Nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e in altri Stati europei, il mese di luglio è stato caratterizzato da diversi eventi climatici estremi: ondate di calore, precipitazioni violente e vasti incendi. Tra tutti questi fenomeni, l’emergenza incendi, come ogni estate, è tornata protagonista delle prime pagine dei giornali. I roghi hanno bruciato decine di migliaia di ettari non solo in Italia, ma l’allarme si è esteso in altri Paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo: dalla Grecia alla Spagna fino alla Tunisia e l’Algeria e dalla Francia fino all’Italia, appunto, dove i fuochi hanno causato diverse vittime e ingenti danni ambientali ed economici.
Oltre a riportare le conseguenze di questi eventi drammatici, molti media hanno collegato gli incendi all’ondata di calore che ha colpito l’Italia e altri Paesi durante il mese di giugno e luglio. Insieme a queste notizie, sui social network è circolato un filone della disinformazione che, al contrario, nega il collegamento tra incendi e cambiamento climatico, sostenendo che la colpa sia da addossare interamente «ai piromani».
Si tratta di affermazioni false, prima di tutto perché – come ha spiegato a Facta.news Luca Tonarelli, direttore tecnico del Centro di addestramento antincendi boschivi della Regione Toscana –, anche se la maggior parte degli incendi sono di origine antropica, non si tratta in tutti i casi di piromani. Inoltre, il cambiamento climatico ha realmente un ruolo nella propagazione e nello sviluppo degli incendi.
Che cosa provoca gli incendi in Italia
Prima di tutto, quando si parla di roghi, è importante precisare la differenza tra incendi dolosi e incendi colposi. Nel primo caso l’incendio è causato in modo intenzionale, e in questa categoria rientrano le azioni dei cosiddetti piromani, cioè persone che hanno un impulso ossessivo ad appiccare il fuoco. L’incendio colposo, invece, deriva da una negligenza o disattenzione collegata ad attività umane, ma non è causato in modo volontario.
È vero che gli incendi dolosi costituiscono un numero consistente sul totale, ma non sono l’unica ragione per cui il fuoco divampa. Secondo un’indagine condotta da Coldiretti (associazione di categoria del settore agricolo italiano), pubblicata il 27 luglio 2023, circa il 60 per cento degli incendi boschivi in Italia ha origine dolosa, anche se non è possibile avere delle stime ufficiali.
Ciò significa che circa il 40 per cento degli incendi è composto anche da roghi causati da comportamenti dell’essere umano irresponsabili e imprudenti, non finalizzati ad arrecare volontariamente danno. Come ha spiegato Tonarelli, questi possono essere generati «dall’applicazione poco ragionata di fiamma libera, come nel caso di barbecue o lavori artigianali di saldatura, ma anche da macchine agricole che scintillano o da linee elettriche che passano attraverso i boschi e in caso di danneggiamento possono rilasciare qualche scintilla». Altre azioni umane che involontariamente possono causare incendi sono, ad esempio, attività agricole e forestali in cui il fuoco viene impiegato per bruciare le stoppie, cioè erbacce rimaste dopo la mietitura, distruggere i residui vegetali provenienti da lavorazioni agricole e forestali, e per rinnovare i pascoli e gli incolti. E ancora, l’abbandono di mozziconi di sigarette e fiammiferi lungo i sentieri, le piste forestali, e le linee ferroviarie che possono cadere sull’erba secca o altri residui vegetali, e innescare un rogo.
A questi si aggiungono gli incendi naturali che, come riportato dal Dipartimento della Protezione Civile, si verificano molto raramente e sono causati da eventi inevitabili, come fulmini o eruzioni vulcaniche.
Gestione del territorio e cambiamento climatico hanno intensificato gli incendi
Nonostante la maggior parte degli incendi in Italia sia, quindi, collegata all’attività umana, è importante sottolineare che l’emergenza è in realtà strettamente connessa a due temi principali: la gestione del territorio e i cambiamenti climatici. «Questo mix di elementi sta veramente complicando il panorama perché gli incendi sono sempre più intensi e sempre più veloci» ha dichiarato Tonarelli. Il direttore ha poi precisato che gli incendi sono sempre più intensi a causa dell’accumulo di combustibile, inteso principalmente come legname, sterpaglia e altro materiale derivante dall’incuria del territorio. Questo accumulo è legato allo spopolamento delle montagne, all’abbandono dei pascoli e dei territori agricoli che vengono invasi di nuovo dal bosco.
Ma non è finita qui. L’innalzamento delle temperature globali, l’aumento della frequenza delle ondate di calore e la siccità formano un mix che incrementa le condizioni favorevoli agli incendi in molte regioni del mondo. Secondo uno studio pubblicato nel 2015 sulla rivista scientifica Nature, su scala globale, la durata dei periodi in cui si verificano queste condizioni è aumentata del 20 per cento tra il 1979 e il 2013, e la superficie potenzialmente bruciabile è raddoppiata.
Per quanto riguarda l’Italia, Legambiente ha evidenziato nel rapporto “L’Italia in fumo” del 2022 come «gli effetti dei cambiamenti climatici avranno una sempre maggiore incidenza sull’aumento dei rischi per gli ecosistemi forestali», che sono più esposti a perturbazioni causate da tempeste, siccità e incendi più frequenti e che incidono pesantemente sulla capacità delle foreste di assorbire CO2.
Nonostante non sia un collegamento immediato, le trasformazioni del clima hanno un impatto sulla potenza e l’estensione della propagazione degli incendi. Il rapporto del Centro EuroMediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) pubblicato nel 2020 ha rilevato che l’analisi delle tendenze di una serie di indicatori di estremi climatici prevede un marcato aumento della frequenza e della durata delle ondate di calore e della siccità agricola. L’aumento delle temperature e la riduzione delle precipitazioni medie annue, e allo stesso tempo la maggiore frequenza di eventi meteorologici estremi, interagiscono con gli effetti dei cambiamenti del clima nell’amplificare l’attuale vulnerabilità del territorio rispetto al rischio di incendi boschivi.
Anche Tonarelli ha confermato la tesi secondo cui i cambiamenti climatici contribuiscono all’inasprimento degli incendi: «Le sempre più lunghe e frequenti ondate di calore comportano quella che si chiama “contemporaneità degli eventi” e quindi più incendi in contemporanea, legati a queste masse di aria spesso molto secca, a temperature molto elevate e soprattutto alle umidità molto basse». Le temperature più calde, infatti, fanno evaporare più umidità dal suolo e dalla vegetazione, seccando alberi, arbusti ed erbe e trasformando foglie e rami caduti in combustibile da ardere.
La siccità prolungata che ha colpito l’Italia nel 2022 e all’inizio del 2023, infatti, non può essere compensata dalle precipitazioni che si sono verificate nel corso dell’estate. Questo perché, come ha spiegato sempre Tonarelli, le precipitazioni sono avvenute in tempi molto più ristretti e sono state in alcuni casi estreme, non avendo la stessa efficacia sul bosco rispetto a una pioggia più lenta e duratura. In questo caso, infatti, i boschi riescono ad assorbire più acqua, mentre «se piove tutto insieme l’acqua non penetra e non viene assorbita dalle piante».
È importante precisare che a causa del cambiamento climatico sta aumentando la possibilità che gli incendi boschivi e rurali, fino ad ora per lo più limitati all’Europa meridionale, si verifichino anche in altre regioni, come Germania e Polonia, che nei decenni precedenti non avevano avuto esperienza di grandi roghi.
In conclusione
Non è ancora possibile avere una stima ufficiale del numero di ettari distrutti dagli incendi in Italia quest’anno, in quanto il metodo di raccolta attuale che, come ha infine precisato Tonarelli, è di competenza regionale, non permette di avere i dati aggiornati nel corso dell’anno. Il rapporto del Cmcc del 2020 ha chiarito che nonostante sia possibile affermare che nei Paesi del bacino mediterraneo più colpiti dagli incendi (Italia, Grecia, Spagna, Portogallo e Francia) l’area percorsa dalle fiamme e il numero di incendi siano gradualmente diminuite grazie al forte investimento nella lotta attiva, si osserva chiaramente come la variabilità della superficie bruciata negli anni rimanga molto alta.
La variazione dei regimi degli incendi e il verificarsi di alcune stagioni con il doppio o il triplo dell’area percorsa dal fuoco rispetto agli anni precedenti sono il segnale di una tendenza influenzata da molteplici fattori come l’uso del territorio, processi socioeconomici e la gestione degli interventi per spegnere i roghi, a cui è necessario aggiungere i cambiamenti climatici in atto. La evidente variabilità climatica e il progressivo riscaldamento globale, infatti, richiedono un’azione di ripensamento della gestione delle foreste e dei boschi.