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Quanto è sicura l’acqua di Fukushima rilasciata nel Pacifico

Fukushima ha iniziato il processo di sversamento nell’oceano Pacifico di parte dell’acqua di raffreddamento dei reattori. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia atomica è una scelta sicura

25 agosto 2023
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La centrale nucleare di Fukushima, in Giappone, è diventata universalmente nota a seguito dell’incidente nucleare dell’11 marzo 2011, causato da un terremoto di magnitudo 9 – il quarto più forte mai registrato sulla Terra – e da uno tsunami con onde alte fino a 13 metri. Durante il terremoto, i reattori nucleari sono entrati in fase di raffreddamento per motivi di sicurezza ma, a causa dello tsunami, l’intero impianto è stato sommerso dall’acqua, che ha danneggiato uno dei motori deputati al raffreddamento. Questo ha portato il reattore a surriscaldarsi e, successivamente, incendiarsi. L’emergenza è stata classificata con il grado 7 della scala internazionale usata per valutare gli eventi nucleari (International Nuclear Event Scale, Ines), esattamente come il disastro di Chernobyl del 1986. A differenza del precedente sovietico, tuttavia, a Fukushima la situazione è stata gestita correttamente secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea), con il bilancio ufficiale dei morti ridotto a una sola vittima.

La gestione delle conseguenze dell’incidente continua, però, a sollevare dibattiti e preoccupazioni ancora oggi. Alle ore 6 italiane del 24 agosto 2023, il governo giapponese ha infatti avviato lo scarico nell’oceano Pacifico dell’acqua di raffreddamento dei reattori di Fukushima, ormai pieni a causa delle infiltrazioni nel sottosuolo. Questo processo mira a svuotare gradualmente 10 serbatoi per un totale di circa 31 mila tonnellate di acqua entro marzo 2024. Questa scelta, basata su evidenze scientifiche e considerata sicura dalla Iaea e dalla Tokyo electric power company (Tepco), ha tuttavia sollevato proteste dei Paesi vicini alla centrale, tra cui la Cina, generando un più ampio dibattito circa l’incolumità dell’ambiente, l’industria e la salute umana.

La scienza dietro il rilascio
L’acqua accumulata nei serbatoi della centrale nucleare di Fukushima è stata sottoposta a un rigoroso processo di trattamento, che ha consentito la rimozione di vari isotopi radioattivi, come cesio e stronzio. Sono state usate varie tecniche, tra cui la precipitazione chimica, la filtrazione e l’adsorbimento. Queste tecniche hanno dimostrato di essere efficaci nel ridurre i livelli di sostanze radioattive nell’acqua trattata, anche se un isotopo radioattivo ha dimostrato una maggiore persistenza.

Stiamo parlando del trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno che emette radiazioni beta – potenzialmente pericolose per la salute umana se ingerite, inalate o assorbite attraverso la pelle – durante il suo decadimento nucleare, cioè il fenomeno per cui un nucleo si trasforma in un nucleo diverso con emissione di particelle e radiazione, e che può diffondersi nell’ambiente. È importante notare che il trizio è uno degli isotopi radioattivi meno pericolosi dal punto di vista radiologico, diversamente da sostanze come il cesio e lo iodio. La sua emivita (ovvero il tempo che occorre agli atomi di un campione radioattivo per dimezzarsi) è di 12 anni. Questo significa che l’intensità delle radiazioni emesse diminuisce rapidamente nel tempo. Va precisato che alla data in cui scriviamo sono passati esattamente 12 anni dal disastro di Fukushima, quindi la radioattività è già dimezzata.

Diluizione controllata e monitoraggio
La proposta di rilasciare nell’oceano l’acqua trattata si basa sulla teoria della diluizione controllata. Questo implica che l’acqua trattata venga miscelata gradualmente con grandi quantità d’acqua dell’oceano, al fine di diluire ulteriormente la concentrazione di trizio e di altre sostanze radioattive. Gli esperti ritengono che questa diluizione possa ridurre gli impatti radiologici sugli organismi marini e sull’ambiente circostante. Il monitoraggio costante è fondamentale per valutare l’efficacia della diluizione e gli effetti sulla salute umana e sull’ambiente marino. Protocolli di monitoraggio rigorosi sono necessari per valutare i livelli di trizio e altre sostanze radioattive nell’oceano e nelle specie marine.

Nel caso di Fukushima il procedimento di rilascio è in linea con gli standard di sicurezza internazionali, è costantemente controllato dall’Iaea e, in generale, dovrebbe essere sicuro, dato che l’acqua dell’impianto risulterebbe sei volte meno radioattiva di quella dell’oceano stesso.

Un esempio di diluizione controllata e di monitoraggio nell’ambito nucleare è rappresentato dall’incidente nella centrale nucleare di Three Mile Island negli Stati Uniti del 1979. Nonostante la fusione del nocciolo del reattore, un evento molto grave nella scala Ines, la diluizione dell’acqua contaminata, utilizzata per raffreddare l’impianto, e il successivo monitoraggio ambientale hanno contribuito a contenere la situazione.

Perché questo procedimento porti a risultati sicuri e senza rischi, è essenziale che gli esperti scientifici collaborino con le parti interessate, comprese le comunità locali e quella internazionale, per garantire che la decisione presa sia basata su dati scientifici solidi, e consideri gli impatti a lungo termine sull’ambiente marino, l’industria ittica e la salute umana.

Impatti ambientali ed ecosistema marino
Uno dei principali punti di dibattito riguarda gli impatti ambientali sull’ecosistema marino che potrebbe avere lo sversamento dell’acqua di raffreddamento dei reattori di Fukushima. Gli scienziati hanno confermato che la diluizione avverrà gradualmente e l’acqua che in questo momento è rilasciata in mare ha circa 1.500 becquerel per litro (misura della radioattività), che secondo l’OMS rappresenta circa un settimo del valore massimo accettabile per l’acqua potabile. Quindi un valore che non rappresenta un rischio, anche grazie alle correnti oceaniche, che diluirebbero ulteriormente l’acqua rilasciata dall’impianto. Secondo la Iaea, in diverse centrali nucleari nel mondo il rilascio controllato dell’acqua di raffreddamento degli impianti, dopo averla correttamente diluita, è un’operazione di routine.

Le comunità locali e l’industria ittica sono invece preoccupate per il potenziale impatto economico dell’operazione. In questo ambito il problema non è tanto di carattere scientifico, quanto legato alla percezione dei consumatori, che potrebbero maturare una generale sfiducia nei confronti dei prodotti ittici provenienti dalla regione interessata dallo scarico dell’acqua di raffreddamento dei reattori di Fukushima. Questo potrebbe causare danni duraturi all’industria e alla sostenibilità economica delle comunità costiere. A peggiorare tale percezione si aggiungono le decisioni della Cina e della Corea del Sud, che, secondo l’European Food Agency (EFA), avrebbero imposto il divieto di importazione di prodotti ittici giapponesi.

Conclusioni
La scelta di rilasciare l’acqua trattata di Fukushima nell’oceano è una decisione complessa, che richiede un equilibrio tra considerazioni scientifiche, economiche, ambientali e sociali. Gli esperti devono continuare a monitorare attentamente la situazione e a raccogliere dati per verificare il corretto svolgimento della procedura. È essenziale coinvolgere le parti interessate, comprese le comunità locali e la comunità internazionale, per garantire una decisione trasparente e ben ponderata in modo da non creare allarmismi.

In definitiva, il rilascio dell’acqua trattata di Fukushima nell’oceano è un procedimento che è stato elaborato per anni e sono state valutate anche altre alternative che si sono rivelate meno sicure per la popolazione. Questo processo verrà svolto in totale sicurezza per l’uomo e per l’ambiente.

Photo Credits: IAEA Imagebank via Flickr

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