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La falsa notizia della morte di Napoleone, una truffa finanziaria di due secoli fa

Un estratto da “Storie false. Dai faraoni alle bufale online” di Giovanni Zagni e Michel Pretalli

6 dicembre 2024
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Dai messaggi per il faraone Akhenaton ai Protocolli dei Savi di Sion, un viaggio nelle storie false che hanno influenzato la Storia, quella vera. A volte diffuse in buona fede e con ingenuità, altre volte con secondi fini a sfondo politico e ideologico, le bufale orientano popoli e nazioni da ben prima di essere chiamate fake news.

Storie false. Dai faraoni alle bufale online“, il nuovo libro del direttore di Facta e Pagella Politica Giovanni Zagni, scritto insieme a Michel Pretalli per Mimesis edizioni (18 euro), è una divertente raccolta di fatti universalmente conosciuti, come la Donazione di Costantino, e di vicende meno note, come le bizzarre opinioni di Jean Hardouin, o la diceria per cui la morte di Napoleone avrebbe causato un crollo della Borsa di Londra nel 1814. 

Di seguito un estratto del libro.

 

 

Si era riaccesa la guerra e il suo teatro si veniva avvicinando alle frontiere della Russia. Dovunque si udivano maledizioni scagliate contro Bonaparte, nemico del genere umano, nelle campagne si radunavano uomini della milizia territoriale e reclute e dal teatro della guerra giungevano notizie di vario tenore, false come sempre, e pertanto variamente interpretate.

Così scriveva Lev Tolstoj in uno dei più celebri romanzi di tutti i tempi, Guerra e pace. Le notizie false sono sempre state una presenza fissa durante i conflitti, sia durante i tempi antichi che in quelli più recenti. Lo storico francese Marc Bloch notava proprio come gli stravolgimenti bellici creano il terreno di coltura perfetto per la proliferazione di quella che oggi chiameremmo disinformazione. E proprio durante le guerre napoleoniche descritte da Tolstoj si svolse un episodio in cui la disinformazione ebbe una parte importante: passata alla storia come la “grande bufala della Borsa valori del 1814”, causò la temporanea rovina di un eroe di guerra britannico e fu al centro di uno dei processi più celebri e seguiti della storia del Regno Unito. Nelle prime settimane del 1814 l’Europa stava vivendo un momento di grande incertezza. I giorni in cui Napoleone sembrava invincibile e dominava incontrastato il continente europeo, i giorni delle vittorie di Austerlitz (1805) e Jena (1806), erano un lontano ricordo. Con la campagna di Russia del 1812 l’esercito francese era arrivato fino a occupare una Mosca deserta e in fiamme, ma poco dopo si era dovuto imbarcare in una disastrosa ritirata, venendo decimato dal freddo, dalle malattie e dai combattimenti. La Russia aveva mostrato che anche l’imperatore dei francesi poteva conoscere la sconfitta rovinosa. La disfatta aveva portato alla fine dello strapotere napoleonico sul continente europeo: una serie di battaglie perse sul campo e di defezioni dei principi locali avevano portato alla perdita dell’influenza francese sulla Germania, l’assetto deciso da Napoleone per l’Italia si era sgretolato e le truppe francesi avevano dovuto abbandonare la penisola iberica, battute dalla guerriglia e dagli inglesi di Wellington. Nei primi mesi del 1813 la Prussia aveva lasciato l’orbita francese per allearsi con la Russia e qualche mese più tardi si era unito a loro anche l’impero austriaco: con l’aggiunta della Svezia e dell’arcinemico di Napoleone, il Regno Unito, si era formata la cosiddetta “Sesta coalizione”, ennesima alleanza degli Stati europei contro la Francia rivoluzionaria prima e napoleonica poi. Se alla vigilia dell’invasione della Russia, pur con qualche scricchiolio, l’Europa era francese o alleata con la Francia da Siviglia alla Dalmazia e dalla Danimarca a Napoli, un anno e mezzo più tardi, alla fine del 1813, gli eserciti della Sesta coalizione avevano varcato i confini della madrepatria francese. Dopo vent’anni, la guerra era tornata in Francia.

Ma la vittoria alleata, nel febbraio del 1814, era tutt’altro che certa e non si poteva dare Napoleone definitivamente per vinto. Nonostante le forze in campo contro di lui, Napoleone continuava a essere un avversario assai temibile in battaglia. Dopo qualche rovescio iniziale, tra il 10 e il 18 febbraio 1814 l’imperatore dei francesi aveva sconfitto gli alleati in sette diversi combattimenti, lasciandoli demoralizzati e divisi. La vittoria sembrava di nuovo dalla parte di Napoleone e le sorti del mondo erano ancora in bilico.

In questa situazione, lo Stock Exchange, la borsa valori di Londra, era in fibrillazione e i titoli di stato più scambiati sulla piazza, denominati Consols e Omnium, reagivano a ogni voce sulla guerra continentale con aumenti e perdite di valore a seconda del loro tenore. La lentezza delle comunicazioni e la spericolatezza della stampa del tempo lasciavano campo libero alle notizie più infondate e contribuivano all’incertezza. Già il 10 febbraio un quotidiano britannico, il Courier, aveva stampato la notizia non confermata (e ben presto smentita) della morte in battaglia di Napoleone, come peraltro era successo molte volte negli anni recenti. Per cercare di ottenere le informazioni in anticipo, agenti di borsa (e redazioni giornalistiche) avevano emissari stazionati nei principali porti della Manica, pronti a interrogare sulle ultime notizie dal Continente tanto le barche da pesca quanto le navi militari e mercantili. Il comando navale britannico gestiva invece un sistema di telegrafi semaforici, posti sulle alture a distanza di pochi chilometri gli uni dagli altri: se il tempo era buono e la visibilità lo permetteva, i messaggi con le notizie urgenti potevano arrivare a Londra dalle località di Portsmouth, Deal, Great Yarmouth e Plymouth in alcuni minuti. Al tempo, la competizione per le notizie era feroce e l’uso di notizie riservate per trarre profitto sul mercato dei capitali non era né inusuale né, di per sé, condannato: proprio in quegli anni il banchiere di origini tedesche Nathan Rothschild, fondatore del ramo britannico della celebre famiglia, fu in grado di ottenere grandi profitti grazie alla conoscenza in anteprima delle novità belliche europee (si sviluppò una vera e propria leggenda, mai del tutto confermata, sui profitti che fu in grado di fare ottenendo prima di tutti l’informazione sull’esito della battaglia di Waterloo). Un conto però era conoscere e tenere per sé le novità realmente avvenute, utilizzandole a proprio guadagno. Un altro creare quelle notizie dal nulla.

Nella notte di lunedì 21 febbraio, un uomo in divisa militare, in apparenza esausto e stravolto, bussò alla porta di un albergo di Dover – città portuale sita proprio di fronte alla francese Calais –, facendo un gran baccano. Il proprietario di un pub lì vicino, attirato dal rumore, fu il primo a raccogliere una testimonianza straordinaria: il soldato diceva di essere appena giunto dalla Francia e di portare con sé notizie straordinarie, che però non volle rivelare subito, chiedendo invece un mezzo di trasporto per avvertire il comando navale di Deal e poi recarsi a Londra. Intorno a lui si raccolse un gruppo di curiosi, tra cui un giornalista del Traveller di nome William St. John. Presa carta e penna, il soldato scrisse un messaggio al locale comando navale con la notizia che le forze alleate, finalmente, avevano ottenuto la vittoria decisiva: Napoleone stesso era perito nello scontro e un gruppo di cosacchi lo aveva fatto a pezzi. “I Sovrani Alleati sono sul posto – scriveva – la coccarda bianca è dappertutto, la pace immediata è sicura”. La coccarda bianca era simbolo dei Borbone, che miravano a tornare sul trono di Francia col supporto britannico. Il messaggio era firmato da “R. du Bourg, luogotenente-colonnello e aiutante di campo di Lord Cathcart”, l’ambasciatore britannico presso i russi. Ma la visibilità era ridotta a causa della nebbia e il sistema telegrafico non poteva essere utilizzato. Bisognava allora portare la notizia alla capitale di persona. Partito in tutta fretta da Dover, il colonnello du Bourg aggiunse altri dettagli lungo la strada, parlando con gli osti e i vetturini: la battaglia si era svolta a sei leghe dalla capitale francese, vicino a un villaggio chiamato Rushaw, e le forze alleate erano entrate a Parigi. Arrivato a Londra di prima mattina, il colonnello cambiò carrozza per dar meno nell’occhio e si fece portare nei pressi di Grosvenor Square, alla residenza privata di un celebre nobile, Lord Cochrane. Nonostante le precauzioni, la notizia della morte di Napoleone si propagò rapidamente nella capitale britannica. Notizie false sulla morte dell’uomo più famoso e temuto d’Europa erano già state diffuse in precedenza, sia all’estero che nella stessa Francia. Nell’episodio forse più celebre, nell’ottobre del 1812, mentre l’imperatore aveva da poco intrapreso il terribile ritiro delle sue truppe da Mosca nella campagna di Russia, un generale che si trovava in carcere come oppositore di nome Claude-François de Malet era riuscito a evadere e a ingannare per qualche ora diversi importanti funzionari e militari di Parigi con la falsa notizia della morte di Napoleone nell’Europa orientale, tentando di mettere in atto un colpo di stato. Venne fermato, processato e presto messo a morte con diversi suoi complici, ma l’affaire Malet fece molta impressione su Napoleone, che si aspettava una reazione diversa dai suoi luogotenenti rimasti in patria. Nella storia della disinformazione, la morte di Napoleone si è ripetuta molte volte ed è stata utilizzata per molti scopi diversi. In questo caso, la speculazione finanziaria. Infatti, all’apertura della Borsa di Londra alle dieci di mattina l’Omnium vide un repentino aumento di prezzo.

Verso l’ora di pranzo accadde un altro evento straordinario: l’attraversamento del centro di Londra da parte di carrozza con a bordo due ufficiali realisti francesi, lanciando volantini inneggianti ai Borboni. Sembrò una nuova conferma delle clamorose notizie appena arrivate e ci fu un nuovo rialzo. La gente si radunò davanti alla residenza ufficiale del sindaco di Londra. Di per sé, la notizia che Napoleone fosse morto non era certo implausibile. All’inizio della sua carriera politica, quando si era fatto largo tra le fila della Rivoluzione – contraddistinta fin dall’inizio da epurazioni, complotti, violenti rivolgimenti – Napoleone era sfuggito a numerosi tentativi di ucciderlo. Uno dei più gravi, una bomba esplosa al passaggio della sua carrozza in rue Nicaise a Parigi, il 24 dicembre 1800, era avvenuto pochi mesi dopo la sua presa del potere, e tre anni più tardi la cosiddetta congiura dell’anno XII (1803-1804) aveva di nuovo in programma di eliminarlo. Sui campi di battaglia, la morte era ovviamente un’eventualità ben presente, e lo stesso Napoleone era stato ferito – per quanto leggermente – alla battaglia di Ratisbona, da un proiettile vagante, nell’aprile 1809. Qualche mese dopo, in ottobre, uno studente sassone aveva provato a pugnalarlo mentre si trovava al castello di Schönbrunn per la firma del Trattato di Vienna con l’Impero Austriaco.

Quel giorno, a Londra, la conferma della morte di Napoleone da parte delle autorità civili e militari tardava ad arrivare per la folla davanti al municipio. Non sarebbe arrivata mai. Già nel pomeriggio l’Omnium tornò vicino al valore a cui aveva aperto, cancellando tutto il rialzo il giorno successivo. La curiosità lasciò il posto all’indignazione: la stampa prese a chiedere a gran voce che venissero identificati i responsabili della frode. Un comitato della Borsa valori, ansiosa di difendere la propria reputazione, aprì un’indagine e annunciò una ricompensa di 250 sterline per chi avesse saputo dare informazioni utili all’identificazione del colonnello du Bourg.

Fu lo stesso Stock Exchange a pubblicare la prima lista dei sospetti, grazie alle testimonianze raccolte dopo l’annuncio della ricompensa. Diversi di loro non erano conosciuti al grande pubblico, ma faceva parte dell’elenco anche uno dei comandanti navali più famosi nella guerra per il dominio dei mari europei, che il Regno Unito aveva sempre mantenuto anche grazie alle sue imprese: Thomas Cochrane, figlio del conte di Dundonald e membro del Parlamento per Westminster, che compariva nella lista in compagnia dello zio Andrew Cochrane Johnstone. I due erano sospettati di avere organizzato la diffusione della bufala della morte di Napoleone per manipolare il mercato dei titoli e ottenere un grande guadagno economico. Nelle settimane precedenti alla bufala i due nobili, che da tempo speculavano in borsa, avevano fatto incetta di Omnium e Consuls, acquistandone oltre due milioni di sterline con data di pagamento stabilita al 23 febbraio. Se il titolo fosse cresciuto nel frattempo, i tre avrebbero potuto fare grandi profitti vendendoli al momento opportuno e intascando la differenza, mentre ovviamente un calo del prezzo avrebbe esposto i tre al rischio di notevoli perdite. Non era neppure necessario disporre delle somme intere e sborsare subito i capitali: allora i conti della Borsa venivano regolati ogni due settimane e quanto passava di mano era soltanto la differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, più la commissione per gli intermediari. Il 18 febbraio le notizie delle vittorie di Napoleone erano arrivate anche a Londra e il prezzo dei titoli calò: i Cochrane, dovendo saldare di lì a poco i loro conti, rischiavano seriamente la rovina. Ma la mattina del 21 la falsa notizia della morte di Napoleone aveva creato un nuovo ottimismo, con le notizie di una pace imminente e della rapida fine della guerra. I loro agenti di borsa avevano preso a vendere tutto, realizzando un profitto stimato in circa diecimila sterline, una somma ragguardevole per il tempo.

A poco a poco le indagini svelarono che la bufala era stata organizzata con l’aiuto di diverse comparse. Emerse che gli ufficiali realisti francesi che avevano attraversato la City poco dopo mezzogiorno erano in realtà due poveracci reclutati nelle taverne di Londra. E in un paio di settimane venne fuori anche il vero nome dell’ormai famigerato colonnello du Bourg: un certo Charles de Berenger. Messo con ogni evidenza alle strette dall’inchiesta interna della Borsa, Lord Cochrane confermò per iscritto in un opuscolo pubblicato l’11 marzo con l’intento di difendere la sua reputazione che il misterioso personaggio giunto a casa sua quella fatidica mattina del 21 febbraio era in effetti de Berenger, ma negò ogni accusa di coinvolgimento nella truffa. De Berenger venne arrestato a Leith, nei pressi di Edimburgo, l’8 aprile, mentre tentava di lasciare l’Inghilterra sotto falso nome. Fu trovato in possesso di molto denaro che proveniva dai conti dei cospiratori (il sistema del credito del tempo permetteva spesso di risalire all’origine delle singole banconote). Personaggio dalla storia assai avventurosa, Charles Random de Berenger aveva 42 anni ed era nato in Prussia, figlio di un aiutante di campo di Federico il Grande che si era trasferito in Nord America dopo la Guerra dei Sette anni (1756-1763), ma la famiglia aveva perso tutto dopo essersi schierata con gli inglesi nella Guerra d’Indipendenza. Trasferitosi a Londra, Charles era da tempo in difficoltà economiche, inseguito dai debiti nonostante una discreta esperienza militare, tecnica e musicale. Conosceva Lord Cochrane e soprattutto lo zio di quest’ultimo, Andrew James Cochrane Johnstone.

Da parte sua, la famiglia Cochrane proveniva dall’antica nobiltà scozzese, ma da tempo non se la passava molto bene dal punto di vista finanziario. Cochrane Johnstone, di pochi anni più anziano del nipote, era l’ex governatore britannico dell’isola della Dominica ed era stato coinvolto in una serie di affari poco chiari e di scarso successo, tra cui il traffico di armi e di schiavi, che portarono anche alle dimissioni forzate dall’esercito. All’inizio del 1814 era pieno di debiti e tenuto a galla solo dal suo status di parlamentare. Ben altra fama invece aveva Thomas Cochrane, figlio del nono conte di Dundonald e futuro decimo conte, che all’epoca aveva 38 anni ed era una figura celebre di aristocratico, membro radicale del Parlamento e conosciuto sia per la sua intemperanza che per i grandi successi come ufciale navale, alla caccia di navi nemiche al largo delle coste francesi e spagnole. Alto e dagli appariscenti capelli rosso accesso, agli occhi del pubblico Cochrane era una delle figure più note delle guerre napoleoniche, un vero eroe nazionale: conosciuto per il suo coraggio e per le sue imprese, ma anche per il suo carattere fiero e tendente all’insubordinazione. Era in marina fin dal 1793 e dalla cattura di navi nemiche aveva ottenuto grandi bottini, con cui provava a ricomporre una ricchezza adeguata al suo nobile stato. Nella Camera dei Comuni, dove era stato eletto in rappresentanza del distretto di Honiton nel 1806 – un seggio notoriamente corrotto e in sostanza acquistabile con il denaro – e poi di Westminster nel 1807, si era distinto per gli attacchi virulenti contro l’inefficienza dell’amministrazione navale britannica e i privilegi della classe dirigente. Fiero populista e nemico della corruzione – il che avrebbe reso la sua disgrazia, di lì a poco, ancora più clamorosa – Cochrane in guerra non era nuovo all’inganno: nelle avventure marine aveva fatto ricorso a una serie di trucchi e stratagemmi che avrebbero fatto la gioia dei manualisti antichi. Per avvicinarsi indisturbato alle navi nemiche faceva issare bandiere diverse da quella britannica; forniva ai porti assediati false notizie su squadre navali in arrivo, per ottenere la resa in anticipo; metteva in acqua luci mobili per simulare rinforzi inesistenti. Era anche un inventore e stava per brevettare un tipo innovativo di lampada a olio, mentre si preparava per riprendere il mare con un nuovo comando. Ma l’indisciplinato e vulcanico Cochrane non riusciva a evitare gli scontri con le autorità navali britanniche, ottenendo una lunga serie di procedimenti disciplinari, sanzioni e incarichi punitivi. Nel 1809, scontratosi con un suo comandante che aveva accusato davanti alla corte marziale di non aver saputo trarre vantaggio da una sua azione vittoriosa al largo delle coste francesi, si era inimicato le gerarchie militari una volta per tutte ed era stato allontanato dal comando.

Visto il personaggio, quello che si aprì a Londra alla fine di aprile del 1814 fu uno dei casi giudiziari britannici più celebri del secolo, rimasto per decenni nella memoria collettiva dividendo colpevolisti e innocentisti: anche se, in realtà, le prove a carico dei Cochrane e dei loro complici erano schiaccianti. Al termine di un breve procedimento, infatti, tutti gli imputati vennero multati e condannati a un anno di prigione: solo la carica di parlamentare impedì a Lord Cochrane di subire anche l’umiliazione della gogna pubblica nella City di Londra. Espulso dalla Camera dei Comuni, riuscì comunque a farsi rieleggere nell’arco di pochi giorni e non perse l’amore per la sfida e l’avventura neppure in prigionia. Quando mancavano pochi mesi al termine della condanna, evase dal suo carcere londinese e si presentò a una seduta in cui prese la parola per accusare il governo, i giudici e la Borsa di aver architettato tutto l’affare giudiziario per liberarsi di lui, con l’obiettivo di stroncare la sua carriera politica. Un grande complotto, insomma, ordito per la sua rovina. Fu allontanato a forza dall’aula e riportato in prigione per finire di scontare la sentenza.

Lord Cochrane si rivelò in grado di sopravvivere al disonore della grande bufala alla Borsa valori e la seconda parte della sua vita non fu meno avventurosa della prima. A partire dal 1817 cominciò una straordinaria carriera da comandante navale in mezzo mondo, accettando l’incarico di guidare la flotta del Cile nella guerra d’indipendenza dalla Spagna. Ammirato da personaggi del calibro di lord Byron e Walter Scott, in quegli anni fu anche al servizio della Grecia in Europa, del Brasile e del Perù in Sudamerica, trovando il tempo per portare avanti una campagna infaticabile contro la condanna per aver manipolato il mercato borsistico. Finalmente, nel 1832, riuscì a ottenere un perdono completo dal governo britannico, a ristabilire le sue onorificenze e il grado di contrammiraglio. Nel 1848 fu nominato comandante in capo della marina impegnata in Nord America e più tardi di quella delle Indie Occidentali. Alla sua morte, nel 1860, fu sepolto nell’abbazia di Westminster, anche se nessun rappresentante governativo partecipò al funerale: l’antica condanna e una vita di conflitti con le autorità avevano lasciato una macchia indelebile sulla sua reputazione, anche se nell’immaginazione popolare lo status di eroe non era in discussione. Ancora oggi lEnciclopedia Britannica lo ricorda come “uno tra i più grandi uomini di mare britannici”.

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