Di Simone Fontana
Il 15 novembre 2023 il quotidiano britannico Guardian ha rimosso dal suo sito web una lettera scritta nel 2002 da Osama Bin Laden, fondatore dell’organizzazione terroristica al-Qaeda e mente dietro gli attentati dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti d’America, a causa dell’inaspettata popolarità che il documento stava riscuotendo sui social media.
La missiva, intitolata “Letter to America” (in italiano, “Lettera all’America”), conteneva diverse accuse nei confronti del mondo occidentale, nonché una lista di crimini che sarebbero stati commessi dagli Stati Uniti e che avrebbero giustificato gli attacchi terroristici coordinati al World Trade Center e al Pentagono. Il Guardian aveva tradotto e pubblicato la lettera il 24 novembre 2002. Quasi ventuno anni più tardi lo stesso quotidiano ha spiegato che la rimozione del testo si è resa necessaria a causa dell’ampia condivisione sui social media «senza il contesto completo».
Diversi opinionisti hanno attribuito la responsabilità del ritorno in auge della lettera ai «giovani di TikTok», o più in generale alla Generazione Z, accusata di voler attuare un revisionismo in chiave anticolonialista alla figura di Bin Laden. Le dinamiche che hanno portato la lettera alla viralità, però, raccontano un’altra storia.
Come siamo tornati a parlare di Bin Laden
Come ricostruito dal Washington Post in un articolo piuttosto dettagliato, tra martedì 14 e mercoledì 15 novembre i video di TikTok dedicati alla lettera di Bin Laden erano stati in tutto 274, visualizzati complessivamente 1,8 milioni di volte. Per contestualizzare questo volume basti pensare che i video sulla cura della pelle ottengono giornalmente 252 milioni di visualizzazioni sulla piattaforma e che i video di anime (le opere di animazione giapponese) vengono riprodotti 611 milioni di volte al giorno.
Nel momento in cui il Guardian ha rimosso l’articolo, insomma, su TikTok si stava certamente parlando della lettera, ma il tema non era tra i trending topic della piattaforma. Secondo la ricostruzione del Washington Post, la spinta decisiva per regalare viralità alla lettera è arrivata da X, grazie a un post pubblicato lo stesso 15 novembre dal giornalista americano Yashar Ali, che mentre scriviamo ha raccolto 38 milioni di visualizzazioni.
Il post contiene un filmato di quasi 5 minuti che mette insieme alcuni dei principali contenuti circolati su TikTok in relazione alla lettera. Vale la pena precisare che Yashar Ali non aveva puntato il dito contro la Generazione Z, ma aveva specificato che «i TikTok provengono da persone di tutte le età, razze, etnie e background».
Il trend delle ricerche su Google dedicate alla lettera di Bin Laden mostra chiaramente come il tema fosse già diventato oggetto di interesse prima dei post di Ali, ma che la decisiva impennata di popolarità è arrivata proprio in seguito al successo del tweet.
L’effetto Streisand
Come abbiamo visto, TikTok non ha avuto un ruolo decisivo nella diffusione iniziale della lettera, ma le cose sono cambiate dopo la rimozione del contenuto decisa dal Guardian. È ciò che in gergo si definisce Effetto Streisand, il fenomeno mediatico a cui assistiamo quando il tentativo di censurare un contenuto o un’informazione ne provoca, al contrario, una più ampia diffusione.
Tale fenomeno deve il suo nome a una controversia legale tra l’attrice e cantante Barbra Streisand e il sito web Pictopia, che nel 2003 aveva pubblicato alcune foto della villa di Malibù della star statunitense. La denuncia di Streisand mirava a difendere il suo diritto alla privacy, ma una volta finito sui giornali il tentativo di rimuovere il contenuto finì per ottenere l’effetto opposto e le visualizzazioni della villa su Pictopia passarono da poche migliaia a più di 420 mila in un mese.
In modo simile, la scelta del Guardian di rimuovere la lettera ha convinto molti utenti della Rete che quel documento doveva essere particolarmente prezioso e che valeva dunque la pena diffondere il suo contenuto. A quel punto la lettera ha iniziato a circolare massicciamente anche su TikTok, tanto da convincere la piattaforma a rimuovere «proattivamente e aggressivamente» i video ad essa dedicati a partire dal 16 novembre, come dichiarato al Washington Post dal portavoce della compagnia Alex Haurek.
Nel momento in cui scriviamo, la maggior parte dei contenuti sono stati rimossi da TikTok per incitamento al terrorismo e una ricerca dell’hashtag #lettertoamerica sulla piattaforma restituisce oggi risultati quasi esclusivamente giornalistici.
I contenuti visualizzati dalla redazione di Facta prima del deciso intervento di moderazione non sono circoscrivibili a una particolare fascia demografica – proprio come riportato da Yashar Ali – e si concentravano su un particolare passaggio della lettera dedicato alle presunte responsabilità americane in relazione alla questione palestinese. Nessuno dei video visionati includeva riferimenti ai passaggi meno noti della lettera, come quello che accusa l’Occidente di «immoralità e dissolutezza», condannando l’omosessualità.
I filmati visionati da Facta, infine, non inneggiavano in alcun modo alla jihad o al terrorismo. Come segnalato anche da un articolo di Wired, il tono dei video su TikTok era più incentrato su una rivalutazione critica della politica estera americana, in chiave spesso sarcastica.