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Il mito della CO2 che “fa bene” non è scienza, è propaganda

Un articolo del quotidiano La Verità rilancia una tesi negazionista sul cambiamento climatico

20 gennaio 2025
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«Negli USA finalmente si riconosce che l’anidride carbonica fa bene».

Il clamoroso annuncio lo ha dato il 15 gennaio un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità, firmato da Franco Battaglia. «Il Senato del Wyoming presenta un provvedimento per preservare i livelli della CO2», recita il sottotitolo.

La notizia è che nella legislatura dello Stato del Wyoming è stato depositato un disegno di legge, intitolato: «Make Carbon Dioxide Great Again- No Net Zero» («Fare di nuovo grande l’anidride carbonica- no alle emissioni zero»), che ricalca il motto trumpiano «Make America Great Again».

Sponsor del disegno di legge sono infatti due repubblicani. Uno è il rappresentante John Bear, nativo del Missouri ma residente a Gillette, uno dei santuari dell’industria del carbone negli Stati Uniti. La cittadina, 33mila abitanti, si trova in un bacino che fornisce più del 40 per cento del carbone del Paese. Questa informazione dovrebbe essere sufficiente a chiarire le ragioni del suo impegno per aumentare, invece che azzerare, le emissioni di CO2.

Secondo Battaglia, invece, «nel disegno di legge si riconoscono finalmente le ragioni della conoscenza che proviene dalla scienza migliore». Professore di chimica fisica che non si è mai occupato di cambiamento climatico, Battaglia è noto per le sue posizioni contrarie al consenso scientifico in materia. In questa veste, è intervenuto in più occasioni anche in alcuni programmi televisivi.

Per il collaboratore del quotidiano La Verità, «la scienza migliore», cioè quella sponsorizzata dai repubblicani del Wyoming, sarebbe la seguente:

«La CO2 è un nutriente fondamentale necessario per tutta la vita sulla terra. Le piante hanno bisogno di anidride carbonica insieme a luce solare, acqua e sostanze nutritive per prosperare. Il ciclo del carbonio, in cui la CO2 viene riutilizzata e trasferita tra l’atmosfera e gli organismi sulla terra, è una necessità biologica per la vita sulla terra. La produzione agricola mondiale sta superando la crescita della popolazione e sta battendo i record di produzione anche grazie all’aumento di CO2 atmosferica. L’aumento di CO2 consente alle piante di resistere meglio alla siccità utilizzando l’acqua in modo più efficiente. La Terra ha bisogno di CO2 per sostenere la vita e aumentare la resa delle piante, contribuendo così alla salute e alla prosperità di tutti i cittadini del Wyoming».

In sintesi, la tesi dei repubblicani del Wyoming e di Battaglia è: la CO2 fa bene alle piante, perciò anche a noi.

Questo è uno di quegli slogan che illustrano alla perfezione come funzionano le tattiche negazioniste: toglie di mezzo ogni complessità scientifica, risultando quindi semplice da comunicare; suona plausibile, perché fa leva su nozioni elementari e alla portata di tutti su come funziona la natura; la sua continua ripetizione lo trasforma in un mito che si tramanda nel tempo, e che oggi circola in Rete, di profilo in profilo, di sito in sito, come un meme; infine, contiene un piccolo granello di verità, che viene distorto e ingigantito, fino a nascondere tutto il resto.

Una Terra più verde

Il granello di verità si chiama effetto fertilizzante della CO2. Lo sappiamo tutti: le piante assorbono dall’aria l’anidride carbonica che, con l’acqua e la luce solare, è uno degli ingredienti della fotosintesi. Attraverso questo processo le piante costruiscono la loro biomassa, sintetizzano molecole fondamentali per l’intera biosfera, come il glucosio, e rilasciano nell’aria l’ossigeno che respiriamo.

A questo effetto fertilizzante è da attribuire, in gran parte, un fenomeno che è stato osservato dall’inizio degli anni ‘80: la Terra sta diventando più verde. I satelliti hanno osservato un aumento della copertura vegetale a livello globale. Ci sono altri importanti fattori coinvolti. Tra tutti, l’azoto che si è depositato in grande quantità sul suolo, derivato dall’uso dei fertilizzanti e dalle emissioni di combustibili che contengono ossidi di questo elemento.

Dal 2000 a trainare la tendenza all’inverdimento sono state la Cina e l’India, due Paesi che in questo ventennio hanno impresso una grande crescita alla loro produzione alimentare, grazie all’aumento delle aree coltivate, all’uso dei fertilizzanti e dei sistemi di irrigazione. La Cina, negli ultimi anni, ha anche compiuto sforzi per conservare ed espandere le proprie foreste. 

L’aumento della temperatura è invece responsabile dell’inverdimento dell’Artico, mentre può sfavorire la crescita delle piante ai tropici, dove la temperatura è prossima a quella ottimale per loro. Un Artico con meno ghiaccio e più arbusti non è necessariamente una buona notizia. Al contrario, il cambiamento di colore, da bianco a verde, diminuisce il potere riflettente di questa regione e perciò può amplificare il suo riscaldamento.

Se la Terra è diventata più verde, ciò è la conseguenza di una storia molto recente, quella in cui gli esseri umani sono diventati l’agente capace di esercitare la maggiore influenza sull’ambiente. Come scrivono alcuni scienziati, «è una prova altamente credibile del cambiamento climatico antropico».

Semplificazioni e fallacie

“La CO2 è il cibo delle piante”. Chi si ferma a questa ovvietà, di cui sono consapevoli anche i climatologi, commette una grave fallacia: quella di selezionare un singolo dato, cioè quello che fa più comodo, ignorando tutto il quadro, che è estremamente più complesso. 

Che la CO2 promuova la crescita delle piante è noto dal XIX secolo, quando vennero realizzati gli studi che fondarono la fisiologia vegetale. Fornire CO2 alle piante è una pratica che viene realizzata da tempo all’interno delle serre e in altri luoghi chiusi, che però sono ambienti molto diversi da un campo coltivato o da un bosco.

Per studiare il problema in una situazione più simile a quella reale, sono stati fatti numerosi studi, chiamati “esperimenti di arricchimento della CO2 in aria libera” (Free-Air CO2 Enrichment Experiments, FACE). In questi esperimenti le piante non sono confinate in ambienti chiusi, ma si trovano all’aria aperta, avvolte da un sistema di tubi che rilascia CO2 a concentrazioni controllate. Sono ricerche che vengono svolte ormai da 30 anni e che hanno prodotto una quantità sterminata di dati e centinaia di articoli scientifici. Questa è la «scienza migliore» disponibile, non quella di cui parla l’articolo su La Verità.

Alcuni dei più importanti sono stati realizzati nei laboratori del dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, che iniziò a occuparsi della questione già all’inizio degli anni ‘80. Gli scienziati avevano iniziato a discuterne nel decennio precedente, quando era già evidente che la concentrazione di CO2 nell’atmosfera stava aumentando a causa dei combustibili fossili. 

Alcuni ipotizzavano che l’aumento della fissazione del carbonio attraverso la fotosintesi sarebbe stato abbastanza grande da rallentarlo. Altri erano meno ottimisti. Le conoscenze erano limitate a dati raccolti in serre e i risultati erano difficili da estendere a interi ecosistemi.

Una revisione degli studi, pubblicata nel 2020, ha esaminato i risultati di 30 anni di esperimenti in cinque continenti su una ventina di piante di interesse agricolo. Questi studi hanno fornito evidenze non solo sull’effetto dell’aumento della CO2, ma anche sulla sua interazione con altri fattori come l’apporto di azoto, la temperatura e l’acqua. 

I risultati sono complicati. Il fatto è che le piante non sono tutte uguali. Un’importante distinzione riguarda proprio la fotosintesi. Nel mondo vegetale si sono evolute tre diverse strategie per fissare la CO2 atmosferica. Le piante chiamate C3, che comprendono il 95 per cento delle specie, si chiamano così perché il processo biochimico coinvolge una molecola che contiene tre atomi di carbonio. Sono specie adattate a climi temperati, come il frumento, il riso, la soia, la maggior parte delle specie arboree. Le piante C4, come il mais, il miglio, il sorgo, la canna da zucchero, sono caratteristiche di climi più caldi e secchi. Esiste un terzo tipo di fotosintesi, chiamata CAM.

Dagli esperimenti è emerso che un aumento della concentrazione di CO2 di 200 parti per milione ha migliorato in media del 18 per cento le rese delle piante C3, ma con un adeguato apporto di acqua e nutrienti. La variazione media della resa delle piante C4, come il mais e il sorgo, è stata leggermente negativa, -3 per cento. Un significativo 20 per cento in più è stato osservato solo in condizioni di scarsità d’acqua.

Per mettere in prospettiva cosa significhi un aumento della CO2 come quello sperimentato in queste ricerche, si può considerare che la concentrazione di questo gas serra nell’atmosfera dalla metà, del XIX secolo a oggi, è passata da 280 a 427 parti per milione. 500 è una soglia che potremmo raggiungere a metà di questo secolo. Alcuni esperimenti FACE si spingono anche oltre. 

Un effetto della CO2 sulle piante è quello di regolare l’apertura dei loro stomi, cioè pori attraverso i quali vengono scambiate i gas con l’ambiente esterno. Il loro grado di apertura un compromesso tra la necessità di mantenere un elevato tasso di fotosintesi e contenere la perdita d’acqua. Generalmente, le piante all’aumentare della CO2 diventano più brave a usare l’acqua. Hanno dunque ragione i Repubblicani del Wyoming?

Gli studi FACE non sono stati pensati per incoraggiarci a pompare CO2 nella nostra atmosfera per sfidare la capacità di resistenza delle piante. La loro giustificazione scientifica deriva dalla necessità di capire in che modo gli organismi vegetali, a partire da quelli di cui ci cibiamo, possano adattarsi a un’atmosfera in rapido cambiamento. Circa la metà dell’aumento di questo gas serra si è materializzato nell’ultimo mezzo secolo. È un intervallo temporale che sfida le capacità di adattamento, sia delle piante che degli umani.

Gli esperimenti FACE ci suggeriscono che, in condizioni di siccità, non ci sarebbero benefici di un aumento della CO2 sulle rese delle colture C3 se non si fornisse loro più acqua. Proprio il fattore che entra in crisi durante le siccità, che il riscaldamento globale sta aggravando

Come spiegano alcuni scienziati, quando gli studi FACE sono iniziati ci si attendeva che l’effetto fertilizzante della COavrebbe compensato le perdite dei raccolti causati dalla siccità. Ma gli esperimenti più recenti non hanno supportato questa ipotesi.

Ci sono altri fattori limitanti. Per esempio, la carenza di nutrienti, come l’azoto e il fosforo, possono minimizzare gli effetti della CO2 sulla crescita delle piante. Inoltre, ogni specie, comprese quelle agricole, presenta una temperatura ottimale per la crescita, che diminuisce man mano che le temperature si discostano da questo valore. Allo stesso modo, esiste un intervallo di temperature entro cui una pianta produrrà semi e al di fuori del quale non sarebbe in grado di riprodursi. Anche una coltura C3 come il riso, che in teoria dovrebbe crescere meglio con più CO2, inizierebbe a soffrire a temperature troppo alte.

Infine, la CO2 non fa distinzioni tra piante di cui abbiamo bisogno e altre di cui faremmo a meno. Come spiega una revisione degli studi, è probabile che il cambiamento climatico influenzi la crescita sia delle piante che ci interessa coltivare, sia di quelle infestanti che le danneggiano, avvantaggiando a volte le prime, altre volte le seconde, che peraltro possiedono una capacità di adattamento allo stress potenzialmente più alta, grazie alla loro maggiore diversità genetica.

Basterebbe questo per dimostrare a quale livello di disastrosa semplificazione arriva chi propone leggi per «fare di nuovo grande la CO2».

I benefici sono già finiti

Un numero crescente di ricerche sta dimostrando che l’aumento della CO2 non si limita a influenzare la crescita delle piante peraltro, come abbiamo visto, in modo complesso e variabile ma anche il loro contenuto di nutrienti. Alcuni ricercatori hanno indagato i meccanismi fisiologici e molecolari alla base di quello che definiscono un «cattivo affare» per le piante. 

L’aumento della concentrazione atmosferica di CO2, osservano, ha un impatto sulla fisiologia delle piante che va oltre il modo in cui fanno la fotosintesi. In particolare, riduce le concentrazioni di molti nutrienti minerali nei tessuti vegetali.

Uno studio, dal titolo eloquente («L’aumento di CO2 minaccia l’alimentazione umana»), ha testato le concentrazioni di nutrienti nelle parti edibili di diverse varietà di riso, grano, mais, soia, piselli e sorgo. A concentrazioni di 550 parti per milione hanno riscontrato quantità ridotte di ferro, zinco e proteine.

Un altro studio si è concentrato sul riso, una pianta che da sola fornisce circa il 20 per cento delle calorie globali. Analizzando 18 varietà genetiche di riso, i ricercatori hanno trovato una correlazione tra l’aumento della CO2 e la diminuzione del contenuto di proteine, ferro e alcune vitamine.

Questo fenomeno non è stato riscontrato solo nelle piante di interesse agricolo, studiate in condizioni sperimentali, ma anche all’interno di intere foreste. Secondo alcuni scienziati, negli ultimi tre decenni le concentrazioni di diversi elementi, tra cui azoto, fosforo, potassio, sono diminuite significativamente nelle foreste europee.

In effetti, un esperimento di aumento della CO2 su scala planetaria è in corso dall’inizio della Rivoluzione Industriale. Lo stiamo conducendo noi, utilizzando i combustibili fossili. 

Un’analisi di campioni di grano raccolti tra il 1850 e il 2016, provenienti da archivi ed erbari in tutto il mondo, ha evidenziato una crescita del contenuto di carboidrati, ma un impoverimento di quello di proteine e minerali. Lo squilibrio tra carboidrati e proteine ​​risulta «particolarmente marcato» dagli anni ’60, quando le emissioni di CO2 hanno subito un’impennata.

Da diverse ricerche si comprende che lo squilibrio tra l’assorbimento di carbonio e altri elementi, come azoto e fosforo, ha delle conseguenze che vanno oltre la singola pianta, diventando ecosistemiche. Finora le foreste ci hanno dato una mano a tamponare l’eccesso di COche noi esseri umani, perturbando il ciclo del carbonio, abbiamo mandato in atmosfera. Questo soccorso non durerà all’infinito, anche perché le nostre emissioni di carbonio stanno proseguendo.

Per decenni, la metà della CO2 che abbiamo prodotto, bruciando carbone, gas e petrolio, è stata assorbita dalle foreste e dagli oceani. A nostra volta, abbiamo fornito alle piante grandi quantità di carbonio e azoto, riversando questi elementi nell’ambiente, ma spingendo così al limite due fondamentali processi globali. È una specie di gioco di azioni e reazioni, che a un certo punto, per noi, finisce. 

Come hanno scritto alcuni scienziati, stiamo attraversando un momento di passaggio da un periodo dominato dall’effetto fertilizzante della CO2 a un periodo dominato dall’aumento della temperatura, causato dalla stessa CO2. Significa che, come noi umani, anche gli ecosistemi sono sottoposti a stress sempre maggiori a causa degli effetti del riscaldamento globale, come siccità e ondate di calore.

Le emissioni di CO2 avranno anche contribuito a rendere la Terra un po’ più verde, ma nel frattempo l’hanno anche riscaldata. L’effetto fertilizzante sulle piante non può in alcun modo compensare quello dell’aumento della temperatura. Questa tendenza è già in atto e il cambiamento climatico non farà che intensificarla.

Propaganda spacciata per scienza

Con il mito della CO2 che fa bene alle piante, i negazionisti climatici pretendono di isolare un singolo fenomeno, ignorando di proposito tutti gli altri. Dalla fisiologia delle singole piante, fino ai processi che avvengono sulla scala di interi biomi, la complessità scompare dal quadro.

 Infatti, anche fingendo che il singolo effetto fertilizzante della CO2 sia infinito e foriero di soli benefici, e come abbiamo visto non così, questa non è l’unica cosa che succede quando aumenta nell’atmosfera questo gas serra. La distruzione dei ghiacci del pianeta, le ondate di calore, le siccità, le piogge estreme, sono tutte conseguenze delle emissioni di CO2. Il loro impatto per noi umani, ma anche per altre specie e per gli ecosistemi, oscura qualsiasi effetto positivo. Ciò vale anche per le produzioni agricole, le cui prospettive, negli scenari peggiori, non sono particolarmente rosee. E sono quelli a cui andremmo incontro se seguissimo la ricetta dei Repubblicani del Wyoming: pompare ancora più CO2 nell’atmosfera. 

Ma il negazionismo non si cura granché delle proprie debolezze scientifiche e fallacie logiche. Il suo scopo è spacciare la propaganda per scienza. Per perseguirlo non deve nemmeno preoccuparsi di aggiornare le proprie posizioni. Lo dimostra proprio l’origine del mito di cui abbiamo parlato.

Le tesi sostenute nel disegno di legge dei Repubblicani del Wyoming, e rilanciate nell’articolo Franco Battaglia, si ritrovano infatti in un documentario del 1992, intitolato The Greening of Planet Earth. Presentato come un prodotto divulgativo, il filmato era in realtà stato finanziato e confezionato dalla Western Fuel Association, un consorzio di aziende del settore del carbone. Per pubblicizzare questa iniziativa, l’associazione aveva creato un’entità non-profit, oggi defunta, chiamata Greening Earth Society. Di fatto, si trattava della stessa organizzazione. Nel 1998 uscì un sequel, che presentava più o meno le stesse tesi.

L’operazione fu molto ben congeniata e abilmente ammantata di una veste scientifica (in questo, negazionisti e lobbisti dei combustibili fossili sono da sempre piuttosto bravi). Per realizzare questi video furono reclutati anche scienziati di enti governativi, come il Dipartimento dell’Agricoltura, alcuni dei quali dichiararono in seguito di essere stati tratti in inganno, essendo all’oscuro delle intenzioni di dei promotori.

Ma nel 2025, per qualcuno, questa è ancora la «scienza migliore».

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