Nel caos dei nostri giorni e nel vuoto di potere delle ideologie, i complottisti scorgono un’occasione irripetibile per conquistare il monopolio della narrazione. «Il comunismo è morto, il capitalismo è un dato di fatto. Il cospirazionismo resta così la fede civica del momento, un modo ordinato e curiosamente rassicurante di vedere l’universo. Almeno qualcuno è al comando, anche se è malvagio» prevedeva già nel 1998 l’editorialista di Newsweek Jonathan Alter, commentando l’arrivo del primo film della serie tv X-Files. Rispetto alla concorrenza, le teorie del complotto godono oltretutto di un doppio vantaggio. Il primo è che, proprio per la loro natura esplicativa, riempiono i buchi della realtà meglio di quanto facciano altre tipologie di racconto. Non ci riescono la storiografia e il giornalismo, vincolati alla disponibilità delle fonti e alla parzialità delle testimonianze; non ci riesce la governance politica, che deve fare i conti con i confini del suo campo d’azione e con la sua fallibilità; e tantomeno ci riesce la scienza, i cui studi possono di continuo essere ridiscussi sulla base di ulteriori evidenze empiriche.
Se fa parte del processo di crescita adulta accettare che, nella vita, qualcosa possa andare storto o che non tutto si possa spiegare intuitivamente, perché interviene il caso o entrano in gioco i limiti della conoscenza o semplicemente perché talvolta le persone non agiscono con la linearità che ci si aspetterebbe, nell’ingenuità un po’ infantile delle teorie del complotto non esistono invece incoerenze, contraddizioni, imprevedibilità: tutto è riconducibile a un’inequivocabile causa primaria, la volontà dei cospiratori di fare del male. L’intelaiatura delle teorie del complotto dispone di una solidità e uniformità interne impareggiabili, non solo perché presenta meno lacune rispetto all’esperienza quotidiana della realtà, cui manca invariabilmente almeno un tassello per essere afferrata nella sua complessità, ma anche perché è progettata per resistere a qualsiasi confutazione. In un’epoca assetata di certezze ma assediata da una serie ininterrotta di policrisi – un accavallarsi di più crisi contemporaneamente senza che quelle già scoppiate si siano risolte –, il complottismo si staglia all’orizzonte come l’unica narrazione capace di offrire una risposta definitiva o, quantomeno, un quadro concettuale già predisposto all’interpretazione univoca dei fatti, dato lo scetticismo postmoderno verso le verità assiomatiche. Nella struttura stessa delle teorie del complotto sarebbe dunque custodito anche il rimedio alla crisi della conoscenza che impedisce la via di fuga dall’emergenza permanente. Mentre le ultime ideologie superstiti promuovono una cultura della rassegnazione che comporta l’accettazione sia dello stato attuale delle cose sia della loro limitata conoscenza, il complottismo promette di poter cambiare tutto e di poter sapere tutto. La promessa della conoscenza assoluta è anzi il presupposto della liberazione dall’angoscia.
Il secondo vantaggio delle teorie del complotto riguarda, invece, il loro rapporto intrinseco con la narrativa. Complotti, congiure e cospirazioni sono, infatti, da sempre uno dei motori narrativi prediletti dalla letteratura. Nessuna ideologia politica nella Storia, per quanta propaganda sia stata messa al suo servizio, ha mai avuto la fortuna di costituire quasi un genere narrativo a sé stante o, comunque, trasversale ai racconti di avventura, spionaggio e mistero. Non è un privilegio da poco: significa avvalersi di un intero armamentario di tropi narrativi – personaggi, ambientazioni, situazioni – consolidatisi nella fantasia collettiva per migliaia di anni.
Quando siamo venuti al corrente delle teorie del complotto sulla fuga di Sars-Cov-2 dal laboratorio di Wuhan, ciascuno di noi aveva almeno un riferimento cinematografico cui ancorarle nell’immaginazione, ad esempio Cassandra Crossing (ITA/UK/GERM, 1976) o Virus letale (USA, 1995). Allo stesso modo, quando hanno preso piede le teorie del complotto sul depopolamento pianificato del pianeta, è stato difficile non pensare alle cospirazioni raccontate in romanzi come Inferno (2013) di Dan Brown o in serie tv come Utopia (UK, 2013-2014 e USA, 2020). E come non ricordare che la teoria del complotto più letale del Novecento, i Protocolli dei Savi di Sion, ispiratrice del genocidio nazista degli ebrei, è stata fabbricata dalla polizia segreta zarista proprio assemblando brani di romanzi – Biarritz (1868) di Hermann Goedsche – o testi di derivazione letteraria – I misteri del popolo (1857) di Eugène Sue.
È in questo perenne schema di triangolazioni, in cui l’ideologia del complotto imita l’arte e l’arte prende spunto dalla realtà, che risiede il fascino senza tempo delle teorie del complotto.