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Il gender pay gap non è una bufala, checché ne dica Milei

Il dato viene calcolato su una serie di misurazioni oggettive che dimostrano come le donne guadagnino effettivamente meno degli uomini

30 gennaio 2025
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Nelle ultime settimane è circolato molto sui social network un video del presidente dell’Argentina Javier Milei che smonterebbe la «bufala» del gender pay gap. Insieme a questo contenuto, si è fatta strada una narrazione che respinge l’esistenza del gender pay gap (GPG) – o divario retributivo di genere – etichettandolo come un mito, citando dati decontestualizzati e facendo confronti superficiali.

Nel filmato Milei sostiene che il divario retributivo di genere sarebbe falso perché si tratterebbe di «un numero aggregato che prende la media degli uomini contro la media delle donne». Secondo il presidente argentino, quello che si dovrebbe fare «è guardare le qualifiche di uomini e donne nello stesso lavoro e nelle stesse condizioni per sapere se nello stesso lavoro, con le stesse condizioni, guadagnano in modo diverso. Quando lo fai, non c’è davvero un tale divario, il divario scompare». Aggiungendo infine che «se le donne guadagnassero davvero meno troveresti delle aziende che sono piene di donne perché visto che i capitalisti vogliono fare i soldi riempirebbero l’intera fabbrica di donne. Quando ci si reca in un’azienda questo non accade». Proprio questo punto finale è stato ricondiviso sui social media da svariati account, che hanno sottolineato come «​​se il divario salariale fra uomini e donne esistesse davvero, tutte le aziende assumerebbero solo donne perché conveniente». 

Si tratta però di una narrazione distorta e infondata, che tenta di negare la realtà facendo ricorso ad argomentazioni fallaci. 

Cos’è il gender pay gap 

Il divario retributivo di genere, noto anche come “gender pay gap”, indica la differenza media tra i salari orari lordi guadagnati dagli uomini e quelli percepiti dalle donne. Si tratta di un valore aggregato che sintetizza situazioni molto diverse, tenendo conto di variabili come il tipo di contratto, il settore lavorativo, l’età e il livello di istruzione. In questo modo, offre una visione generale del divario economico che persiste tra i generi nel contesto lavorativo (è  calcolato tenendo in considerazione le imprese con più di dieci dipendenti). 

Nell’Unione europea la retribuzione oraria lorda media dei dipendenti maschi è superiore del 13 per cento rispetto a quella delle donne: per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna ne guadagnerà solo 0,87. 

Secondo la Commissione europea, l’Equal Pay Day nel 2024 è caduto il 15 novembre, data che indica il momento in cui gli uomini potrebbero smettere di lavorare guadagnando comunque quanto le donne guadagnerebbero in un anno intero. Dal 15 novembre, insomma, le donne iniziano teoricamente a lavorare “gratis”. Tale data varia a seconda dell’ultimo dato sul divario retributivo di genere nell’Unione europea. 

Nell’UE il divario retributivo varia ampiamente. Secondo i dati raccolti dalla Commissione europea, nel 2022 il Paese con il più alto gender pay gap era l’Estonia, con il 21,3 per cento, seguito da Austria, Repubblica Ceca, Germania, Slovacchia, Ungheria e Lettonia, mentre lo Stato che presentava la percentuale minore era il Lussemburgo con 0,7 per cento. 

Divario retributivo di genere nell’UE, 2022. Dati Eurostat.

Il Parlamento europeo ha individuato le cause di tale divario retributivo nei ruoli di genere che vengono tradizionalmente veicolati dalla società, come il fatto che le donne sono sovrarappresentate in settori relativamente a basso salario, occupano meno posizioni dirigenziali, svolgono più ore di lavoro non retribuito, ricoprono maggiori posizioni part-time rispetto agli uomini, e sono più propense ad avere interruzioni di carriera. 

Come ha spiegato a Facta Nicoletta Pannuzi, dirigente del Servizio sistema integrato lavoro, istruzione e formazione dell’Istat, il GPG non può essere l’unico indicatore a cui si fa riferimento perché «il dato che definisce il gender pay gap osserva la retribuzione oraria lorda di uomini e donne e in questo numero non rientrano elementi come il tipo di contratto, determinato o indeterminato, il lavoro part-time o full time, che sono tutti elementi che poi vanno a definire la retribuzione mensile o annuale». Si tratta di un dato che «misura la differenza retributiva di uomini e donne ed è calcolato come differenza percentuale tra la retribuzione oraria di uomini e donne rapportata a quella maschile».

Il divario retributivo di genere in Italia

Per quanto riguarda l’Italia, Nicoletta Pannuzi ha continuato chiarendo che in termini di retribuzione oraria si osserva che le donne, nell’ultimo dato disponibile relativo al 2022, «sono retribuite il 5,6 per cento in meno degli uomini». La retribuzione oraria media degli uomini, infatti, è di 16,8 euro, mentre la retribuzione media delle donne è 15,9 euro. Pannuzi ha sottolineato che è importante ricordare che «questo dato ovviamente è al lordo di tutte le differenze che riguardano l’accesso e le caratteristiche di permanenza e ingresso nel mercato del lavoro di uomini e donne». 

Nel confronto internazionale il dato italiano risulta più basso rispetto alla media europea che si attesta attorno al 13 per cento. Ma perché è così basso? Perché la partecipazione al mercato del lavoro nel nostro Paese incontra una partecipazione femminile particolarmente importante in alcuni settori e in particolare nel settore dell’istruzione. «In questo ambito la retribuzione oraria è particolarmente elevata» ha chiarito Pannuzi, «poiché viene calcolata sull’orario contrattuale, che nel caso degli insegnanti è un numero di ore particolarmente ridotto poiché vengono considerate le ore di insegnamento ma non tutto l’altro tempo che gli insegnanti dedicano alla propria attività professionale, come ad esempio la correzione dei compiti o la preparazione delle lezioni». 

Più in generale, è importante evidenziare che il dato che riguarda il divario retributivo di genere non può essere considerato come univoco e descrittivo di tutta la realtà, perché varia se guardiamo a settori specifici del mercato del lavoro. Ad esempio, se si suddivide il GPG tra il comparto a controllo pubblico – cioè l’insieme delle istituzioni pubbliche e delle imprese a prevalente controllo pubblico – e quello a controllo privato – ovvero l’insieme delle unità economiche, imprese e istituzioni, private sulle quali il controllo privato è totale o prevalente – si nota che nel comparto a controllo privato il GPG è pari al 15,9 per cento, mentre nel comparto a controllo pubblico scende al 5,2 per cento. In quest’ultimo, infatti, le donne sono la maggioranza, sono cioè il 55,6 per cento dei dipendenti, hanno un elevato livello di istruzione e la più alta retribuzione oraria. Questo, secondo Nicoletta Pannuzi, «porta il valore complessivo a livelli relativamente bassi, anche se in realtà il valore del comparto a controllo privato ha un valore decisamente più alto». 

Ci sono altre caratteristiche che vale la pena riportare rispetto al GPG, ad esempio che questo divario si allarga con l’età e quindi significa che aumenta con il progredire della carriera e dell’anzianità anche all’interno dello stesso ente o azienda. «Il gender pay gap è piuttosto basso quando le donne entrano nel mercato del lavoro» ha spiegato Pannuzi, chiarendo cioè che «se noi calcoliamo il GPG rispetto ai lavoratori più giovani, vediamo che il valore è di circa il 3 per cento se parliamo di under 25, sale al 9 per cento tra i 55 e i 64 anni, e supera il 14 per cento tra i lavoratori di età e superiori ai 65 anni». Questo avviene per una serie di fattori. Innanzitutto perché da un lato le donne, più spesso degli uomini, dedicano maggior tempo al lavoro non retribuito, come quello casalingo e quello di assistenza gratuita (ad esempio i lavori di cura rivolti alla prole o ai parenti anziani). Inoltre, spesso le donne interrompono la propria carriera a seguito della nascita dei figli oppure per esigenze o necessità familiari.

Infine, un’altra caratteristica di questo dato è che il gender pay gap tende ad ampliarsi tra i laureati, con un valore del 16,6 per cento: la retribuzione media oraria è di 20,3 euro per le donne e di 24,3 euro per gli uomini; ma anche tra i dipendenti con al massimo la scuola secondaria inferiore (dove il valore del GPG è del 15,2 per cento), anche se i salari orari sono decisamente più bassi (11,1 euro per le donne e 13,1 euro per gli uomini). Il divario salariale cresce soprattutto nei settori dove ci sono meno donne. Ad esempio, tra i dirigenti, le donne guadagnano in media il 30,8 per cento in meno rispetto agli uomini, con una retribuzione oraria di 34,5 euro per le donne e 49,8 euro per gli uomini. Un altro settore in cui il gap è significativo è quello delle Forze Armate, con una differenza del 27,7 per cento. In questo caso, le donne guadagnano 16,9 euro all’ora, mentre gli uomini 23,4 euro. Infine, anche tra gli artigiani e gli operai specializzati c’è una disparità, con un gap del 17,6 per cento. Qui, le donne guadagnano 10,6 euro all’ora e gli uomini 12,8 euro. Secondo Nicoletta Pannuzi, «il fatto che in alcuni settori le donne siano poco diffuse, determina anche situazioni di gender pay gap più elevato». 

Fonte Istat

Il gender pay gap è reale

Quando si parla di gender pay gap, quindi, si fa riferimento a un valore reale, basato su una serie di misurazioni oggettive che dimostrano come le donne guadagnino effettivamente meno degli uomini quando si considera la media della retribuzione oraria lorda. Nicoletta Pannuzi ha evidenziato a Facta che è importante considerare che questo valore «non è una misura di discriminazione salariale, ma è qualcosa che misura le differenze tra uomini e donne a livello retributivo» tenendo conto di una serie di fattori oggettivi. 

Paola Villa, economista e docente presso il dipartimento di Economia e Management dell’Università degli Studi di Trento, aveva chiarito a Facta nel novembre 2023, che è importante contestualizzare i dati per capire davvero le differenze che esistono nell’ambito del lavoro tra uomini e donne. Per capire perché uomini e donne partecipano in modo diverso al mondo del lavoro, bisogna considerare non solo i salari orari più bassi delle donne, ma anche il minor numero di ore lavorate durante l’anno e la minore anzianità contributiva. Per comprendere questi fattori, è importante esaminare le scelte che uomini e donne fanno nella loro vita adulta, scelte che sono influenzate da norme sociali e stereotipi ancora molto presenti.

Secondo Villa, le principali ragioni delle marcate differenze tra uomini e donne riguardano vari aspetti, come le scelte educative, le maggiori difficoltà per le giovani donne nell’ingresso nel mercato del lavoro, la penalizzazione della maternità e le disuguaglianze nelle opportunità di carriera. «Se osserviamo l’Italia, il divario salariale non è molto alto», ha sottolineato Villa, «perché nel nostro Paese molte donne non entrano nemmeno nel mercato del lavoro». 

La narrazione secondo cui se il GPG fosse vero, allora le aziende assumerebbero solo donne, è infondata e fallace a livello logico poiché è anche perché le aziende non assumono abbastanza donne che esiste un divario retributivo basato sul genere. Il divario retributivo di genere è un valore stratificato, che è conseguenza di una serie di fattori piuttosto complessi. 

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