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Il latte non pastorizzato è l’ultima ossessione dei sostenitori di Trump

Come una moda pericolosa è diventata un vessillo politico e il simbolo di una rivolta contro l’establishment

6 dicembre 2024
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Dopo il gender, il clima e un’infinità di altri temi, anche il latte è scivolato nel calderone delle cosiddette “guerre culturali”. Sotto questo cappello s’è ammassata una quantità di questioni diverse, diventate oggetto di controversie ideologiche.

Succede negli Stati Uniti, dove è in atto la transizione tra l’amministrazione Biden e quella Trump. Il prossimo presidente sta scegliendo i membri del governo e i responsabili di vari enti e uffici. Molti di questi dovranno superare la conferma del Senato.

Una delle scelte più controverse è quella di Robert F. Kennedy Jr., individuato da Trump come segretario del Dipartimento della Salute e dei servizi umani, il ministero della Salute degli Stati Uniti. Tra le tante posizioni che toccano la medicina‚ abbracciate da Kennedy Jr., c’è la crociata a favore del latte crudo, cioè non pastorizzato.

La storia è strana. Già moda di nicchia del mondo hippie, new age, “biologico”, la connotazione ideologica del latte non pastorizzato, come scrivono alcuni commentatori americani, negli ultimi anni ha cambiato di segno. In sostanza, è diventato una bandiera del popolo MAGA, un marchio d’appartenenza dei conservatori trumpiani. Di recente devono aver senz’altro contribuito le polemiche di Kennedy Jr.

Tra le diverse ragioni politiche e culturali, secondo la testata Politico, c’è il fatto che i conservatori hanno scoperto che la preferenza per il latte non pastorizzato si adatta perfettamente a una visione del mondo sempre più scettica nei confronti degli esperti. «Un gigantesco dito medio» nei loro confronti. 

Produrre e bere latte crudo è un simbolo, una manifestazione di rivolta verso il Dipartimento dell’agricoltura, i Centers for Disease Control and Prevention, la Food And Drug Administration, e tutta la macchina degli enti regolatori statali, scrive la giornalista Suzy Weiss. Atteggiamenti anti-establishment che, dall’essere caratteristici della sinistra, sono diventati nel tempo espressione di mentalità di opposto segno politico.

In tutto questo c’è l’impatto sulla salute pubblica. Una certa inconsapevolezza sui rischi sembra infatti essere diffusa. Negli Stati Uniti si sono registrati almeno 165 casi di infezioni da Salmonella in seguito al consumo di latte non pastorizzato, riconducibile a una sola azienda in California. Nel frattempo, le autorità sanitarie hanno scoperto che lì si può trovare anche H5N1, il virus dell’influenza aviaria.

Una moda pericolosa

Il latte, non solo quello bovino, è una sostanza che ospita un complesso microbiota, che comprende anche generi di batteri patogeni per gli umani: Salmonella, Listeria, Brucella, Campylobacter, Coxiella e altri. È un eccellente brodo di coltura. Bere latte non pastorizzato significa esporsi al rischio di contrarre malattie, particolarmente pericolose per bambini, anziani, donne incinte, immunodepressi. Può contenere alcuni ceppi di Escherichia coli, che causano diarree emorragiche e una sindrome acuta, detta emolitico-uremica, che può avere gravi conseguenze soprattutto per i più piccoli. Anche i formaggi prodotti con latte crudo sono a rischio. 

Proprio alcuni giorni fa, in Italia, una bambina di un anno è stata ricoverata dopo aver sviluppato questa sindrome. La causa è stata un E. coli, appartenente a uno di quei ceppi, che si trovava dentro un formaggio a base di latte crudo.

Quella del latte crudo è una moda alimentare, spacciata per salutare e “naturale” in virtù di miti che lo dipingono come migliore di quello pastorizzato. Alcuni di questi: la pastorizzazione altererebbe troppo la qualità del latte rendendolo povero di nutrienti; il latte crudo, al contrario, sarebbe perfino migliore nel prevenire l’osteoporosi e indicato per allergici e intolleranti al lattosio grazie alla presenza di batteri probiotici, cioè che hanno qualche effetto benefico sulla salute (peraltro di alcuni di questi benefici, spesso decantati dalla pubblicità, non ci sono grandi evidenze).

Questi miti sono privi di fondamento. I batteri presenti nel latte non pastorizzato derivano da tessuti infetti dell’animale, come quelli che causano l’infiammazione delle mammelle nelle mucche, o dagli ambienti e strumenti di lavorazione. Grandi quantità di batteri “buoni” non ci sono nel latte. O non ci dovrebbero essere. I batteri del genere Bifidobacterium, considerati probiotici, vivono nel tratto gastrointestinale. Elevate concentrazioni di questi e altri batteri nel latte crudo indicano solo un cattivo stato di salute dell’animale, contaminazioni fecali o scarse condizioni igieniche. 

L’unico modo per bere latte in sicurezza è trattarlo con temperature sufficienti ad abbattere la carica batterica, che è ciò che avviene nel processo di pastorizzazione. Anche il latte chiamato “fresco”, infatti, è pastorizzato e non deve essere confuso con quello crudo. Si tratta di un latte che è stato riscaldato per almeno 15 secondi a 72 gradi centigradi. È quello che troviamo nei banchi frigo dei supermercati e nei distributori refrigerati e si conserva per poco tempo, in genere sette giorni. 

La conservazione massima si ottiene con il trattamento a temperatura ultra elevata (da cui la sigla UHT, acronimo di Ultra High Temperature, che leggiamo sulle confezioni). Il latte viene portato rapidamente a una temperatura di 135 gradi centigradi per alcuni secondi. In pratica è una sterilizzazione, che fa sì che il prodotto possa essere conservato per mesi. 

Una scienza di successo

La pastorizzazione, per come la conosciamo oggi, si è sviluppata nella seconda metà del XIX secolo grazie all’opera dell’uomo da cui prende il nome.

Nel 1865 Louis Pasteur fece domanda per brevettare una tecnica per la conservazione dei vini. L’invenzione era nata da un’esigenza pratica, molto sentita allora in Francia: impedire che questi prodotti si guastassero. Il problema affliggeva in modo particolare i produttori che esportavano in Inghilterra. Il tempo di attraversare La Manica e i vini diventavano acidi, amari, imbevibili. 

Applicando un calore moderato ai vini, Pasteur dimostrò che era possibile conservarli senza pregiudicare la loro qualità. La tecnica venne poi estesa alla birra e al latte. La pastorizzazione non ha solo cambiato l’industria alimentare, ma, insieme ai progressi nella medicina e nell’igiene pubblica, ha anche contribuito a migliorare la salute della popolazione, a partire da quella dei bambini.

Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, le malattie di origine alimentare erano ancora un serio problema, specialmente durante la stagione estiva quando la conservazione era più difficile. Anche il latte poteva essere un veicolo di trasmissione di malattie.

Nel 1892 l’imprenditore e filantropo di origine bavarese Nathan Straus aprì a New York un laboratorio per la pastorizzazione del latte. Fu il primo passo di un lavoro che negli anni successivi portò alla creazione di quasi 300 stazioni di distribuzione di latte in 36 città americane. 

In un articolo del 1911 sulla rivista dell’American Public Health Association, intitolato «Salvare i bambini dalla malattie trasmesse dal latte», Straus descrisse i progressi nella riduzione della mortalità infantile avvenuti nell’arco di un ventennio. «Non esiste una divisione della scienza su questo punto. Nessuna autorità competente ha mai contestato il fatto che la pastorizzazione uccide i germi delle malattie, mentre non compromette in alcun modo il valore nutritivo o la digeribilità del latte». Così annotò Straus, forse con il pensiero rivolto a chi già allora manifestava resistenze e sospetti.

L’invenzione della pastorizzazione è intimamente legata alla storia della microbiologia e alla scoperta che molte malattie sono causate da microorganismi, uno dei fondamenti della medicina. È anche un esempio di ciò che affermava lo stesso Pasteur: «non esiste una categoria di scienza a cui si possa dare il nome di scienza applicata. Ci sono scienze e applicazioni della scienza, legate insieme come il frutto dell’albero che l’ha generato».

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