla”. Per convincersi di questo, si è disposti a credere che un po’ di ioduro d’argento in una nube possa innescare un enorme sistema di temporali, ma non che, come ha dimostrato la scienza, decine di miliardi di tonnellate di gas serra emesse ogni anno in atmosfera possano aumentare la temperatura del pianeta. Ma questa è la confortante menzogna del negazionismo climatico.