In realtà l’intera campagna, durata per tutta la seconda metà degli anni Sessanta, fu ideata e architettata dall’Ufficio affari riservati (Uar), un ufficio di pubblica sicurezza del Ministero dell’interno. L’operazione fu coordinata da Mario Tedeschi, politico fascista e direttore del periodico Il Borghese, condannato tra le altre cose come mandante della strage di Bologna, ed eseguita materialmente da alcune formazioni terroristiche neofasciste, tra cui Avanguardia Nazionale (AN). Stefano Delle Chiaie, fondatore di AN, parlò dei «manifesti cinesi» in un’audizione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla lotta al terrorismo della Camera dei deputati, il 9 aprile 1987. «C’è la guerra psicologica», aggiunse in quell’occasione Delle Chiaie, «c’è la conquista delle menti o la conquista dell’uomo e non del territorio; sono elementi della guerra rivoluzionaria». Le finalità erano coerenti con quelle della più ampia Operazione Chaos ideata nell’ambito della Guerra fredda dalla CIA, l’agenzia di intelligence statunitense, che prevedeva l’infiltrazione di agenti estremisti nelle formazioni comuniste per radicalizzare le posizioni di questi gruppi politici e minare la loro credibilità per un elettorato moderato. Per alcuni storici, i manifesti cinesi si possono considerare l’inizio della strategia della tensione in Italia. E proprio gli atti terroristici di quel periodo, basti pensare alla strage di piazza Fontana o quella alla stazione di Bologna, a ben vedere sono stati caratterizzati da depistaggi, inquinamento di prove e sviamento delle indagini, nel tentativo di coprire la verità, diffusi anche a mezzo stampa con la complicità di giornalisti compiacenti.
È interessante notare come una campagna di disinformazione molto più recente, comunque, ha utilizzato la stessa tecnica adottata nel caso dei Manifesti cinesi per veicolare informazioni ingannevoli. Durante la campagna elettorale per le elezioni catalane del 2024, all’ingresso di diverse città della regione, sono comparsi alcuni cartelloni che, posti a mo’ di cartelli stradali, dichiaravano la presunta appartenenza delle località a un fantomatico «Emirato Islamico di Catalogna». In verità, si trattava di cartelli elettorali del Frente Obrero, un locale partito anti-immigrazione, che così intendeva aizzare le folle contro i migranti, suggerendo un loro presunto tentativo di prendere il potere. Di simile quindi c’erano i manifesti, di diverso invece c’era Internet. Diffuse sui social network da i membri del partito e rilanciati da utenti ignari, le foto dei finti cartelli stradali hanno generato un’ondata di indignazione e odio contro i migranti su varie piattaforme. Come già detto, più i mezzi tecnologici sono avanzati, più le strategie comunicative aumentano di complessità.
Progressi e rivoluzioni
La storia dell’informazione è intimamente connessa all’evoluzione della tecnica. L’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Johannes Gutenberg, fra il 1453 e il 1455, fu il primo momento in cui la circolazione della cultura e delle informazioni subì un’importante democratizzazione. I libri fino ad allora erano copiati a mano dagli amanuensi, il che rendeva molto limitata ed elitaria la diffusione di testi scritti: ricopiare un manoscritto era infatti un processo lungo, costoso e in pochi potevano permettersi di commissionare o acquistare un libro prodotto in questa maniera. La stampa, relativamente più economica, ha invece aumentato di molto la circolazione dei libri, permettendo anche alle fasce meno abbienti di accedere a cultura e informazioni, nei fatti allargando il numero di persone che un singolo testo poteva raggiungere.
Così hanno poi fatto radio, tv e infine internet, ognuno portando piccole rivoluzioni cui i mezzi di informazione hanno dovuto adeguarsi, man mano allargando le platee di fruitori. Per le stesse ragioni, però, questo ha effetto anche sulla diffusione di disinformazione. Nuovi mezzi comportano nuove possibilità per propagandare o portare avanti campagne tese a manipolare l’opinione pubblica con la diffusione di notizie false. Non è un caso che il potere tenti continuamente di controllare il flusso delle informazioni, che nei regimi dittatoriali diventa controllo degli stessi mezzi di stampa. Ma non è solo il potere a sfruttare i mezzi di comunicazione per propagandare, anzi. Lo sfruttamento dei canali di comunicazione è cruciale per promuovere idee o ideologie, anche quando queste si dichiarano «contro il potere» o l’ordine costituito.
Nel libro “Cinquecento anni di rabbia”, lo storico Francesco Filippi sostiene che sia l’appropriazione dei mezzi di comunicazione da parte di sentimenti diffusi a farli emergere poi come istanze politiche e che c’è un filo che unisce avvenimenti distanti nel tempo anche centinaia di anni: lo sfruttamento dei nuovi mezzi per l’emersione di rivendicazioni sociali. Questo – dice Filippi – è quello che accomuna la rivolta dei contadini tedeschi del Cinquecento (o se vogliamo anche il tentativo di rivoluzione contro Giorgio II che dicevamo prima) e l’assalto a Capitol Hill, sede del congresso statunitense, dopo che il presidente uscente Donald Trump rifiutò di riconoscere la sconfitta elettorale. Solo nei primi due casi si sfruttò il nuovo potere della stampa a caratteri mobili, nell’ultimo caso quello dei social media.
Internet è infatti l’ultimo passaggio di questo percorso, l’ultima grande rivoluzione nella comunicazione. La rete e i social hanno permesso a chiunque l’accesso a basso costo a mezzi di comunicazione di massa (senza più la necessità di possedere testate o stazioni tv o radio per comunicare con più persone) e la circolazione delle informazioni in tempo reale. Alcuni credevano che questo ulteriore processo di democratizzazione della comunicazione avrebbe portato alla maturazione di maggiore partecipazione politica e migliorato le forme di democrazia. In realtà, sembra sia avvenuto un po’ il contrario. I pochi e ricchissimi proprietari di queste piattaforme hanno un potere considerevole nel controllare il flusso di informazioni e favorire questo o quell’attore politico.
Post-verità
Come vi raccontiamo ogni giorno su Facta, la diffusione di teorie del complotto e notizie false o infondate oggi avviene in maniera prevalente sui social. Con Internet, le possibilità di propagandare sono aumentate in maniera esponenziale ed è venuto meno il filtro del controllo editoriale. Non che prima giornali e tv siano stati sempre ligi, ma ora chiunque può pubblicare qualsiasi cosa sui social network – quindi anche falsità – senza nessuna verifica prima della pubblicazione e senza troppe conseguenze dopo. Questo ha portato a quello che gli studiosi hanno chiamato “disordine informativo” o “caos delle informazione”, con le persone che vengono non solo bombardate da un volume di informazioni quotidiane senza precedenti, ma con l’aggravante che queste informazioni sono spesso discordanti o addirittura false.
Anche per questo, l’epoca in cui viviamo è stata definita della post-verità, ovvero un tempo in cui «le informazioni fattuali sono meno importanti nell’influenzare l’opinione pubblica rispetto ad appelli emotivi e credenze personali», per usare la definizione data dall’Oxford Dictionary, che nel 2016 la scelse come parola dell’anno dopo le campagne elettorali per la Brexit e le presidenziali americane poi vinte da Trump. Diversi studi sostengono infatti che la disinformazione e le notizie false abbiano avuto un ruolo importante nella vittoria di Trump.
Come si scoprì solo nel 2018, poi, i dati personali di 87 milioni di utenti su Facebook vennero usati per profilare gli elettori e proporre argomenti ad hoc per la propaganda politica. È lo scandalo che ha coinvolto Facebook stessa e Cambridge Analytica, una società di consulenza britannica, che utilizzò questi dati per creare profili dettagliati degli utenti, impiegandoli poi per sviluppare campagne pubblicitarie e di propaganda mirate sulle loro preferenze per accaparrarsi i loro voti e quindi influenzare le elezioni, incluse quelle del referendum sulla Brexit e le presidenziali statunitensi del 2016. Nella corsa per le più recenti presidenziali americane del 2024, invece, Elon Musk, proprietario della piattaforma X (ex Twitter), oltre che uomo più ricco del mondo, è stato una delle figure centrali della campagna elettorale che ha portato alla rielezione di Trump alla Casa Bianca. Secondo studi accademici e inchieste giornalistiche, Musk ha manipolato l’algoritmo di X in modo da dare più visibilità a Trump, sé stesso e agli altri leader repubblicani.
Lo stesso Trump usa (o abusa, visto che lo ha usato diverse migliaia di volte nei suoi discorsi pubblici) il termine fake news – che si vanta addirittura di avere inventato, sebbene alcuni studiosi abbiano ritrovato il concetto già in alcuni documenti della Francia rivoluzionaria – per definire le informazioni che reputa per sé sconvenienti come falsità. Il confine tra il vero e il falso è sempre più labile, il che crea margine per influenzare la percezione dei cittadini e, possibilmente, il risultato delle competizioni elettorali. Ed è esattamente questo il motivo per cui si parla tanto di disinformazione da quando abbiamo i social network.
Oggi sui social ci sono diversi attori che utilizzano gli algoritmi per diffondere false informazioni. Come specificato in un report dello European Digital media Observatory (Edmo), una comunità di fact-checker e ricercatori indipendenti di cui anche Facta e Pagella Politica fanno parte, durante tutte le campagne elettorali per le varie elezioni nazionali del 2023 nei Paesi del Consiglio d’Europa sono circolate informazioni infondate che suggerivano che il voto fosse truccato o inutile. E questo è avvenuto anche nel caso delle elezioni europee di giugno 2024, con anche storie false che incoraggiavano i cittadini ad astenersi.
Le elezioni nei Paesi democratici vengono prese di mira ormai in maniera sistematica da potenze straniere ostili, tanto che in vista delle presidenziali di novembre 2024 le autorità statunitensi hanno annunciato piani per contrastare le campagne di disinformazione, portate avanti principalmente da Russia, Cina e Iran, con il fine di inquinare il dibattito. Per condurre queste operazioni di propaganda, che si fanno sempre più sofisticate, si finanziano siti che diffondono notizie infondate o disinformatori seriali, vengono utilizzate spie e anche influencer o altri personaggi noti in certi ambienti o bolle sui social. Così tecniche moderne e tattiche consolidate si mescolano. Lo sfruttamento di personaggi famosi o in qualche modo illustri per propagandare, d’altronde, è stata teorizzata quasi un secolo fa, per la pubblicità e la propaganda a fini commerciali.