Le figure principali di HDF sono tre: il direttore Emil Kierkegaard, che ha espresso posizioni antifemministe, omolesbobitransfobiche (in un post su X ha scritto che «l’omosessualità è una malattia mentale») e negazioniste del cambiamento climatico. Sul suo blog ha anche caldeggiato la depenalizzazione della detenzione di materiale pedopornografico.
Poi c’è Matthew Frost, responsabile della newsletter Aporia che conta 15mila iscritti e centinaia di abbonati sulla piattaforma Substack. Il sito si occupa di «biodiversità umana» e adotta una linea editoriale improntata al «realismo razziale», sostenendo che esistono differenze tangibili e misurabili tra le varie «razze» – soprattutto per quanto riguarda il quoziente intellettivo.
Infine, la terza figura chiave è quella di Erik Ahrens. È un estremista di destra tedesco legato agli identitari austriaci guidati da Martin Sellner, e ha svolto il ruolo di consulente per i social media per il partito Alternative für Deutschland (AfD).
Hope Not Hate ha scoperto che la Human Diversity Foundation ha ricevuto oltre un milione di dollari di finanziamento da parte di Andrew Conru, un ricco imprenditore statunitense che nel 1996 ha creato il sito d’incontri Adult FriendFinder.
Dopo la pubblicazione dell’inchiesta Conru ha però fatto sapere al Guardian di aver ritirato il suo appoggio alla HDF, poiché il gruppo si sarebbe allontanato dalla sua «missione originaria» – ossia quella di condurre «ricerche accademiche imparziali».
Normalizzare il «razzismo scientifico» con la pseudoscienza
In realtà, la Human Diversity Foundation è sempre stata fedele alla sua missione: normalizzare il razzismo attraverso pubblicazioni e paper pseudoscientifici.
In questo, la continuità con il Pioneer Fund è totale. Per decenni, come ha ricostruito la giornalista britannica Angela Saini nel saggio Superiori: il ritorno del mito della razza, l’associazione ha finanziato riviste come il Mankind Quarterly (ora gestita da Kierkegaard) nonché antropologi e genetisti razzisti.
Tra questi c’erano scienziati nazisti come Otmar Freiherr von Verschuer, che durante la Seconda guerra mondiale aveva condotto esperimenti sui corpi dei bambini uccisi ad Auschwitz; e Roger Pearson, fondatore di diverse riviste pseudo-accademiche attraverso le quali promulgava idee legate al razzismo biologico e all’eugenetica.
Le ricerche sovvenzionate dal Pioneer Fund sono state alla base di The Bell Curve, un saggio del 1994 scritto dal politologo conservatore Charles Murray e dallo psicologo Richard Hernstein che ha avuto un enorme successo di vendite e generato parecchie controversie.
Utilizzando anche alcuni “studi” del Mankind Quarterly, gli autori erano arrivati a sostenere che la popolazione nera ha un quoziente intellettivo inferiore di quella bianca. Di conseguenza la diseguaglianza negli Stati Uniti sarebbe causata da fattori genetici, e non dalla discriminazione e dal razzismo sistemico.
Anche la Human Diversity Foundation punta a pubblicare paper su riviste scientifiche legittime – sottoposte a peer review, ossia alla revisione dei pari – o comunque raggiungere un pubblico più ampio.
Per fare ciò, ha scoperto l’inchiesta di Hope Not Hate, Kirkegaard gestisce una sorta di «gruppo di ricerca clandestino» formato da una decina di «ricercatori indipendenti» che ogni settimana fanno una riunione online per aggiornarsi sui rispettivi lavori.
Uno di questi è Davide Piffer, un italiano che fa parte dell’Ulster Institute for Social Research, un think tank fondato dallo psicologo razzista britannico Richard Lynn. Un paper di Piffer del 2013 è stato citato nel manifesto di Payton Gendron, il terrorista di estrema destra che ha ucciso dieci persone nere in un supermercato a Buffalo, negli Stati Uniti.
Un altro suo paper, scritto insieme a Kirkegaard, è stato invece pubblicato nel marzo del 2024 sulla rivista Twin Research and Human Genetics, edita dalla Cambridge University Press, a marzo del 2024.
La newsletter Aporia serve invece a veicolare le stesse idee, ma con un linguaggio più accessibile. Come annotano i giornalisti Harry Shukman e Patrik Hermansson di Hope Not Hate, «le idee razziste sono nascoste sotto strati di numeri, statistiche ed espressioni che servono a dare la parvenza di un rigore accademico, mentre in realtà sono distorsioni, travisamenti e manipolazioni della scienza».
Per il resto l’obiettivo di Aporia è quello di «spostare la finestra di Overton», ossia rendere nuovamente accettabile il razzismo scientifico e il suprematismo bianco.
In un articolo scritto nel giugno del 2024 da Bo Winegard, un editor della newsletter, si legge ad esempio che «i bianchi non dovrebbero vergognarsi della loro identità e delle loro conquiste culturali. Al contrario, dovrebbero esserne fieri».
Senza «l’identità bianca», continua Winegard ammiccando alla teoria del complotto della sostituzione etnica, «la cultura europea è destinata a disgregarsi e finire annacquata dentro una pappa insipida e insignificante».
L’attivismo politico e mediatico dei «razzisti scientifici»
L’altro ambito in cui si muove la Human Diversity Foundation è quello più squisitamente politico-mediatico.
Erik Ahrens, per l’appunto, è legato agli identitari austriaci e ad Alternative für Deutschland. Ha seguito la strategia social di Maximilian Krah, il politico espulso da AfD dopo aver minimizzato i crimini delle SS naziste in un’intervista con la giornalista di Repubblica Tonia Mastrobuoni.