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“Lucio Battisti era fascista”, storia di un falso mito

Non essendosi mai schierato politicamente, a causa di equivoci e dicerie Battisti è stato da sempre accusato di essere fascista

23 dicembre 2024
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L’articolo è stato aggiornato il 30 dicembre 2024 dopo che la redazione di Facta ha trovato nuove informazioni sulla fonte della fotografia che sembra ritrarre Lucio Battisti fare il saluto romano.

 

Recentemente sui social una presunta foto di Lucio Battisti con il braccio destro teso verso l’alto ha ricevuto migliaia di like e visualizzazioni. L’immagine è stata rilanciata in particolar modo da account che diffondono contenuti di estrema destra. Questo perché il messaggio che si vuole rimarcare è l’appartenenza del famoso musicista e cantante italiano a quell’area politica. 

Esiste infatti da decenni la credenza che Lucio Battisti fosse, a livello di credo politico, fascista. Ma si tratta in realtà di una leggenda senza alcun riscontro fattuale, smentita più volte dalle persone più vicine all’artista. Nonostante questo, ciclicamente il mito di “Lucio Battisti fascista” ritorna, come una diceria che sembra essere indissolubilmente legata alla fama e all’eredità artistica del musicista e cantante morto nel 1998.

Una diceria dura a morire

Proprio la recente diffusione di questa presunta foto di Lucio Battisti che sembra fare il saluto romano permette di comprendere in che modo questa tesi infondata sia riuscita a sopravvivere per così tanto tempo. 

In base a una ricerca inversa per immagini, la prima condivisione di questa immagine sembra risalire ai primi giorni di luglio di questa estate. A pubblicarla è stato un account Facebook che diffonde contenuti politici legati alla Lega di Matteo Salvini e di appoggio e sostegno all’eurodeputato leghista Roberto Vannacci, generale dell’esercito italiano sospeso dal servizio per 11 mesi dopo la pubblicazione di un libro contenente una serie di commenti omofobi, sessisti e razzisti e criticato per posizioni espresse in passato, come l’aver definito il dittatore fascista Benito Mussolini uno «statista» e dichiarato che la Costituzione italiana «non impone di dirci antifascisti». Nella galleria di foto del profilo compaiono anche immagini create con l’intelligenza artificiale che ritraggono Vannacci a torso nudo che fa surf e altre in cui il generale è rappresentato come Superman

Nel testo che accompagna la presunta foto di Lucio Battisti con il braccio teso, l’autore del post scrive: «Dicono che questa foto sia falsa, un fotomontaggio… oppure che, con il braccio destro teso e la dita chiuse, stesse indicando qualcosa durante un concerto…. Cosa importa se la foto sia vera o falsa… resta il fatto che Battisti era di dx e anticomunista… e questo i compagni non lo riescono ad accettare perché le sue canzoni piacciono anche a loro… sono universali…». Il messaggio si conclude poi con l’affermazione secondo cui «la verità è lì… limpida è l’immagine e si offre nuda a noi… che continuiamo a volare più in alto e più in là, planando sopra boschi di braccia tese… Il “mare nero” era, è e resterà chiaro e trasparente…».

Chi ha diffuso sui social media per primo questa immagine non sa, per sua stessa ammissione, se si tratti di una foto reale o di un fotomontaggio creato per disinformare. O se lo scatto ritragga davvero Lucio Battisti o una persona a lui somigliante. La redazione di Facta, grazie a una segnalazione, è riuscita a rintracciate la sua origine. La foto è un fermo immagine che proviene dal videoclip della canzone “Maledette Rockstar”, contenuta nell’omonimo album della band italiana Maisie, uscito nel 2019. Nel video una persona molto simile a Battisti alza il braccio destro come se dovesse fare il saluto romano quando in realtà stava chiamando l’autobus a una fermata. Questa scena vuole richiamare il falso mito di “Lucio Battisti fascista”, esplicitamente nominato dai Maisie in un’intervista sul nuovo disco. Un indizio utile e chiaro a capire il riferimento è la parola “Ducio Battisti” che compare nel video; il nome deriva da una mescolanza delle parole “Lucio” e “duce”. 

Nonostante la persona ritratta non sia veramente Lucio Battisti, ma una sua “parodia”, l’immagine è stata rilanciata lo stesso per continuare ad alimentare la leggenda del tutto infondata che vuole Lucio Battisti fascista. Per farlo sono state anche utilizzate letture fuorvianti di alcuni versi dei testi del duo Battisti-Mogol (ovvero Giulio Rapetti, il paroliere del musicista da metà degli anni ‘60 al 1980). E proprio questa è la modalità con cui è nata e si è diffusa questa diceria sull’orientamento politico di uno dei maggiori artisti italiani del secolo scorso.  

Le origini del mito 

Come racconta Francesco Buffoli su OndaRock, in una sera d’estate del 1964 si esibì in un noto locale ligure una band di ragazzi chiamata “Campioni”. A catturare in particolare l’attenzione del pubblico era stato lo stile originale del chitarrista del gruppo, un ventunenne riccioluto nato nel 1943 a Poggio Bustone, in provincia di Rieti, di nome Lucio Battisti, che da quel giorno avrebbe iniziato la scalata verso il successo. Pochi mesi dopo, il giovane musicista viene notato da Christine Leroux, produttrice musicale francese per la casa discografica Ricordi, che lo presentò al paroliere Giulio Rapetti perché Battisti aveva sì un talento compositivo, strumentistico e vocale ma non sapeva scrivere i testi delle canzoni. «Nacque così, grazie anche alla semplice illuminazione di una ragazza d’oltralpe, il connubio più famoso, discusso e al contempo celebrato della storia del pop italiano: nacquero così, quasi per caso, Battisti e Mogol», spiega Buffoli.

I due iniziarono fin da subito a scrivere canzoni, che inizialmente furono interpretate con successo da altri artisti. Nel 1969 uscì poi il primo disco intitolato “Lucio Battisti”, che segna l’inizio del successo artistico e musicale del duo. Già dal primo disco, si legge ancora su OndaRock, vengono messe in chiaro le intenzioni di Battisti e Mogol anche dal punto di vista strettamente lirico: i testi delle canzoni guardano in particolare al privato, «tralasciando qualsivoglia tematica socio-politica e/o “impegnata”; raccontano le paure dell’everyman, sviscerano le sue debolezze e la sua fragilità, l’ansia del quotidiano, le piccole cose che possono trasformarti la vita o semplicemente una giornata, i fallimenti amorosi, le delusioni, le gioie più grandi». 

Proprio le tematiche affrontate nelle loro canzoni portarono negli anni ‘70, decennio di accese lotte politiche e impegno politico da parte di molti cantautori dell’epoca, alle prime critiche ai due, accusati di non essere esplicitamente schierati politicamente. In un’intervista del 2020 lo stesso Mogol ha dichiarato: «L’impegno, a quel tempo, era essere di sinistra, fare testi sulla classe operaia, le contestazioni… io parlavo della sfera privata». E proprio queste accuse fanno nascere il mito di Battisti fascista. Come ricostruisce il giornalista e scrittore Luca Pollini nel libro “Musica leggera e anni di piombo” (2013) «negli anni Settanta, anni ‘caldi’, si legge anche tra le righe, e si legge anche quello che non c’è scritto. Ed ecco arrivare le prime critiche a Battisti. Prima viene tacciato di qualunquismo poi, dopo la pubblicazione di “La canzone del sole”, si sparge la voce che sia di destra. Al movimento non piace per niente la frase del ritornello “un mare nero, mare nero, mare ne” che viene riconosciuta come metafora della simbologia fascista. E questo è solo l’inizio». 

Nacque infatti quella che il Secolo XIX in un articolo sull’argomento ha definito «una mitologia interpretativa» che inquadrava i testi delle canzoni di Mogol e Battisti nel campo della destra. Così, ad esempio, dopo “La canzone del sole”, il verso “planando sopra boschi di braccia tese” della canzone “Collina dei ciliegi” viene letto come l’evocazione di un’adunata fascista. C’è poi l’esegesi del “Il mio canto libero” secondo nel brano ci sarebbero richiamo nostalgici al regime fascista e al dittatore Benito Mussolini: “In un mondo che non ci vuole più il mio canto libero sei tu” (Mussolini) / “E l’immensità si apre intorno a noi al di là del limite degli occhi tuoi” (riferimento alle folle che si radunavano per vedere il Duce). 

Ma si trattava in realtà di riletture del tutto false, come ha più volte affermato chi quei versi li aveva scritti. Nel 2016 per smentire nuovamente la diceria tornata nel dibattito pubblico dopo la notizia che un docente di musica avesse dato un brutto voto a una studentessa perché aveva detto in classe di aver sentito dire che Battisti era fascista, Mogol ha affermato che il musicista «non è mai stato interessato alla politica. E io ne sono un testimone diretto: con me non ne ha mai parlato. Sono cose buttate lì, senza senso. Il punto è che all’epoca, negli anni Sessanta e Settanta, o andavi in giro con il pugno alzato e cantavi Contessa, oppure eri fascista. O qualunquista. Ma io e Lucio eravamo semplicemente disinteressati alla politica e quando si votava, lo si faceva per il meno peggio. Preferivamo raccontare il privato, anche se brani come Anima Latina erano molto sociali, e per questo siamo stati denigrati».

In un’intervista del 2005 al Corriere della Sera, sempre Mogol ha raccontato di altre letture infondate che contribuirono ad alimentare le voci infondate su Battisti e la destra. «Facevamo un programma televisivo in cui alla fine, su sfondo nero, Lucio intonava: “Io lavoro, e penso a te/ torno a casa, e penso a te/ Le telefono e intanto penso a te”. A un tratto alzava il braccio teso: si accendevano le luci e gli ospiti della puntata si univano al coro: papapapapà. Era un segnale. Fu interpretato come un saluto romano. Poi facemmo un disco con in copertina un gruppo di uomini a braccia levate; era un’invocazione da coro di tragedia greca, ma i fascisti conclusero: è dei nostri. Era la malattia degli anni Settanta». 

Dopo le accuse da sinistra, ci fu quindi anche un’”appropriazione ideologica” dell’opera artistica del duo Battisti-Mogol da parte dei gruppi di estrema destra che, a differenza della sinistra italiana, non potevano vantare grandi cantautori dichiaratamente vicini alla propria corrente, afferma Chiara Longo su Rockit. «Con questa mancanza potrebbe spiegarsi il desiderio di avvicinamento a uno dei più grandi cantautori italiani che non si era mai schierato apertamente a sinistra, e che di conseguenza è stato più facilmente ricollocabile a destra. Lo stesso trattamento è stato riservato ad altre opere non dichiaratamente politiche, per esempio “Il signore degli anelli” di Tolkien, amatissimo dai sostenitori della destra, tanto che tra il ’77 e l’‘81 il Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile dell’MSI, organizzò delle manifestazioni chiamate “Campi Hobbit”», conclude la critica musicale.

Il finanziamento all’estrema destra mai provato

Nel 2020 il falso mito su Battisti è tornato prepotentemente a circolare dopo un’intervista rilasciata da Aldo Giannuli, storico e consulente di vari magistrati in materia di intelligence, al sito di musica Rockol.it. Giannuli raccontò che nel corso di un’indagine della Procura della Repubblica di Milano sulle stragi degli anni Settanta si era imbattuto in una serie di documenti dell’Ufficio affari riservati, il servizio segreto del ministero dell’Interno, dove vi era «un’informativa che indicava Lucio Battisti come sovvenzionatore del Comitato Tricolore, un’organizzazione fondata da Mario Tedeschi, senatore del Movimento Sociale Italiano e direttore del settimanale Il Borghese, per aiutare gli attivisti di estrema destra che avevano guai con la giustizia. Il Comitato Tricolore svolgeva in sostanza a destra le funzioni che a sinistra erano prerogativa del Soccorso Rosso».

Lo stesso storico però aveva aggiunto di non aver dato molto peso a quel documento perché «abituato a leggere tra le note confidenziali dei servizi segreti parecchie balle stratosferiche che servivano soltanto a far incassare quattrini agli informatori». Come aveva spiegato infatti Repubblica, è noto che le soffiate all’epoca venivano retribuite dai servizi segreti italiani e che quindi potevano essere fatte anche soltanto a questo scopo. Anche in questo caso, Mogol intervenne per smentire la possibilità che Battisti avesse donato soldi per simile cause: «Lucio era molto parsimonioso, ma non un avaro: direi che è impossibile che abbia sovvenzionato la destra, anche perché mi avrebbe accennato qualcosa. Io non l’ho mai sentito parlare di politica, che era estranea al suo modo di pensare».

In effetti nel 1974, durante un colloquio con Renato Marengo per un’intervista al settimanale musicale Ciao 2001, lo stesso Battisti, secondo quanto riportato dal giornalista, aveva dichiarato di non interessarsi «assolutamente di politica. È proprio fuori dal mio mondo. Da quando ero ragazzino sono sempre stato talmente ed esclusivamente preso dalla musica, dalle registrazioni, dalla composizione, da prove, arrangiamenti, lettura dei testi, discussioni con Giulio (Mogol, ndr), che anche volendo non troverei il tempo per comprendere che cosa vogliano la sinistra e la destra». «Di una cosa sono certo: non credo proprio che per scrivere buona musica o belle canzoni si debba essere iscritti a questo o a quel partito», aveva concluso il cantante. Anche i parenti più stretti di Battisti confermano questa ricostruzione. Intervistato nel 2019 da Chi, Andrea Barbacane, figlio di Albarita, la sorella dell’artista laziale, aveva spiegato che «il Battisti politico non è mai esistito perché zio Lucio non votava neanche, lasciava a casa di nonno le cartoline elettorali».

La lettera di Lucio Battisti del 1992 

A 25 anni dalla morte di Lucio Battisti, nel 2023 viene pubblicato un libro intitolato “Balla coi libri. 50 anni di controcultura fra passato e presente” in cui Marcello Baraghini, fondatore e animatore della casa editrice Stampa Alternativa, racconta la propria avventura personale, editoriale e politica. Nel volume è presente anche una lettera che nel 1992 il musicista e cantante italiano scrisse proprio a Baraghini, che all’epoca aveva deciso di candidarsi con i radicali di Marco Pannella. E proprio il testo della missiva degli anni novanta carico anche di ironia, afferma il giornalista Carlo Martinelli su Domani, «ci consegna un artista quasi barricadero, altro che reazionario, altro che fascista. E le sue parole, intrise di bellezza e lucidità, confermano semmai il suo essere fuori dal coro, per collocarsi però in una posizione sorprendente, alla luce di quel che si è raccontato (meglio, favoleggiato) per anni».  

«Caro Marcello, hai chiesto di scriverti perché bisognerebbe votare per te e di manifestare pubblicamente tale motivazione. Presto fatto: votare per Marcello Baraghini non serve assolutamente a niente. Non serve a spostare una virgola negli sclerotici equilibri generali del sistema politico. Non serve ad avere la benché minima voce in capitolo nell’ammuffito dibattito interpartitico già preordinato. Non serve a far leva su nessun interesse lobbistico o mafioso. Non serve a far confluire consenso sul mummifico schieramenti referendario e/o trasversalitico. Non serve a far tacere Cossiga. Non serve a sferzare la letargica sinistra italiana. Non serve alla politica. Non serve alla Patria. Non serve all’Europa. Come direbbe qualsiasi iscritto a qualunque schieramento politico italiano, votare Marcello Baraghini significa solo disperdere il voto». Il cantante con ironia invitava l’amico a lasciar perdere, «lasciami in pace al calduccio dei miei quarant’anni suonati, un po’ schifato e un po’ annoiato. Piantala di rompere le scatole alle nuove generazioni: non capirebbero!. Firmato: Lucio Battisti». Per poi aggiungere in un post-scriptum: «Maledetto rompicoglioni avevo deciso di non andare a votare! Sono stato costretto a ragionare per scriverti questa lettera (e ragionare, di questi tempi, è pericoloso). Per non sentirmi un verme sono costretto a partecipare a queste fottutissime elezioni e darti il mio fottutissimo voto».

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