Già alla fine del XIX secolo, Ernst Forstemann, bibliotecario tedesco a Dresda e uno dei primi a decifrare il calendario del “Lungo Computo” dei Maya, fece un primo accenno a una possibile profezia. Lavorando su un documento Maya noto come “codice di Dresda”, Forstemann ha interpretato una scena riportata nell’ultima pagina in cui appaiono degli dei con alcune armi in mano e un serpente, come simbolo della distruzione del mondo. Nonostante non collegò direttamente questo fatto alla fine del tredicesimo “bak’tun”, secondo alcuni studiosi creò comunque le premesse perché le persone pensassero che esistesse un mito Maya sulla fine del mondo.
Nel 1966, Michael Coe, archeologo americano, nella prima edizione del suo libro “The Maya” avanzò delle ipotesi su come questo popolo potesse concepire la fine del tredicesimo “bak’tun”. Coe suggerì che una possibile interpretazione della fine di questo ciclo potesse essere la distruzione del mondo, un’idea che si basava principalmente sui miti aztechi riguardanti la creazione e la distruzione dei mondi. Tuttavia, egli stesso ammetterà più tardi che «allora come oggi, nessuna fonte Maya ha mai avanzato simili affermazioni riguardo al 2012». Queste interpretazioni, però, avevano dato il via a una serie di analisi successive che hanno collegato la fine del ciclo dei Maya con la fine del mondo. Nel 1975 Frank Waters, scrittore americano, riprese le speculazioni di Coe nel suo libro Mexico Mystique: The Coming Sixth Age of Consciousness, in cui ipotizzò che alla fine del tredicesimo “bak’tun” il mondo sarebbe stato distrutto da una serie di catastrofici terremoti, anche se aveva sbagliato a calcolare la data e definì il 2011 come l’anno della fine del mondo.
Le fondamenta della cospirazione, così come si è diffusa in seguito, sono state gettate proprio in questo contesto, anche se probabilmente la figura che ha avuto il maggior ruolo nel diffondere il mito del 2012 è stato José Argüelles, scrittore e artista New Age, che nel 1987 scrisse The Mayan factor: path beyond technology. Secondo Argüelles il 2012 sarebbe stato un anno di cambiamenti catastrofici sulla Terra, seguito da una nuova età dell’oro. L’autore era convinto anche che i Maya fossero viaggiatori intergalattici che giunsero sulla Terra, vi rimasero per qualche secolo, lasciarono i loro indizi e poi se ne andarono.
E da qui una serie di altre interpretazioni su come sarebbe finito il mondo nel 2012 si sono diffuse negli anni successivi. Una delle più famose è probabilmente quella che riguarda il pianeta X, o Nibiru, che sarebbe stato destinato a scontrarsi con la Terra o, comunque, le sarebbe passato molto vicino. Nel novembre 2012 la Nasa aveva smentito vari dei falsi miti che circolavano sulla fine del mondo, tra cui anche questo. Secondo gli scienziati dell’agenzia statunitense, infatti, se i movimenti di quel pianeta avessero previsto una collisione con la Terra, gli astronomi lo avrebbero seguito da almeno un decennio e in quel periodo sarebbe già stato visibile a occhio nudo.
Stando alla Nasa gli unici due motivi astronomici importanti – e reali – per ricordare il 2012 erano due: da un lato il raro allineamento di Venere con il sole e la Terra, durato circa 6 ore e che si verifica a coppie di otto anni l’una dall’altra, separate da periodi che variano tra i 105 e i 121 anni (gli ultimi transiti sono avvenuti nel 2004 e, appunto, nel 2012 e il prossimo non avverrà prima del 2117); dall’altro un’eclissi solare totale che è stata visibile dall’Australia nel novembre di quell’anno.
Nonostante le smentite degli scienziati che hanno preceduto il 21 dicembre 2012, le interpretazioni sulla fine del mondo, sostenute da un vasto sensazionalismo mediatico e pseudoscientifico, hanno generato un business di dimensioni mondiali negli anni e nei mesi precedenti, attraverso la produzione e la vendita di film, gadget, libri, fino addirittura alla promozione di kit di sopravvivenza per il presunto giorno della fine del mondo.
Ad esempio in Messico l’agenzia di comunicazione Menosunocerouno aveva ideato e messo sul mercato un kit che conteneva block-notes, matita, fiammiferi, coltellino, acqua distillata, un liquore tipico della regione dello Yucatan e la cioccolata Abuelita, cioè il cibo degli dei secondo la tradizione Maya. Anche in Italia si era diffuso qualcosa di simile, anche se meno sullo stile “sopravvivere all’apocalisse”. Il tour operator romano Idee Per Viaggiare aveva creato il “Fine del mondo survival kit” in cui c’era una parte sigillata da aprire dopo il 22 dicembre nel caso in cui si fosse sopravvissuti, che conteneva quattro voucher sconto per vari viaggi, compresi alcuni tour del Messico.
In realtà, secondo molti studiosi e studiose della cultura Maya, per questa popolazione la fine del “bak’tun” rappresenta semplicemente la fine di un vecchio ciclo e l’inizio di uno nuovo. Più che una fine definitiva, i Maya sembravano concepire il tempo come ciclico, quindi ogni “fine” era semplicemente un nuovo inizio.
Le numerose riapparizioni del pianeta Nibiru
Il pianeta Nibiru, tra i protagonisti della teoria sulla presunta fine del mondo predetta dai Maya, in realtà è tornato ciclicamente nel corso della storia ad alimentare false cospirazioni su catastrofici eventi che avrebbero distrutto la Terra e affonda le sue radici nel passato.
La teoria che riguarda questo pianeta cominciò a circolare online nella metà degli anni ‘90, quando Nancy Lieder, una donna del Wisconsin, creò il sito web di cospirazione aliena ZetaTalk. Lieder sosteneva di essere un tramite per gli alieni del sistema stellare Zeta Reticuli, che si trovava a 39,17 anni luce dalla Terra, che l’avevano avvertita della catastrofe di Nibiru. Così nacque una delle teorie del complotto più durature degli ultimi decenni: quella, appunto, di Nibiru, un enorme pianeta nascosto ai confini del nostro sistema solare, destinato a distruggere la Terra, la cui esistenza sarebbe stata naturalmente occultata da governi e istituzioni mondiali.
Le prime versioni della teoria prevedevano il 2003 come l’anno del disastro, ma, una volta che il presunto incontro fatale non si verificò, l’attenzione si spostò sul 2012, intrecciandosi questa volta con le previsioni catastrofiche dei Maya. Dopo aver superato anche il secondo presunto incontro con Nibiru, sembrava evidente che fosse necessario trovare un nuovo candidato.
E non ci volle molto tempo prima che si presentasse l’occasione giusta, arrivata nel 2014, quando un articolo pubblicato sulla rivista Nature dagli astronomi Chad Trujillo e Scott Sheppard suggerì l’esistenza di un nono pianeta ai confini del nostro sistema solare. L’ipotesi, confermata nel 2016 da una seconda ricerca condotta dagli scienziati Mike Brown e Konstantin Batygin, parlava del cosiddetto “pianeta 9”: un gigante celeste nascosto in un’orbita estremamente distante dal Sole.