Nel 2018 la politica aveva addirittura annunciato la presentazione di una proposta di legge «anti-Soros», spiegando di voler «impedire che Soros e quelli come lui finanzino le ong che favoriscono l’immigrazione irregolare perché l’obiettivo che hanno è rendere gli stati nazione sempre più deboli perché vinca la speculazione». La norma era modellata sul pacchetto di leggi «Stop Soros» approvate in Ungheria da Viktor Orbán, che nel 2021 la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha ritenuto contrarie al diritto europeo.
Nel difendere il proprietario di Tesla e X, insomma, Meloni ha rispolverato una vecchia ossessione complottista che accomuna tutte le destra in Italia, in Europa e negli Stati Uniti.
Le origini statunitensi del mito complottista su George Soros
Le origini delle fantasie cospirazioniste su Soros affondando le proprie radici nella storia personale di George Soros e nel suo orientamento politico progressista.
Nato nel 1930 in Ungheria da una famiglia di religione ebraica, durante la Seconda Guerra mondiale scampa per miracolo alle persecuzioni naziste – una circostanza che in seguito diventerà oggetto di speculazione calunniose e infondate, secondo le quali Soros (da bambino) avrebbe consegnato degli ebrei ai nazisti.
Nel dopoguerra si trasferisce in Inghilterra e si laurea in Filosofia alla London School of Economics. La sua formazione intellettuale è influenzata dal filosofo austriaco Karl Popper e dal suo concetto di «società aperta». Dopo aver lavorato in alcune banche d’investimento, nel 1969 si mette in proprio e crea il fondo d’investimento Quantum, che lo porta a essere uno dei 30 uomini più ricchi del pianeta.
Nel 1979 inizia la sua carriera da filantropo attraverso la fondazione della Open Society Foundations, un’organizzazione non governativa presente – anche attraverso altre organizzazioni indipendenti – in diversi Paesi, che punta a promuovere riforme e ideali liberali di tipo progressista.
Nel 1992 Soros scommette contro la sterlina e la lira, provocando una svalutazione del 30 per cento e l’estromissione temporanea della valuta italiana dal sistema monetario europeo. In un’intervista di molto successiva ai fatti, Soros cinicamente afferma che «gli speculatori sono solo i messaggeri di cattive notizie» e «non hanno colpe».
È proprio negli anni Novanta – principalmente negli Stati Uniti – che compaiono le prime critiche politiche all’operato di Soros, accompagnate dalle prime teorie del complotto. Secondo il giornalista americano Jesse Walker, autore del saggio The United States of Paranoia, queste vengono anzitutto «da sinistra, da persone preoccupate che Soros stesse finanziando il movimento per scopi personali (o, senza cedere alle cospirazioni, che i soldi di Soros avrebbero tolto l’indipendenza alle attività della sinistra)».
La destra statunitense comincia a occuparsi del finanziere ungherese alla fine degli anni Duemila. Uno dei più famosi conduttori di Fox News, Bill O’Reilly, nel 2007 lo definisce un «estremista che vuole aprire i confini, legalizzare la droga, l’eutanasia, e così via».
Nel novembre del 2010 – sempre su Fox News – l’opinionista estremista Glenn Beck dedica due intere puntate della sua trasmissione al «grande burattinaio», accusandolo di voler instaurare un «unico governo mondiale». Quasi tutte le teorie del complotto su Soros, puntualizza Walker, derivano da quelle puntate.
I finanziamenti al Partito Democratico statunitense e l’opposizione a Donald Trump lo mettono ulteriormente nel mirino della propaganda della destra statunitense. Lo speculatore ungherese trasfigura così nel mandante occulto di ogni cambiamento politico, rivolta o movimento sociale – dalle «rivoluzioni colorate» nell’est Europa fino a Black Lives Matter.
La campagna per costruire il «nemico Soros» in Europa
La costruzione di Soros come «nemico assoluto» delle destre e «burattinaio onnipotente», come ha ricostruito il giornalista svizzero Hannes Grassegger su Das Magazin, è merito soprattutto di due consulenti politici statunitensi: Arthur Finkelstein e il suo allievo George Birnbaum, entrambi ebrei come Soros.
Finkelstein, in particolare, è stato consigliere dei presidenti repubblicani statunitensi Ronald Reagan e Richard Nixon e del premier israeliano Benjamin Netanyahu. In quella veste ha elaborato un metodo che verrà poi adottato massicciamente dai partiti della destra radicale in Occidente: il cosiddetto «negative campaigning» (traducibile come «campagna negativa»), ossia un tipo di campagna elettorale in cui si preferisce attaccare un avversario invece che difendere il proprio programma.
Il consulente, specifica Grassegger, partiva dal presupposto che «le elezioni si decidono sempre in anticipo» e che «la maggior parte delle persone sa bene chi voterà»; per questo, «scoraggiare le persone è molto più facile che motivarle». La via migliore per vincere è «demoralizzare i sostenitori avversari» e costruire a tavolino un nemico senza farsi troppi scrupoli – ossia attraverso la diffusione di notizie false e campagna disinformative.
Nel 2008, dietro il suggerimento di Netanyahu, Birnbaum e Finkelstein si mettono a lavorare alla campagna elettorale per Orbán e il suo partito Fidesz in Ungheria, che due anni dopo culmina in una vittoria schiacciante in cui ottiene la maggioranza dei due terzi.
Il trionfo pone però un problema in cui i due consulenti non si erano mai trovati. «Non c’era un nemico politico reale», ha ricordato Birnbaum a BuzzFeed, «si trattava di una situazione mai vista in Ungheria e per conservare questo potere bisognava trovare un modo per tenere sempre “alta la tensione” e motivare le persone ad andare a votare».
Per ovviare alla situazione, Finkelstein individua in Soros il capro espiatorio perfetto. Si trattava infatti di una figura ungherese, e quindi familiare, ma al tempo stesso esterna: «non solo controllava il “grande capitale”, ma lo incarnava», riassume Grassegger. «Quando il nemico ha un volto è più facile compattare le truppe e la popolazione», spiega Birnbaum.