Il 29 marzo 2021 la redazione di Facta ha ricevuto una segnalazione via WhatsApp che chiedeva delucidazioni circa «uno studio pubblicato sulla famosa rivista Lancet dall’importante scienziata Gandini», secondo cui «i bimbi non si contagiano a scuola». L’utente ci chiede se è vero che i «bambini sono sicuri a scuola» dal momento che «ci sono stati tanti casi nelle scuole».
Le informazioni riportate nella segnalazione sono imprecise, mentre lo studio citato è tutt’altro che definitivo.
Innanzitutto, la segnalazione fa riferimento a uno studio scientifico pubblicato nella seconda metà di marzo su Lancet Regional Health – Europe, che non è la famosa rivista medica, ma una delle sue pubblicazioni affiliate. Lancet Regional Health non è una pubblicazione «prestigiosa» – come l’ha erroneamente definita il Corriere della Sera in un articolo del 21 marzo 2021 – e questo perché la rivista è attualmente sprovvista di impact factor, l’indice bibliometrico che misura il numero di citazioni ricevute da una rivista e ne delinea il prestigio.
L’assenza di impact factor non significa che la rivista sia malfamata o predatoria, ma che è troppo presto per misurare il suo impatto sul mondo accademico: la sua prima pubblicazione risale infatti al mese di febbraio 2021. Come ha precisato su Facebook Sara Gandini, tra gli autori della pubblicazione, lo studio era stato inizialmente sottoposto alla rivista The Lancet e sono stati i suoi editori a proporre la soluzione del Lancet Regional Health. Il Lancet è realmente una delle pubblicazioni più prestigiose in circolazione, con un impact factor di 60,392: sommando i risultati degli ultimi cinque anni e quelli dei suoi diretti concorrenti, la rivista si classifica in quarta posizione, dietro solo a Nature, The New England Journal of Medicine e Science. Si tratta di un dato significativo, ma che comunque non rappresenta una garanzia assoluta di affidabilità.
Lo studio, intitolato “Studio sul ruolo delle scuole nella seconda ondata di SARS-CoV-2 in Italia” (il titolo scelto inizialmente dagli autori era “Non c’è prova scientifica dell’associazione tra le scuole e la seconda ondata di SARS-CoV-2 in Italia”), è stato realizzato dalla direttrice del Dipartimento di epidemiologia e biostatistica dell’Istituto Europeo di oncologia di Milano Sara Gandini in collaborazione con Maurizio Rainisio (biostatistico all’organizzazione di consulenza clinica AbaNovus), Maria Luisa Iannuzzo (specialista in Medicina legale), Federica Bellerba (biostatistica all’Istituto europeo di oncologia), Francesco Cecconi (ordinario di Biologia dello sviluppo all’università di Tor Vergata) e Luca Scorrano (professore di Biochimica all’università di Padova).
Lo studio ha preso in considerazione i casi di contagio da Covid-19 segnalati da 7.976 scuole italiane (il 97 per cento del totale) nel periodo compreso tra il 12 settembre e l’8 novembre 2020. Gli autori della ricerca hanno misurato l’incidenza del contagio nelle varie fasce della popolazione scolastica – studenti di elementari e medie, studenti delle superiori, personale scolastico docente e non docente – confrontandolo con quello sulla popolazione generale. Lo studio ha concluso che, nel periodo osservato, l’incidenza di studenti positivi nelle scuole è stata inferiore a quella registrata nella popolazione generale (66 casi ogni 10mila abitanti nelle scuole elementari e medie, 98 casi ogni 10mila abitanti nelle scuole superiori contro i 108 positivi ogni 10mila abitanti della popolazione generale), mentre quella del personale scolastico quasi il doppio (220 casi ogni 10mila abitanti).
«La nostra analisi fornisce la prova che le aperture scolastiche non devono essere considerate come un fattore rilevante per la diffusione dell’epidemia di COVID-19» concludono gli autori «i nostri dati aggiungono ulteriore supporto alla nozione consolidata che rischi di chiusura delle scuole non sono controbilanciati dai benefici».
I risultati dello studio hanno avuto ampio risalto nella stampa mainstream e sono stati generalmente interpretati come un buon motivo per riaprire le scuole (ad esempio qui e qui). Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, l’articolo pubblicato su Lancet Regional Health sarebbe stato anche alla base della decisione del governo Draghi di riaprire le scuole elementari e medie dopo le festività pasquali, comunicata dal presidente del Consiglio nella conferenza stampa del 26 marzo (in quell’occasione il presidente del Consiglio aveva parlato di «evidenze scientifiche» – qui dal minuto 21:03 – a supporto della scelta).
Ma insieme allo spazio mediatico, lo studio ha attirato anche numerose critiche autorevoli. Una delle più dettagliate è stata pubblicata il 29 marzo sul quotidiano Domani dall’ex ricercatore di neuroscienze e giornalista Andrea Casadio e punta il dito contro l’attendibilità del periodo analizzato. Secondo la maggior parte delle critiche, alla data dell’8 novembre 2020 il rischio di contagio era generalmente inferiore, perché la seconda ondata non era ancora scoppiata del tutto e il peso delle varianti del virus si faceva sentire meno.
Ci sarebbe inoltre un problema insito nella stessa natura del virus Sars-Cov-2, che secondo i critici sarebbe stato sottovalutato dallo studio: i bambini hanno una probabilità maggiore di risultare asintomatici, ovvero di contribuire alla diffusione del virus senza che in molti casi questo possa essere rilevato.
A tutti questi particolari, definiti da Domani «falle nello studio» si aggiungono poi numerosi studi che sembrano giungere alla considerazione opposta, ovvero che le scuole siano un luogo privilegiato di diffusione del virus. Tra questi vale la pena citare quello pubblicato a febbraio 2021 su Nature da Brauner et al., lo studio del Bmc Medicine che sottolinea «una forte evidenza di un’associazione tra chiusura della scuola/restrizioni del movimento) e Rt ridotto» e le pubblicazioni su Scientific Reports e Nature Human Behaviour. C’è infine uno studio pubblicato sul Lancet Infectious Diseases – altro spin-off della prestigiosa rivista scientifica – che ha rilevato «Una tendenza decrescente nel tempo dell’indice di riproduzione della malattia» dovuta alle misure restrittive intraprese dai governi, compresa quella relativa alla chiusura delle scuole.