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Democrazia e verità al tempo della disinformazione

Alcuni esperti replicano a chi sostiene che contrastare la circolazione di notizie false e inaccurate sia impossibile e antidemocratico

28 ottobre 2024
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Un sano dibattito pubblico può reggersi su informazioni false e ingannevoli? La democrazia può fare a meno della verità? Le due domande suonano retoriche e le risposte non potrebbero che essere ovvie: no. Gli interrogativi però sollevano questioni meno ovvie e più complesse, che riguardano, per esempio, la libertà di espressione e la funzione e il comportamento degli organi di informazione in una società aperta. 

Da tempo sentiamo parlare di fake news, cioè notizie false, un’espressione inglese che è ormai entrata anche nel gergo popolare e mediatico. La notizia falsa è vecchia come il mondo, ma il tema delle fake news è esploso nell’ultimo decennio, in particolare in occasione di tornate elettorali come le elezioni presidenziali americane del 2016.

Negli ultimi anni l’espressione fake news ha perso un po’ di smalto, essendosi ormai trasformata in un’etichetta da applicare sopra a qualsiasi notizia o commento sgraditi. 

Quello delle notizie false è del resto un contenitore molto grande, dove è possibile trovare di tutto. Già nel 2017 Claire Wardle, docente di comunicazione alla Cornell University, prendeva atto del fatto che fake news non fosse una definizione utile per approcciarsi a un problema profondo, che riguarda l’intero ecosistema dell’informazione.

Per trattarlo ci servono strumenti, e quindi termini, più precisi. Una classificazione utile a mettere ordine nel calderone delle notizie false è quella che distingue la misinformazione dalla disinformazione. 

Mentre la seconda parola ci è senz’altro familiare, la prima è ancora di uso poco comune nella lingua italiana, essendo di fatto un neologismo che traduce l’inglese misinformation. In sintesi, la misinformazione è un’informazione imprecisa, inaccurata, fuorviante o del tutto falsa; la disinformazione è un’informazione altrettanto falsa, ma confezionata e diffusa con l’obiettivo di ingannare. 

La differenza tra misinformazione e disinformazione risiede, dunque, più nell’intento che nel grado di verità. In un certo senso, possiamo paragonarla a quella tra colpa e dolo. Ognuno di noi può diventare inconsapevole diffusore di misinformazione nel momento in cui rilancia, dentro o fuori dai social media, una notizia falsa o imprecisa.

Il chiarimento terminologico è necessario, perché le parole possono passare di moda o rivelarsi inservibili, mentre le questioni a cui rimandano rimangono attuali e urgenti.

Critica del postmodernismo

In un commento sulla rivista Science, Stephan Lewandowsky ha parlato del rapporto tra «verità e democrazia nell’era della misinformazione». Psicologo cognitivo di formazione, Lewandowsky si occupa di misinformazione, disinformazione e teorie del complotto ed è uno dei massimi studiosi di questi temi. Si è interessato, in particolare, ai fattori che influenzano le opinioni su temi scientifici come i vaccini e il cambiamento climatico.

A giugno, insieme ad altri esperti, era intervenuto per r​​eplicare a chi, anche all’interno della comunità accademica, sostiene che le preoccupazioni per la misinformazione e la disinformazione riflettano una specie di panico morale, cioè un ingiustificato ed esagerato allarmismo. Secondo questi critici, bollare come falsa un’affermazione è problematico, non solo perché spesso è difficile stabilire cosa sia vero e cosa falso, ma anche perché potrebbe costituire una violazione dei principi democratici, una subdola forma di censura di alcune opinioni politiche. Le persone, in fondo, hanno sempre il diritto di credere a ciò che vogliono.

Queste posizioni, agli occhi degli studiosi come Lewandowsky, affondano le radici in una concezione postmoderna, molto relativistica, secondo cui una conoscenza oggettiva sarebbe di fatto impossibile perché qualsiasi affermazione è condizionata dagli interessi e dall’ideologia del suo autore.

Ma esistono dei fatti che si possono definire tali al di là di un ragionevole dubbio e considerare veri per qualsiasi sistema ideologico? L’elenco sarebbe lungo: il cambiamento climatico è causato dalle attività umane, le missioni Apollo sulla Luna non sono state una finzione, Covid-19 non c’entra nulla con il 5G, eccetera. 

A questo proposito, Lewandowsky ricorda un’affermazione dello scienziato Stephen Jay Gould sull’evoluzione biologica come fatto e come teoria: alcuni dati sono stati confermati a tal punto che sarebbe perverso negare loro quantomeno un provvisorio assenso. Dal punto di vista operativo li trattiamo a tutti gli effetti come fatti. L’evoluzione biologica è sia un fatto che una teoria che lo spiega.

Non è sempre così. In molti casi è più complicato determinare l’esatto grado di verità di un’informazione, soprattutto se le evidenze di cui disponiamo sono incomplete e incerte. Ma ciò non rende meno false le affermazioni palesemente false. Allo stesso modo, può essere arduo riconoscere le reali intenzioni di chi fa un’affermazione, che è essenziale per distinguere la misinformazione dalla disinformazione. Ma casi, anche clamorosi, in cui questo è stato possibile non mancano.

Per esempio, oggi sappiamo che la compagnia petrolifera ExxonMobil ha condotto una comunicazione pubblica ingannevole per molto tempo dopo che i suoi stessi scienziati avevano riconosciuto il collegamento tra le emissioni di gas serra, dovute ai combustibili fossili, e il riscaldamento globale.

Verità, libertà, democrazia

Gli studiosi di misinformazione e disinformazione rigettano l’idea che contrastare la circolazione di notizie false e inaccurate sia una pratica antidemocratica. La storia recente dimostra il contrario. Le teorie cospirative sui presunti brogli nelle elezioni presidenziali del 2020 negli Stati Uniti hanno contribuito a fomentare l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e hanno continuato ad avvelenare il clima politico e sociale americano fino ad oggi.

La democrazia, scrivono gli esperti, si regge anche sull’idea di integrità epistemica. Per esempio, i cittadini, per avere fiducia nella legittimità delle istituzioni, devono sapere che le elezioni si svolgono in modo equo e sulla base di precise regole. Un dibattito libero e aperto a tutti, sia nelle istituzioni che nell’opinione pubblica, richiede una base minima di conoscenze condivise. Come possono i cittadini chiedere alla politica di impegnarsi a prevenire certi rischi, per esempio riguardo al cambiamento climatico o il fumo di tabacco, se su questi temi sono poco informati o, peggio, disinformati?

Verità è una parola che può sembrare troppo definitiva ed estrema, espressione di concezioni filosofiche e religiose, di visioni totalizzanti o perfino totalitarie contrarie alla società aperta. Scritta con laV maiuscola fa pensare all’orwelliano ministero della Verità, un’entità mostruosa il cui obiettivo è l’esatto contrario di quello proclamato dal nome. L’idea stessa di un ministero della Verità è incompatibile con quella di democrazia. Ma non bisogna trascurare il fatto che anche in una democrazia esistono, e spesso alla luce del sole, tanti ministri della verità il cui obiettivo non è difendere il nostro diritto di avere delle opinioni e di manifestarle liberamente, ma piuttosto quello di inquinarle.

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