
Quella contro lo schwa è una battaglia soprattutto ideologica
La scelta del ministro dell’Istruzione Valditara di vietare l’uso dello schwa e dell’asterisco nelle comunicazioni scolastiche risponde più a un intento ideologico che a una reale urgenza
A tutte le scuole d’Italia il 21 marzo 2025 è stata recapitata una circolare da parte del ministero dell’Istruzione e del Merito, guidato da Giuseppe Valditara, in cui veniva chiarito «l’uso del simbolo grafico dell’asterisco (*) o dello schwa (ə) nelle comunicazioni ufficiali delle istituzioni scolastiche».
Il documento invita a «mantenere l’uso di un linguaggio corretto e accessibile, nel rispetto delle norme linguistiche vigenti». In poche parole si tratta di un’esortazione (non un obbligo) a non usare nelle comunicazioni ufficiali i due simboli identificati come emblema di un linguaggio di genere più inclusivo. Il provvedimento si basa su vari pareri dell’Accademia della Crusca, che nel settembre 2021 evidenziava come l’asterisco non sia utilizzabile «in testi di legge, avvisi o comunicazioni pubbliche, dove potrebbe causare sconcerto e incomprensione in molte fasce di utenti, né, tanto meno, in testi che prevedono una lettura ad alta voce». Nel maggio 2024 l’istituto concludeva il discorso senza mezzi termini, affermando che «la lingua giuridica e burocratica non sia sede adatta per sperimentazioni innovative che portano alla disomogeneità e compromettono la lineare comprensione dei testi».
Secondo quanto riportato da alcuni media, la circolare sarebbe il risultato di decine di segnalazioni al ministero dell’uso di asterisco e schwa nelle comunicazioni pubblicate sui siti web di alcune scuole italiane. Ad oggi, però, i casi noti non sono così numerosi e il ministero dell’Istruzione e del Merito non ha rivelato quanti e quali sarebbero le segnalazioni che sostiene di aver ricevuto.
Il provvedimento di Valditara ha immediatamente suscitato il giubilo della destra, con il ministro delle infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini che su Facebook, lo stesso 21 marzo, ha esultato con un «Basta con gli eccessi del politicamente corretto!». Anche Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera, ha espresso sulla stessa piattaforma la sua approvazione, sostenendo che, grazie alla decisione del ministro Valditara, a scuola «si tornerà a parlare e a scrivere in italiano». Il movimento antiabortista Pro Vita & Famiglia ha comunicato la propria piena soddisfazione, precisando come il gruppo rifiuti quella che chiama la «neolingua LGBT».
Non sono mancati, però, pareri contrari da parte dell’opposizione e in particolare del Partito Democratico (PD). Irene Manzi, responsabile nazionale scuola per il partito, ha reso noto il suo dissenso tramite un comunicato stampa in cui ha riferito che «il governo fa appello al rispetto della lingua italiana solo quando deve condurre battaglie ideologiche di retroguardia. La circolare con cui si raccomanda alle scuole di evitare l’utilizzo di asterischi e linguaggio schwa è l’ennesima arma di distrazione di massa». Secondo Manzi, infatti, l’attenzione del governo dovrebbe essere su elementi più urgenti come «il precariato,il recupero dei tagli, il dimensionamento scolastico, l’edilizia scolastica, qualità degli apprendimenti» e non su questioni ideologiche come l’uso di un linguaggio inclusivo.
Allo stesso modo anche la deputata del PD Maria Cecilia Guerra e l’europarlamentare Alessandro Zan hanno manifestato il loro disappunto sui social, dove quest’ultimo ha definito il governo Meloni «ossessionato» dalla sua personale lotta contro tutto ciò che favorisce inclusione. Anche alcuni utenti delle piattaforme si sono uniti a questa disapprovazione, chiedendo a Valditara di concentrarsi su problemi più urgenti come l’edilizia scolastica, la mancanza di insegnanti e personale scolastico o la garanzia dei diritti degli studenti con disabilità.
Il provvedimento di Valditara, dunque, non è passato inosservato. La scelta di vietare l’uso dello schwa e dell’asterisco nelle comunicazioni scolastiche sembra però rispondere davvero più a un intento ideologico che a una reale urgenza. A ben guardare, infatti, quello indicato dal ministro come un fenomeno preoccupante appare piuttosto come un falso problema: una pratica ancora poco diffusa, ben lontana dall’essere così invasiva da richiedere un intervento tanto drastico.
Schwa e asterisco per un ampliare il linguaggio
Negli ultimi tempi, la discussione sull’uso di un linguaggio che possa essere più inclusivo ha guadagnato sempre più spazio, attirando l’attenzione su soluzioni come lo schwa (ə) e l’asterisco (*), proposte per andare oltre il tradizionale utilizzo del maschile sovraesteso e, più in generale, per superare il binarismo di genere della lingua italiana che prevede l’uso o del femminile o del maschile.
Vera Gheno, sociolinguista che si occupa prevalentemente di comunicazione digitale, questioni di genere, diversità, equità e inclusione, ha spiegato a Facta che in alcune comunità LGBTQ+ questi simboli sono usati «per includere nei discorsi anche le persone che non si identificano nel genere maschile o femminile, o per parlare di loro o con loro», precisando che si tratta di «usi sperimentali, che non mirano a far parte della norma dell’italiano, ma cercano di evidenziarne i limiti».
Lo schwa, tradotto in italiano con “scevà”, è un carattere dell’alfabeto fonetico internazionale (IPA) rappresentato da una “e” ruotata di 180° (ə) che indica una vocale media-centrale, che si situa al centro del quadrilatero vocalico. Se per pronunciare le altre vocali è necessario modificare la posizione della bocca, per emettere il suono che corrisponde allo schwa la bocca deve rimanere in una posizione rilassata e semiaperta. Si tratta del suono iniziale della parola inglese “about” (che in italiano si traduce con “circa” o “riguardo a” a seconda del contesto) o di quello finale dell’espressione dialettale “jamm”, parola che in napoletano ha il significato esortativo di “andiamo”. Lo schwa non è presente nell’italiano standard, ma è possibile ritrovare questo suono in alcuni dialetti regionali.
Diversamente dallo schwa, l’asterisco non ha un suono, ma ha una funzione grafica e viene utilizzato per sostituire la desinenza di genere (ad esempio scrivendo “car* amic*”). Si tratta di un espediente utilizzato nei testi scritti, in particolare in ambiti informali e digitali, come strumento per rendere il linguaggio più inclusivo, evitando l’uso di giri di parole. È importante sottolineare, comunque, che l’uso dell’asterisco, come anche dello schwa, è ancora oggetto di dibattito tra linguisti e attivisti.
Le soluzioni adottate per utilizzare un linguaggio inclusivo sono molte e vanno dallo schwa all’asterisco, fino alla chiocciola, l’apostrofo e la barra. E ancora, dalla u, alla x, fino alla z (ad esempio “Buonasera a tuttz”). Secondo Gheno è importante ragionare sull’uso di un linguaggio ampio, che lei non chiama “inclusivo” perché l’inclusione continua a sottolineare la differenza di status tra chi include e chi si ritrova a “subire” l’inclusione, «perché il piano della lingua e il piano della realtà si influenzano a vicenda». Parole più rispettose della naturale varietà che caratterizza gli esseri umani possono, quindi, «aiutarci a cambiare atteggiamento nei confronti di tale varietà (in inglese diversity, appunto)».
Si tratta, quindi, di sperimentazioni, di tentativi che cercano di rispondere a due necessità: da un lato quella di rivolgersi a una moltitudine mista e dall’altro quella di parlare a una persona che non si riconosce nel binarismo di genere. Ma il ministro Valditara ha deciso di prendere di mira schwa e asterisco, due delle forme più diffuse per raggiungere questi obiettivi.
La circolare di Valditara punta il dito contro un “non-problema”
Dalla sperimentazione al ricorso a questi simboli nelle comunicazioni istituzionali il passo, però, è molto più lungo di quanto in realtà sembri. Il ministero dell’Istruzione e del Merito, infatti, ha trasmesso la circolare dichiarando che si tratta di un provvedimento che arriva dopo decine di segnalazioni.
Eppure in Italia l’uso dello schwa o dell’asterisco nelle comunicazioni istituzionali è ancora molto limitato e poco diffuso e i casi noti rispetto all’utilizzo di questi simboli da parte di istituti scolastici sono davvero pochi.
Nel febbraio 2025, circa un mese prima della diffusione della circolare da parte del ministro Valditara, l’Istituto Comprensivo A.S. Novaro-Cavour di Napoli era stato protagonista di una polemica per aver utilizzato la parola “bambin*” con l’asterisco in una comunicazione ufficiale destinata alle famiglie. La questione aveva provocato reazioni critiche da parte di molti genitori, allarmati dall’idea che modifiche linguistiche non ufficiali potessero influire negativamente sull’apprendimento dei bambini e delle bambine. Sul caso era intervenuto anche l’avvocato Angelo Pisani, presidente dell’associazione “Noiconsumatori – Movimento Anti Equitalia”, chiedendo un’ispezione ministeriale e chiarimenti immediati.
La redazione di Facta non ha trovato altri casi significativi in cui istituti scolastici di ogni livello abbiano utilizzato lo schwa o l’asterisco in comunicazioni ufficiali e il ministero dell’Istruzione e del Merito non ha risposto alle richieste di chiarimenti su questo punto.
«L’uso di schwa e asterischi nelle comunicazioni ufficiali di istituzioni pubbliche e scuole è larghissimamente minoritario, nell’ordine di poche decine di esempi di fronte a migliaia di testi», ha confermato Vera Gheno, aggiungendo che nella maggior parte dei casi, infatti, anche in caso di istituzioni molto attente alle istanze di genere, «c’è piena consapevolezza del fatto che un documento ufficiale o amministrativo non è il posto più adeguato per fare esperimenti linguistici». Secondo la sociolinguista quello sollevato da Valditara è un non-problema, un’«arma di distrazione di massa» da problemi più urgenti e concreti che il mondo della scuola si trova a dover affrontare.
Oltre la scuola
L’utilizzo di schwa, asterisco o altri espedienti per rendere il linguaggio più inclusivo non è particolarmente diffuso nemmeno in altri enti pubblici come Regioni, Comuni o Università. Ci sono alcuni esempi di realtà che hanno manifestato il loro interesse nei confronti dell’inclusività, ma anche in questo caso i riferimenti sono pochi e, per la maggior parte, non si tratta di imposizioni o sconvolgimenti totali del linguaggio nelle comunicazioni pubbliche.
Nell’aprile 2021 il Comune di Castelfranco Emilia aveva spiegato, con un post su Facebook, di aver iniziato a utilizzare lo schwa nelle proprie comunicazioni sul social per rispettare e valorizzare le differenze, adottando «un linguaggio più inclusivo» e spiegando che «al maschile universale (“tutti”) sostituiremo la schwa (“tuttə”), una desinenza neutra». La sperimentazione, però, sembra essersi interrotta, in quanto sul profilo social dell’istituzione locale non sono più presenti post che utilizzano quel simbolo.
Altre realtà, invece, hanno promosso l’uso di un linguaggio inclusivo, senza però richiedere necessariamente l’impiego dello schwa, dell’asterisco o di altri simboli. È il caso, ad esempio, del Comune di Bologna che nel 2023 ha realizzato un manuale intitolato “Parole che fanno la differenza. Scrivere e comunicare rispettando le differenze di genere” e pensato per supportare chi lavora nell’amministrazione pubblica a trovare soluzioni linguistiche rispettose delle differenze di genere. La guida propone alcune strategie per promuovere un linguaggio che tenga conto delle differenze, accompagnate da esempi pratici. Tra queste ci sono lo sdoppiamento (ad esempio: “le colleghe e i colleghi”) e l’uso di forme neutre, evitando di specificare il genere. Un esempio fornito è la preferenza per la formula: «Se pensi di aver ricevuto una multa ingiusta», al posto di «Se pensi di essere stato multato ingiustamente».
Un capitolo è dedicato anche all’utilizzo di simboli come l’asterisco e lo schwa, per segnalare l’assenza di un genere neutro nella lingua italiana. Il documento consiglia di utilizzare questi simboli, ad esempio, quando è la persona stessa a impiegarli per riferirsi a sé in una comunicazione, come una mail. In questi casi, è buona prassi rispettare la sua scelta e rispecchiarla nella risposta.
L’Università di Torino dal 2015 ha avviato un percorso per rendere la propria comunicazione sempre più inclusiva, partendo dagli uffici amministrativi, per aiutarli a scrivere un documento senza utilizzare il maschile sovraesteso e indicando alcuni stratagemmi linguistici come l’impiego dell’alternanza del maschile e del femminile; inoltre, dal 2016 la pagina web dedicata al personale dell’ateneo evita il maschile universale preferendo la formula generica «Professore/Professoressa».
Dal 2023 l’Università ha provato a rendere la propria comunicazione sempre più inclusiva e attenta alla diversità, non solo dal punto di vista linguistico ma anche visivo. Per raggiungere questo obiettivo, ha avviato un percorso di formazione rivolto a chi si occupa della comunicazione esterna dell’ateneo: addetti stampa, responsabili web e social media manager sono stati coinvolti per sviluppare maggiore consapevolezza nell’uso delle parole e delle immagini. Anche la scelta di una semplice foto per un post viene ora valutata con attenzione, per evitare di rafforzare stereotipi visivi, come quello del ricercatore rappresentato esclusivamente da uomini bianchi in camice, che esclude altre discipline e identità.
Anche altre università hanno pubblicato delle linee guida per l’adozione di un linguaggio ampio, inclusivo e rispettoso delle differenze, come l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro o il Politecnico di Torino, o altri enti di ricerca come il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR). Nessuno di questi manuali, però, impone l’uso di simboli o espedienti che non appartengono alla lingua italiana, ma propongono soluzioni già esistenti per l’impiego di un linguaggio il più possibile inclusivo e attento alle differenze.
Anche al di fuori dell’ambito scolastico, i contesti in cui si sceglie di adottare un linguaggio inclusivo restano ancora limitati. Quando questo accade, però, l’approccio è spesso orientato al suggerimento più che all’imposizione: l’uso di simboli come l’asterisco o lo schwa, che non appartengono formalmente alla lingua italiana, non viene generalmente richiesto. Piuttosto, si offrono indicazioni e consigli su come esprimersi in modo rispettoso e non discriminatorio, valorizzando la diversità attraverso scelte linguistiche consapevoli.
Un linguaggio escludente?
La notizia della circolare inviata dal ministro Valditara ha riaperto un dibattito sull’utilizzo del linguaggio inclusivo che in realtà non lo sarebbe del tutto, perché escluderebbe una serie di persone. In particolare chi farebbe più difficoltà a fruire di testi che contengono questi segni sarebbero: persone con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), persone neurodivergenti o altre che fruiscono di contenuti scritti (online e non) tramite sintesi vocale come persone cieche o ipovedenti.
«Credo che sia un contesto complicato», ha spiegato a Facta Fabrizio Acanfora, attivista, musicista e studioso di disability e critical autism studies, «poiché prima di tutto non esiste una sola comunità di persone neurodivergenti, con un pensiero unico e un solo punto di vista. Io incontro tante persone neurodivergenti e ognuna ha un’idea diversa rispetto a questo tema».
Si tratta, quindi, di un argomento complesso e sfaccettato, che non può essere ridotto a semplificazioni. Inoltre, secondo Acanfora, è importante considerare la sovrapposizione di DSA, neurodivergenze o disabilità con le identità di genere delle singole persone. «Ci sono persone autistiche che non si riconoscono in un’identità di genere binaria e che tendono a utilizzare lo schwa o l’asterisco» ha continuato lo studioso, sottolineando come l’utilizzo di questi simboli vari in base alla storia personale di ogni persona.
Nel 2022, ad esempio, il collettivo transfemminista “Fərocie” aveva pubblicato un post su Facebook in difesa dell’uso dell’utilizzo dello schwa, criticando la strumentalizzazione delle neurodivergenze per delegittimare le istanze LGBTQ+ e transfemministe. Nel testo il collettivo riportava: «ad esempio, chi ha scritto la petizione contro l’utilizzo della schwa [lanciata nello stesso anno e firmata da vari studiosi, accademici e scrittori, ndr] ha arbitrariamente deciso, senza minimamente consultarci, che tuttə noi persone neurodivergenti avremmo problemi a leggerla e a utilizzarla, cosa che, come si evince da questo comunicato, non è affatto vera».
Lo schwa, l’asterisco, e tutti i simboli ad oggi utilizzati sono espedienti che provano a superare il binarismo dettato dalla lingua italiana, non sono imposizioni, ma sono piuttosto sperimentazioni nate dalla necessità di una serie di persone che non si sentono rappresentate dalla lingua italiana al suo stato attuale. «La soluzione» ha continuato Fabrizio Acanfora, «non è ripristinare lo status quo e quindi tornare al momento precedente [cioè prima di sperimentare con simboli come lo schwa e l’asterisco, ndr], ma ascoltare tutte le parti coinvolte», come ad esempio persone che sono in difficoltà a leggere determinati simboli, «affrontando la questione in maniera costruttiva».
Acanfora ha fatto notare, inoltre, la natura ideologica di questo dibattito, sottolineando ad esempio come anche l’uso delle emoji metta in difficoltà le persone che leggono utilizzando uno screen reader, «eppure nessuno sta facendo una battaglia contro il loro uso». O ancora, come la locuzione “piuttosto che” sia ormai da anni utilizzata con valore elencativo, nonostante la lingua italiana preveda un valore disgiuntivo per questo costrutto, ma anche in questo caso non è stata scatenata una battaglia in difesa della lingua. «La lingua evolve», ha concluso Fabrizio Acanfora, «magari il cambiamento non sarà esattamente dove stiamo sperimentando adesso, ma sicuramente tra cinquant’anni non parleremo la stessa lingua che parliamo adesso».
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