
Il trend virale su TikTok che ha resuscitato la teoria del complotto islamofoba di “Eurabia”
In diversi video si immaginano le capitali europee “islamizzate”, con tanto di chiese trasformate in moschee
Negli ultimi mesi, su TikTok è diventato virale un trend molto specifico: quello dei video POV – da «point of view», in prima persona – generati con l’intelligenza artificiale e ambientati nei periodi storici più disparati.
Il capostipite del genere, realizzato dall’account «POV Lab» lo scorso febbraio, è una clip di 46 secondi che mostra la vita quotidiana a Londra durante la pandemia di peste nera del 1351. Il video, realizzato con ChatGPT, ha raggiunto oltre 4 milioni di like e più di 50 milioni di visualizzazioni.
Da allora, come si può notare facendo una rapida ricerca su TikTok, sono state ricreate ambientazioni e impersonificazioni di ogni genere: una persona durante il giorno dell’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei nel 79 d. C.; un minatore in Pennsylvania nel 1905; un soldato in Cecoslovacchia durante la Seconda Guerra Mondiale; un cittadino nell’Antica Roma; la popstar Michael Jackson in un giorno qualsiasi; Anna Frank nel 1944; e così via.
Sebbene questi video siano estremamente popolari e apprezzati, diversi storici interpellati dalla BBC ne hanno evidenziato le imprecisioni e gli errori storici.
Per l’egittologa neozelandese Elizabeth Frood, che è docente all’Università di Oxford, spesso e volentieri il trend «appiattisce civiltà storiche complesse» ricorrendo a stereotipi ormai superati. La storica Amy Boyington dell’Università di Cambridge ha detto che le clip assomigliano più a «un videogioco» perché «mostrano un mondo che dovrebbe essere reale, ma che in realtà è finto».
Inoltre, ha aggiunto, «c’è il pericolo che le persone manipolino la storia» con l’IA: ad esempio, «qualcuno potrebbe creare un video in cui si sostengono tesi negazioniste dell’Olocausto».
152,000,000 views in 2 months.
— Maria Inês (@themariaines) April 5, 2025
Printing an average of 4M views per video...
...every single day.
Some new viral POV x AI format unlocked by tt@timetravellerpov: pic.twitter.com/GHUokzjdXH
L’altro rischio è che l’IA venga sfruttata per portare avanti narrazioni xenofobe; cosa che è effettivamente avvenuta nelle ultime settimane, quando il trend ha preso una piega marcatamente islamofoba.
Diversi account hanno pubblicato video in cui si immagino le capitali europee “islamizzate” in un futuro prossimo – con tanto di strade affollate, sporcizia ovunque, monumenti ricoperti di bandiere islamiche, piazze ridotte a suq caotici, e chiese trasformate in moschee.
Anche Roma e Milano sono state “islamizzate” con l’IA; il video sul capoluogo lombardo è stato ripreso sui profili social dell’europarlamentare della Lega Silvia Sardone. Pur concedendo che si tratta di una «rappresentazione estrema», si legge nella didascalia su TikTok e Instagram, «in tanti quartieri ci sono già immagini simili».
La politica si chiede poi retoricamente: «Vogliamo davvero questo futuro per Milano e le capitali europee? Città piene di veli islamici e senza libertà? Dove la nostra identità e la nostra cultura vengono cancellate? No alla sottomissione!».
Le origini del mito complottista di “Eurabia”
Sardone non è nuova ad affermazioni del genere: anzi, una quota rilevante della sua produzione social è incentrata sulla presunta invasione islamica dell’Italia e dell’Europa, che viene paradossalmente descritta sia come un fatto compiuto che come una minaccia perenne.
Non è l’unica nel partito a farlo, ovviamente. Un’altra eurodeputata leghista, Isabella Tovaglieri, ha costruito parte della sua carriera politica sulla denuncia dell’«inesorabile declino» dell’Occidente a causa dell’inarrestabile «avanzata dell’Islam fondamentalista».
Sia Sardone che Tovaglieri sono delle accanite propagandiste della teoria del complotto di “Eurabia”, che immagina uno scenario distopico in cui l’Europa è caduta nelle mani dell’Islam radicale.
In Italia il concetto è stato introdotto e diffuso soprattutto da Oriana Fallaci. Nel libro La forza della ragione, pubblicato nel 2004, descriveva “l’Eurabia” come «la più grossa congiura della Storia moderna», attraverso la quale l’Europa è stata venduta «come una sgualdrina» ai «sultani, ai califfi, ai visir, ai lanzichenecchi del nuovo Impero Ottomano».
In un articolo sul Corriere della Sera del 2006 la giornalista parlava di «un’Europa che non è più Europa ma Eurabia», dal momento che «in ciascuna delle nostre città esiste […] una città straniera che parla la propria lingua e osserva i propri costumi, una città musulmana dove i terroristi circolano indisturbati e indisturbati organizzano la nostra morte».
Avremmo dovuto ascoltarla tutti... pic.twitter.com/Me50CyHZKJ
— Isabella Tovaglieri (@isatovaglieri) May 27, 2024
Fallaci, come da sua stessa ammissione, non si è inventata nulla. Il termine risale a diversi anni prima ed è stato coniato dalla scrittrice Bat Ye’or, pseudonimo di Gisèle Littman.
Nel corso degli anni Novanta e nei primi Duemila, Littman ha pubblicato una serie di libri in francese in cui raccontava un’immensa cospirazione ordita dalle «élite europee» per regalare il continente ai paesi arabi in cambio di petrolio.
Secondo la scrittrice, questo patto scellerato avrebbe portato l’Europa a essere sottomessa «all’ideologia del jihad e delle potenze islamiche che la diffondono».
La teoria, come ha ricostruito il politologo Eirikur Bergmann nel saggio Europe: Continent of Conspiracies, ha agganci davvero labili con la storia: è piuttosto il frutto di sovrainterpretazioni di complessi rapporti geopolitici tra Paesi europei e arabi, mischiate con falsità islamofobe e tropi complottisti di lungo corso.
A tal proposito, lo storico Robert Wistrich – uno dei più importanti studiosi di antisemitismo – ha scorto nelle opere di Littman delle analogie narrative con I protocolli dei Savi di Sion, arrivando a definirle «i protocolli dei Savi di Bruxelles».
Un’altra smentita alla teoria arriva dai dati, che dimostrano in maniera inequivocabile come non sia in corso alcuna «invasione islamica» dell’Europa. Stando al rapporto Being Muslim in the EU, pubblicato nel 2024 stilato dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, le persone di fede musulmana che risiedono nei Paesi dell’Unione europea rappresentano circa il 5 per cento della popolazione totale.
Secondo una proiezione del Pew Research Center, nel 2050 quella percentuale potrebbe crescere tra il 7,4 e il 14 per cento in base ai flussi migratori. Si tratta di un aumento rilevante, ma comunque non paragonabile a un assedio militare.
In Italia, secondo uno studio del 2024 effettuato dalla Fondazione ISMU ETS, gli stranieri di fede musulmana residenti in Italia sono circa 1,6 milioni. Aggiungendo anche i musulmani “italiani” – i figli dei migranti musulmani, gli stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza e i cittadini convertiti – si raggiunge il 4,7 per cento della popolazione totale.
Come ha sottolineato il sociologo Fabrizio Cioccia in un articolo sulla rivista online Le Nius, esiste dunque «un islam “italiano” sempre meno legato ai fenomeni migratori ma che si sviluppa in modo autoctono all’interno della società». E parlare di «invasione» rispetto a un fenomeno «ormai stabile e duraturo», chiosa, «non descrive in maniera corretta il processo sociale di cui stiamo parlando».
La diffusione di “Eurabia”: dall’11 settembre all’intelligenza artificiale
Nonostante ciò – e nonostante le premesse sballate su cui è fondata – la teoria di Littman ha dimostrato una sorprendente capacità d’adattamento.
La prima ondata di popolarità è arrivata dopo gli attentati dell’11 settembre del 2001. Come ha ricostruito Andrew Brown sul Guardian, il concetto di “Eurabia” è stato ripreso dalla nascente blogosfera di estrema destra e dal movimento della «contro-jihad».
Una delle figure centrali di questa corrente islamofoba è il blogger Fjordman, pseudonimo di Peder Are Nøstvold Jensen. Nel 2008 il norvegese pubblica il saggio Defeating Eurabia («sconfiggere l’Eurabia»), ma diventa noto soltanto tre anni più tardi quando il suo nome viene citato decine di volte nel manifesto del terrorista di estrema destra Anders Behring Breivik.
L’autore dei massacri di Oslo e Utøya scrive esplicitamente che Fjordman è la sua principale fonte di ispirazione intellettuale. Il titolo stesso del testo di Breivik – «Una dichiarazione europea di indipendenza» – è un omaggio a un post del 2007 in cui Jensen scriveva che «stiamo subendo un’invasione straniera e il favoreggiamento di un’invasione costituisce tradimento. Se i non europei hanno il diritto di resistere alla colonizzazione e di volere l’autodeterminazione, allora anche gli europei hanno questo diritto. E intendiamo esercitarlo».
Breivik, in altre parole, ha portato alle estreme conseguenze il messaggio insito nell’idea di “Eurabia”: siccome è in corso un’inarrestabile invasione musulmana del continente, allora bisogna fermarla con ogni mezzo.
Nemmeno le stragi sono però riuscite a rendere politicamente tossico – e dunque inservibile – il mito di “Eurabia”. Al contrario: secondo il regista Paul Greengrass, autore del film 22 luglio, «la visione del mondo e l’impianto intellettuale» di Breivik, di Fjordman e della «contro-jihad» si è «spostato dai margini al centro della scena politica».
Il concetto di Littman ha ricevuto nuova linfa vitale con la cosiddetta crisi dei migranti del 2015, si è fusa con la teoria razzista della «sostituzione etnica» ed è stata progressivamente normalizzata dai media.
La paranoia sull’islamizzazione dell’Europa ha infatti generato un florido sottogenere giornalistico caratterizzato da servizi sui quartieri in cui vige segretamente la sharia, sulle cosiddette «no-go zone» (aree urbane pericolose), sull’influenza surrettizia dell’Islam nelle scuole, e perfino sulla colonizzazione culinaria islamica.
Come ha sottolineato il sociologo Raphaël Liogier su Le Monde Diplomatique, lo spauracchio del grande complotto islamico comporta «una logica di difesa culturale, cioè di difesa dei “valori” e dello “stile di vita” degli europei “autoctoni” messo in pericolo dalle minoranze etniche, di cui i musulmani incarnano l’aspetto più terrificante».
È proprio per questo motivo che la teoria è stata progressivamente inglobata nella propaganda di leader e partiti della destra radicale. Opporsi all’“Eurabia”, prosegue Liogier, permette loro di presentarsi come «i difensori di quei valori, del progresso, della libertà, della democrazia, dell’indipendenza, della tolleranza e della laicità».
L’ultima evoluzione della teoria, per l’appunto, è questa sorta di memificazione estremista attraverso l’intelligenza artificiale generativa. E com’è già successo con la «remigrazione», anche in questo caso l’IA viene utilizzata per visualizzare fantasie xenofobe e complottiste che non hanno nulla a che fare con la realtà.
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