A guardare i principali siti di fact-checking, in America e in Europa, è evidente che la vittoria di Donald Trump non abbia scatenato alcuna tempesta di disinformazione. A sinistra si sono diffuse alcune teorie del complotto sulla vittoria di Trump ma, senza il sostegno del Partito Democratico, hanno avuto una circolazione relativamente limitata. Paradossalmente poi sono stati rilevati anche casi di disinformazione – qui, qui, e qui ad esempio – che vanno a sostegno dei Repubblicani, quasi che l’inerzia delle campagne di disinformazione del passato (anche recente) da parte di Trump e dei suoi sostenitori (Russia inclusa) abbia sospinto prevedibili falsità sul voto truccato anche nel contesto di un’elezione da cui sono usciti vincitori.
L’assenza di una massiccia campagna di disinformazione – a differenza che nel 2020 – dipende da una molteplicità di fattori, ma due sembrano essere quelli principali: in primo luogo la vittoria repubblicana questa volta è stata netta, mentre quella democratica di quattro anni fa era arrivata sul filo del rasoio, dopo giorni di conteggi. In secondo luogo sono i vincitori di questa tornata i responsabili della grande maggioranza delle falsità circolate a ridosso delle elezioni negli Stati Uniti. Avendo vinto non hanno ovviamente alcun interesse a delegittimare il risultato.
Si può allora dire che le elezioni americane non siano state condizionate dalla disinformazione?
L’assenza di casi clamorosi a ridosso del voto, da un lato, e il pacifico svolgimento del processo elettorale sono indicazioni certamente positive, ma allargando lo sguardo la situazione diventa più complessa e preoccupante. Come già rilevato in seguito alle elezioni Europee di giugno 2024, nel corso degli ultimi anni la disinformazione ha efficacemente alterato la percezione di numerose questioni da parte dell’opinione pubblica con uno stillicidio costante di un’infinità di contenuti falsi (notizie, foto, video, meme e via dicendo), che presi singolarmente non sono particolarmente dannosi ma che nel complesso – come teorizzato dall’aforisma secondo cui una bugia ripetuta all’infinito diventa una verità – riescono nel loro intento.
Il meccanismo delle narrazioni di disinformazione, come spiegato dalla metodologia adottata da EDMO, è subdolo. Queste possono infatti essere definite come i messaggi che emergono chiaramente da un insieme di contenuti dimostrabilmente falsi con la metodologia del fact-checking (ad esempio notizie, dichiarazioni, video e immagini secondo cui il cambiamento climatico non esiste) e, per loro natura, queste narrazioni possono sovrapporsi a legittime opinioni di una parte dell’opinione pubblica. Ad esempio, è certamente legittimo pensare che ci siano troppi immigrati nel proprio Paese e che le loro culture di origine non siano compatibili con la propria, ma è innegabile che queste opinioni siano state veicolate nel corso degli ultimi anni anche da una grande quantità di contenuti dimostrabilmente falsi.
La vittoria di un candidato, come Donald Trump, che ha per anni costruito il proprio consenso diffondendo falsità una molteplicità di argomenti estremamente importanti per gli elettori – dal cambiamento climatico alla pandemia di Covid-19, dai migranti ai diritti civili – è quindi intrinsecamente collegata alla disinformazione.
Ovviamente questo non significa che l’esito del voto americano sia interamente dipeso dalla disinformazione, né che questa sia necessariamente l’elemento principale da prendere in considerazione. Ma nemmeno si può tacerne l’importanza. L’analisi di quanto successo è fondamentale per indirizzare le scelte, presenti e future, in ambito di contrasto alla disinformazione: è importante prevenire i possibili grossi incidenti dell’ultimo minuto e i tentativi di manipolazione dall’esterno, ma non basta. La sfida più grande rimane quella di contrastare quotidianamente l’inquinamento dello spazio informativo da parte della disinformazione, evitare che alla base di legittime opinioni si ammassino ingenti quantità di informazioni dimostrabilmente false senza che nessuno lo faccia notare. Senza una realtà condivisa su cui potersi confrontare la democrazia non può funzionare correttamente.