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Giorgia Meloni ha rispolverato l’eterna paranoia complottista per George Soros

Nella conferenza stampa d’inizio anno, la presidente del consiglio ha rievocato la figura del finanziere ungherese di origini ebraiche

10 gennaio 2025
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Durante la conferenza stampa del 9 gennaio 2024, la presidente del consiglio Giorgia Meloni è stata interpellata più volte sui suoi stretti rapporti con l’imprenditore sudafricano Elon Musk e le crescenti ingerenze di quest’ultimo nella politica europea.

«Di persone note e facoltose che esprimono le loro opinioni io ne ho viste parecchie», ha risposto Meloni, «e spesso le esprimono contro di me e non mi ricordo che qualcuno si sia scandalizzato». In altre parole, Musk «non è un pericolo per la democrazia».

La leader di Fratelli d’Italia ha poi aggiunto che «non mi risulta che Elon Musk finanzi in giro partiti, associazioni o esponenti politici», a differenza di quello che fa «George Soros e sì, io la considero una pericolosa ingerenza negli affari degli Stati nazionali». Anticipando poi eventuali polemiche, la presidente del consiglio ha detto che non ci si deve trincerare «dietro la campagna antisemita: nessun antisemitismo, ma si può criticare quel che fa e io lo considero molto più ingerente di Elon Musk».

Non è la prima volta che Meloni se la prende con il finanziere e filantropo ungherese di origini ebraiche, che ora ha 94 anni. Anzi: negli ultimi anni ha rivolto a Soros accuse di ogni tipo, sostenendo ad esempio che è il principale responsabile di un fantomatico piano di «sostituzione etnica» ai danni degli italiani e dandogli addirittura dell’«usuraio» – uno dei tropi antisemiti per eccellenza.

Nel 2018 la politica aveva addirittura annunciato la presentazione di una proposta di legge «anti-Soros», spiegando di voler «impedire che Soros e quelli come lui finanzino le ong che favoriscono l’immigrazione irregolare perché l’obiettivo che hanno è rendere gli stati nazione sempre più deboli perché vinca la speculazione». La norma era modellata sul pacchetto di leggi «Stop Soros» approvate in Ungheria da Viktor Orbán, che nel 2021 la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha ritenuto contrarie al diritto europeo.

Nel difendere il proprietario di Tesla e X, insomma, Meloni ha rispolverato una vecchia ossessione complottista che accomuna tutte le destra in Italia, in Europa e negli Stati Uniti.

Le origini statunitensi del mito complottista su George Soros

Le origini delle fantasie cospirazioniste su Soros affondando le proprie radici nella storia personale di George Soros e nel suo orientamento politico progressista.

Nato nel 1930 in Ungheria da una famiglia di religione ebraica, durante la Seconda Guerra mondiale scampa per miracolo alle persecuzioni naziste – una circostanza che in seguito diventerà oggetto di speculazione calunniose e infondate, secondo le quali Soros (da bambino) avrebbe consegnato degli ebrei ai nazisti.

Nel dopoguerra si trasferisce in Inghilterra e si laurea in Filosofia alla London School of Economics. La sua formazione intellettuale è influenzata dal filosofo austriaco Karl Popper e dal suo concetto di «società aperta». Dopo aver lavorato in alcune banche d’investimento, nel 1969 si mette in proprio e crea il fondo d’investimento Quantum, che lo porta a essere uno dei 30 uomini più ricchi del pianeta.

Nel 1979 inizia la sua carriera da filantropo attraverso la fondazione della Open Society Foundations, un’organizzazione non governativa presente – anche attraverso altre organizzazioni indipendenti – in diversi Paesi, che punta a promuovere riforme e ideali liberali di tipo progressista.

Nel 1992 Soros scommette contro la sterlina e la lira, provocando una svalutazione del 30 per cento e l’estromissione temporanea della valuta italiana dal sistema monetario europeo. In un’intervista di molto successiva ai fatti, Soros cinicamente afferma che «gli speculatori sono solo i messaggeri di cattive notizie» e «non hanno colpe».

È proprio negli anni Novanta – principalmente negli Stati Uniti – che compaiono le prime critiche politiche all’operato di Soros, accompagnate dalle prime teorie del complotto. Secondo il giornalista americano Jesse Walker, autore del saggio The United States of Paranoia, queste vengono anzitutto «da sinistra, da persone preoccupate che Soros stesse finanziando il movimento per scopi personali (o, senza cedere alle cospirazioni, che i soldi di Soros avrebbero tolto l’indipendenza alle attività della sinistra)».

La destra statunitense comincia a occuparsi del finanziere ungherese alla fine degli anni Duemila. Uno dei più famosi conduttori di Fox News, Bill O’Reilly, nel 2007 lo definisce un «estremista che vuole aprire i confini, legalizzare la droga, l’eutanasia, e così via».

Nel novembre del 2010 – sempre su Fox News – l’opinionista estremista Glenn Beck dedica due intere puntate della sua trasmissione al «grande burattinaio», accusandolo di voler instaurare un «unico governo mondiale». Quasi tutte le teorie del complotto su Soros, puntualizza Walker, derivano da quelle puntate.

I finanziamenti al Partito Democratico statunitense e l’opposizione a Donald Trump lo mettono ulteriormente nel mirino della propaganda della destra statunitense. Lo speculatore ungherese trasfigura così nel mandante occulto di ogni cambiamento politico, rivolta o movimento sociale – dalle «rivoluzioni colorate» nell’est Europa fino a Black Lives Matter.

La campagna per costruire il «nemico Soros» in Europa

La costruzione di Soros come «nemico assoluto» delle destre e «burattinaio onnipotente», come ha ricostruito il giornalista svizzero Hannes Grassegger su Das Magazin, è merito soprattutto di due consulenti politici statunitensi: Arthur Finkelstein e il suo allievo George Birnbaum, entrambi ebrei come Soros.

Finkelstein, in particolare, è stato consigliere dei presidenti repubblicani statunitensi Ronald Reagan e Richard Nixon e del premier israeliano Benjamin Netanyahu. In quella veste ha elaborato un metodo che verrà poi adottato massicciamente dai partiti della destra radicale in Occidente: il cosiddetto «negative campaigning» (traducibile come «campagna negativa»), ossia un tipo di campagna elettorale in cui si preferisce attaccare un avversario invece che difendere il proprio programma.

Il consulente, specifica Grassegger, partiva dal presupposto che «le elezioni si decidono sempre in anticipo» e che «la maggior parte delle persone sa bene chi voterà»; per questo, «scoraggiare le persone è molto più facile che motivarle». La via migliore per vincere è «demoralizzare i sostenitori avversari» e costruire a tavolino un nemico senza farsi troppi scrupoli – ossia attraverso la diffusione di notizie false e campagna disinformative.

Nel 2008, dietro il suggerimento di Netanyahu, Birnbaum e Finkelstein si mettono a lavorare alla campagna elettorale per Orbán e il suo partito Fidesz in Ungheria, che due anni dopo culmina in una vittoria schiacciante in cui ottiene la maggioranza dei due terzi.

Il trionfo pone però un problema in cui i due consulenti non si erano mai trovati. «Non c’era un nemico politico reale», ha ricordato Birnbaum a BuzzFeed, «si trattava di una situazione mai vista in Ungheria e per conservare questo potere bisognava trovare un modo per tenere sempre “alta la tensione” e motivare le persone ad andare a votare».

Per ovviare alla situazione, Finkelstein individua in Soros il capro espiatorio perfetto. Si trattava infatti di una figura ungherese, e quindi familiare, ma al tempo stesso esterna: «non solo controllava il “grande capitale”, ma lo incarnava», riassume Grassegger. «Quando il nemico ha un volto è più facile compattare le truppe e la popolazione», spiega Birnbaum.

La campagna contro Soros parte nel 2013, con un articolo su un quotidiano filogovernativo che lo accusa di controllare tutte le Ong attive nel Paese. All’apice della crisi dei migranti siriani del 2015 Orbán – che in gioventù era riuscito a studiare a Oxford grazie a una borsa di studio della Opens Society Foundations – accusa Soros di pilotare l’immigrazione e indebolire lo stato ungherese.

Nel 2017 la campagna elettorale di Fidesz è completamente incentrata sul finanziere. L’intera Ungheria viene tappezzata di manifesti elettorali con la scritta «non lasciare che sia Soros a ridere per ultimo», mentre l’anno successivo vengono promulgate le norme anti-Soros.

Il «metodo Finkelstein» ha effetti che vanno ben al di là dell’Ungheria: gli attacchi a Soros diventano infatti replicabili anche altrove, adattandosi ai contesti locali e alimentando teorie antisemite di ogni tipo.

«Soros era il nemico perfetto. È così ovvio. Era il più semplice dei prodotti, bastava impacchettarlo e metterlo in commercio», ha ribadito Birnbaum.

Gli attacchi contro George Soros in Italia

In Italia, almeno fino al 2015, le teorie su Soros rimangono confinate su siti rossobruni, complottisti e di estrema destra.

Subito dopo l’elezione di Trump prendono a circolare su testate più accreditate: l’editorialista Fulvio Scaglione rilancia su Linkiesta la falsa notizia dei manifestanti pagati da Soros per protestare contro il nuovo presidente americano e «destabilizzare» il Paese.

Del finanziere si torna a parlare in relazione all’arresto del giornalista Gabriele Del Grande in Turchia, avvenuto nell’aprile del 2017. Il regista del docufilm Io sto con la sposa è accusato di non essere indipendente perché nel 2011 ha ricevuto un finanziamento dalla Open Society Foundations.

Gli argini si rompono del tutto con la polemica sui «taxi del Mediterraneo» – cioè le ONG impegnate nelle operazioni di salvataggio al largo delle coste libiche – che secondo la vulgata complottista sarebbero integralmente finanziati da Soros e pertanto implicati in qualcosa di losco.

Il filosofo Diego Fusaro si dice convinto che dietro a queste «deportazioni di massa» ci sia la «longa manus» dell’alfiere dell’«élite finanziaria sradicata, sradicante e delocalizzante che sta distruggendo i diritti sociali e le sovranità nazionali». Giampaolo Rossi – l’attuale amministratore delegato della Rai – nel suo blog su Il Giornale paragona Soros al ragno Shelob de Il Signore degli Anelli, scrivendo che «dissemina gigantesche e vischiose ragnatele con le quali imprigiona le sue vittime per poi divorarle».

In un altro post descrive il funzionamento di un fantomatico «schema Soros» con queste parole: «L’élite prima produce i poveri, poi trasforma alcuni di loro in profughi attraverso una bella guerra umanitaria o una colorata rivoluzione […] poi li spinge ad entrare illegalmente in Europa e in Usa grazie alle sue associazioni umanitarie, ricattando i governi occidentali e i leader che essa stessa finanzia affinché approvino legislazioni che di fatto eliminano il reato di immigrazione clandestina».

Il Blog delle Stelle, all’epoca il magazine online del Movimento Cinque Stelle, riprende un lungo pezzo della blogger Maria Grazia Bruzzone che definisce Soros «uno dei fulcri» dell’élite mondialista che dirotta in Europa la manodopera a basso costo (i migranti) per mantenere lo status quo.

Dal canto suo, il segretario della Lega Matteo Salvini cita la teoria della sostituzione etnica dicendo che «non c’entrano guerre, diritti umani e disperazione: è semplicemente un’operazione economica e commerciale finanziata da gente come Soros». In un comizio, il leghista aggiunge che «filantropi come George Soros dovrebbero scomparire dalla faccia della terra per il male che hanno fatto a milioni di lavoratori e a milioni di persone per bene».

Nel 2022 le speculazioni contro Soros sono tornate prepotentemente nel dibattito politico italiano dopo la notizia che Più Europa, il partito guidato da Emma Bonino, aveva ricevuto finanziamenti da parte del finanziere.

A ogni modo, il mito di George Soros torna molto utile all’immaginario politico dell’estrema destra occidentale.

La figura del «burattinaio supremo» – per giunta ebreo – serve infatti a screditare sia le cause che le persone che le fanno proprie. A chi protesta, si rivolta, manifesta o compie azioni umanitarie è negata ogni spontaneità e dignità politica; se lo fa è perché prende soldi da Soros.

I veri rivoluzionari, di contro, sarebbero quelli che scorgono dappertutto la sua ingerenza maligna. Per il sito statunitense It’s Going Down, «questo mito si rifà a vecchie idee razziste e antisemite, nonché alle argomentazioni anticomuniste della John Birch Society, secondo cui gli onesti lavoratori e i poveri sarebbero sfruttati da un ristretto gruppo di manovratori interessato alla dominazione del mondo».

Lo stesso Soros ha più volte espresso preoccupazione per la piega che hanno preso le leggende sul suo conto. «Il nuovo antisemitismo si basa sull’idea che gli ebrei governino il mondo», aveva detto in un evento a New York nel 2003. «E con le mie azioni contribuiscono involontariamente a rafforzare questa idea».

Le teorie complottiste su Soros seguono dunque una lunghissima tradizione antisemita dell’estrema destra e sono – a tutti gli effetti – una versione aggiornata di quelle sulla famiglia Rothschild, che vanno ormai avanti da secoli. E per questo motivo, ha avvertito l’autore statunitense Alexander Reid Ross, si tramanderanno anche quando Soros non ci sarà più.

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