In un sondaggio del 2021 pubblicato su The Lancet Planetary Health, l’84 per cento di 10.000 giovani tra i 16 e i 25 anni ha dichiarato di sentirsi moderatamente o estremamente preoccupato per il futuro climatico del pianeta. Più della metà ha riportato sentimenti di tristezza, ansia, rabbia, impotenza, frustrazione e senso di colpa, mentre il 39 per cento ha affermato di essere esitante all’idea di avere figli. Questi dati riflettono una domanda sempre più crescente ed urgente: è giusto mettere al mondo dei figli durante la crisi climatica?
Viviamo in un’epoca di profonde preoccupazioni ambientali, molte delle quali sono rivolte proprio alle nuove generazioni. Tra queste emerge l’eco-ansia, che si manifesta come una preoccupazione profonda e persistente legata al futuro, che può influenzare significativamente le scelte riproduttive, riducendo il desiderio di molte persone giovani di diventare genitori. La riproduzione è intrinsecamente legata all’immaginazione del futuro; e se un tempo era una scelta più intima e personale, oggi è sempre più intrecciata alla consapevolezza delle implicazioni ambientali e ai dilemmi etici complessi legati alla sostenibilità. La crisi climatica non è più solo una minaccia ma una realtà, una realtà che colpirà maggiormente le generazioni a venire e metterà in pericolo popolazioni più vulnerabili, come donne (specialmente in gravidanza) e bambini. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’88 per cento delle malattie legate al cambiamento climatico colpisce i bambini sotto i cinque anni, compromettendo gravemente la loro salute mentale e il loro sviluppo. Gli eventi atmosferici estremi, che sono sempre più frequenti ed intensi, possono influenzare in modo duraturo il percorso di sviluppo dei bambini, con conseguenze negative sul rendimento scolastico e sulla salute mentale in età adulta. Questo stress climatico può essere trasmesso alle generazioni future, come suggerisce il concetto di trauma intergenerazionale: le difficoltà vissute da una generazione possono infatti lasciare un’impronta psicologica e sociale anche su quelle successive. Nel frattempo, le risorse del pianeta si stanno esaurendo sotto la spinta della popolazione mondiale, che si avvicina ormai agli otto miliardi. E mentre ci dirigiamo verso gli undici miliardi di persone nel 2100, la domanda non è solo se il pianeta potrà sostenere le nuove generazioni, ma in quali condizioni saranno costrette a vivere – e se, come futuri genitori, vogliamo realmente contribuire ad aumentare la popolazione in questo contesto.
In uno studio condotto quest’anno dal mio gruppo di ricerca (Innocenti, Santarelli, Comerci, et al., 2024), abbiamo sviluppato la Climate Change-related Reproductive Concerns Scale (CCRCS) uno strumento psicologico per misurare quanto il cambiamento climatico influenzi le scelte riproduttive. La costruzione della scala è stata guidata da una revisione narrativa della letteratura, che ha evidenziato che le attitudini riproduttive legate al cambiamento climatico sono influenzate da due fattori: la paura che i propri figli possano vivere le conseguenze del cambiamento climatico, e dalle preoccupazioni legate all’impronta ecologica che fare un figlio avrebbe – e quindi della sovrappopolazione.
In questo contesto, la scelta di non avere figli viene interpretata sempre di più come un atto di responsabilità ecologica, riducendo così una decisione tanto personale ed emotiva, a una questione di consumo, al pari di altre azioni ecologiche. Un articolo del Guardian del 2017, intitolato “Vuoi combattere il cambiamento climatico? Fai meno figli”, presentava uno studio che metteva la scelta di avere figli sullo stesso piano di altre azioni come adottare una dieta vegetale, mostrando come la prima sia la più insostenibile che possiamo prendere. In questo e in altri articoli, la decisione di non procreare viene spesso rappresentata come una delle azioni più potenti per ridurre la propria “impronta ecologica”. Nel 2018 è nato anche il movimento Birthstrike, che invitava gli individui a impegnarsi a non avere figli come forma di protesta contro le misure insufficienti adottate per combattere il cambiamento climatico.
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