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E quindi cosa voleva fare Musk con quel braccio teso?

Il suo non è un “saluto romano”, ma una strategia di trolling che richiama la gestualità nazifascista

21 gennaio 2025
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Durante un comizio tenutosi ieri alla Capital One Arena di Washington D. C., Elon Musk è salito sul palco per celebrare la vittoria e il giuramento di Donald Trump come 47esimo presidente degli Stati Uniti.

Il proprietario di X ha esordito in modo accorato: «Ecco cosa vuol dire vincere! Questa elezione è stata un bivio per la civiltà umana!». Poi ha ringraziato il pubblico «per averlo reso possibile», e infine ha disteso il braccio destro con la mano tesa. «Il mio cuore è con voi», ha detto per due volte.

Se da un lato quel gesto è stato imputato alla goffaggine di Musk, come ad esempio ha fatto l’ONG Anti-Defamation League che si batte contro l’antisemitismo, dall’altro a molti osservatori e utenti social è sembrato un vero e proprio saluto nazifascista.

La storica Ruth Ben-Ghiat, autrice del saggio Strongmen: Mussolini to the presentAutocrati: da Mussolini ad adesso», non tradotto in italiano), ha scritto senza mezzi termini su Bluesky che «quello è un saluto nazista, e pure parecchio aggressivo».

La reazione dell’estrema destra al gesto di Elon Musk

Di sicuro, come riporta il giornalista Tim Dickinson su Rolling Stone, diversi estremisti di destra l’hanno interpretato in quella maniera.

Christopher Pohlhaus, leader del gruppo neonazista Blood Tribe, ha postato su Telegram la clip del saluto di Musk con la seguente didascalia: «non m’interessa se l’ha fatto per sbaglio, mi godrò le lacrime versate [dagli oppositori] sul gesto». Andrew Torba, fondatore della piattaforma di estrema destra Gab, ha scritto sul suo profilo che «stanno già succedendo cose incredibili». La sezione dell’Ohio del gruppo paramilitare suprematista Proud Boys ha condiviso il video su Telegram con l’esclamazione «Hail Trump!» («salute a Trump!»), che ricalca il motto nazista «Heil Hitler».

Nel 2016 la stessa frase era stata pronunciata dall’ideologo dell’alt-right Richard Spencer subito dopo l’elezione di Trump, nel corso di una conferenza a Washington D. C. Le sue parole erano state accolte dai presenti con parecchi saluti fascisti.

Il sostegno da parte delle frange più estreme è per certi versi scontato. Da quando Musk ha acquistato Twitter, trasformandolo poi in X, ha personalmente ripristinato centinaia di account che erano stati sospesi per aver promosso discorsi d’odio – tra cui quello di Donald Trump, di neonazisti come Andrew Anglin, di estremisti di destra e di complottisti vari, su tutti Alex Jones del sito cospirazionista InfoWars.

Con quella mossa – aveva detto Imran Ahmed, direttore dell’ONG antirazzista Center for Countering Digital Hate (CCDH) – «Musk ha accesso il Bat-segnale per tutti i razzisti, i misogini e gli omofobi, che si sono comportati di conseguenza».

Invece di arginare il problema, segnalato da diversi rapporti, Musk l’ha reso strutturale. È infatti diventato il principale amplificatore di bufale razziste, notizie false, disinformazione transfobica e teorie del complotto xenofobe e antisemite come quella della «grande sostituzione».

Nel quadro delle sue crescenti ingerenze nella politica europea ha inoltre appoggiato pubblicamente Alternative für Deutschland, scrivendo su X e in un editoriale sul quotidiano Welt am Sonntag che solo il partito di estrema destra «può salvare la Germania».

E ancora: ha pure elogiato l’attivista estremista britannico Tommy Robinson (pseudonimo di Stephen Yaxley-Lennon), che è stato il capo del gruppo islamofobo English Defense League e che attualmente è in carcere a scontare una condanna a 18 mesi per aver calunniato un rifugiato siriano.

La questione del «saluto romano» 

Secondo un’altra interpretazione, invece, il saluto di Musk dev’essere considerato un «saluto romano» – ossia una presunta gestualità tipica del periodo repubblicano e imperiale di Roma.

Questa lettura è stata avanzata da Andrea Stroppa, un collaboratore dell’imprenditore sudafricano nonché una specie di portavoce per l’Italia. In un post su X (poi cancellato), ha scritto che «l’Impero romano è tornato a partire dal saluto». In seguito ha precisato che quel gesto non ha nulla a che fare con il nazismo ma è «semplicemente un modo di Elon, che è autistico, per esprimere i suoi sentimenti».

Infine ha ribadito la versione del «saluto romano», spiegando che «durante i discorsi dei generali o degli imperatori (adlocutio cohortium) nell’epoca della Roma antica, venivano compiuti diversi gesti per dare maggiore enfasi al discorso. Uno di questi era alzare il braccio […] Poi, chi vuole attribuirgli altri significati è libero di farlo, magari con un po’ di maalox da assumere come digestivo».

Tuttavia, in base alla ricostruzione di vari storici e autori – tra cui Martin Winkler nel saggio The Roman Salute e Massimo Arcangeli nel recente libro Quel braccio alzato – nell’antica Roma nessuno faceva quel saluto specifico con quel preciso significato politico.

Ci sono gesti simili, fatti soprattutto da oratori o soldati; nella Colonna Traiana, ad esempio, si vedono militari con la mano aperta in segno di saluto. Ma per il resto, non esiste un singolo prodotto artistico del periodo che mostri un saluto del genere. Winkler spiega che non se ne fa menzione nemmeno nella letteratura o nella storiografia dell’età repubblicana o imperiale.

La credenza che nell’antica Roma ci si salutasse così deriva piuttosto dall’epoca moderna. Secondo Winkler c’entrano dipinti neoclassici come «Il giuramento degli Orazi» di Jacques-Louis David del 1784 e «Ave Caesar! Morituri te salutant» di Jean-Léon Gérôme del 1859.

Una variante di questo saluto si faceva anche negli Stati Uniti durante il giuramento di fedeltà alla bandiera: era il cosiddetto «Bellamy salute», che prendeva il nome da Francis Bellamy (l’autore del «Pledge of Allegiance», il giuramento di fedeltà per l’appunto) ed è stato utilizzato fino alla Seconda guerra mondiale.

A rendere veramente popolare il «saluto romano» furono alcuni kolossal cinematografici di inizio Novecento, su tutti Quo Vadis del 1913 e Cabiria del 1914. Il gesto assunse poi tinte politiche sempre più esplicite. Tra i primi ad appropriarsene è stato il poeta Gabriele D’Annunzio – che tra l’altro aveva collaborato alla sceneggiatura di Cabiria – durante l’occupazione di Fiume del 1919.

Da lì in poi venne ripreso dalle camicie nere fasciste, e nel 1925 fu ufficialmente adottato dal regime di Benito Mussolini, che ha sempre fatto della mitizzazione del passato imperiale romano uno dei punti cardine della sua propaganda. Qualche anno più tardi Adolf Hitler fece lo stesso ufficializzando la versione nazista del saluto, leggermente diversa da quella fascista e spesso associata al motto «Heil Hitler».

In altre parole: il «saluto romano» non è mai «romano», ma solo ed esclusivamente nazifascista.

Al di là delle reali intenzioni di Musk – che in un post su X ha indirettamente smentito il riferimento al nazismo – il gesto rientra nella sua collaudata strategia di trolling.

Come ha scritto il giornalista Charlie Warzel sulla rivista The Atlantic, l’imprenditore sudafricano spesso e volentieri «oltrepassa determinate linee rosse con l’intento di offendere e suscitare reazioni forti». E lo fa trincerandosi dietro il paravento dell’«ironia», in modo da schivare le accuse di estremismo e accusare gli oppositori di non saper stare allo scherzo.

Al tempo stesso, però, lancia precisi segnali politici a chi è in grado di andare oltre lo strato ironico e decodificare il vero messaggio. E non è affatto un caso che gli estremisti di destra abbiano rivendicato quel gesto, riconoscendo Musk come uno di loro.

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