Il 16 ottobre 2020 su Facebook è stato pubblicato un video intitolato «KARY MULLIS PARLA DEL PCR CHE HA INVENTATO». Il video comincia mostrando alcune frasi che recitano: «Spegni la televisione. Accendi il cervello. Vi stanno prendendo per il culo». A partire dal minuto 00:30 compare il biochimico statunitense Kary Mullis, morto ad agosto 2019, seduto su di un piccolo palco mentre risponde a una domanda dal pubblico sul metodo della reazione a catena della polimerasi (Polymerase chain reaction, Pcr) per la cui invenzione Mullis vinse il premio Nobel nel 1993.
Nel video la risposta in inglese del biochimico viene così tradotta in italiano: «Penso che il Pcr non sia abusato del tutto. Non penso che tu possa usare male il Pcr. Ma i risultati e le interpretazioni di esso. Vedi, se potessero trovare questo virus in te e con il Pcr, se lo fai bene, puoi trovare quasi tutto in chiunque. Inizia a farti credere in una sorta di nozione buddista, dove tutto è contenuto lì e tutto il resto. Perché se riesci a modellare, amplificare una singola molecola fino a qualcosa che puoi davvero misurare, cosa che il Pcr può fare, allora ci sono già giuste pochissime molecole di cui in realtà non ne hai nemmeno una sola nel tuo corpo. Considerare un uso improprio di esso è solo un’affermazione espressiva. È che c’è molto poco di ciò che chiamano Hiv e di ciò che è stato già riportato da Philpott nel suo saggio. La misurazione non è affatto esatta. Non è buona come la nostra misurazione per cose tipo le mele. una mela è una mela. Sai, puoi ottenere qualcosa di simile se hai abbastanza cose che assomigliano ad una mela e le attacchi tutte insieme, potresti pensare che è una mela. Ma nell’HIV è la stessa cosa. Quei test sono tutti basati su cose invisibili ed i risultati sono dedotti in un certo senso. Il Pcr è separato da quello, è solo un processo che viene utilizzato per creare un bel po’ di qualcosa da qualche cosa. Questo è ciò che è. Non ti dice se sei malato e non ti dice che la cosa che hai preso ti avrebbe davvero danneggiato o qualcosa del genere».
Durante la pandemia di Covid-19, la tecnica Pcr è utilizzata per individuare le persone positive al nuovo coronavirus. Come ha spiegato il virologo Stefano Vella, tramite un tampone «si prende un po’ di muco, dal naso e dalla faringe e si esegue la Pcr per identificare la presenza del virus nell’orofaringe». Il post oggetto della nostra verifica, dunque, sostiene che le persone verrebbero prese in giro sulla validità del procedimento che perderebbe quindi credibilità nel tentativo di scoprire se una persona è positiva o meno al nuovo coronavirus Sars-CoV-2. La veridicità di queste informazioni sarebbe direttamente collegata alle parole pronunciate dell’inventore stesso del metodo, Kary Mullis.
Il contenuto oggetto della nostra analisi è in realtà fuorviante e veicola una notizia falsa. Andiamo con ordine.
Partiamo con il contestualizzare il video pubblicato su Facebook. La clip mostra un momento di un incontro dal vivo intitolato “Corporate Greed & AIDS” tenutosi il 12 luglio 1997 a Santa Monica, negli Stati Uniti. Si trattava di un conferenza sul virus Hiv, con una lettura negazionista, a cui Mullis aveva partecipato insieme ad altri speaker. Il biochimico statunitense aveva rifiutato infatti pubblicamente le evidenze scientifiche sul nesso causale tra il virus dell’Hiv e l’Aids.
La parte dell’intervento ripresa nel video pubblicato su Facebook si trova qui a partire dal minuto 48:35. Nel suo intervento, Kullis nega inizialmente che la Pcr possa essere utilizzata in modo sbagliato e chiarisce che a essere errate potrebbero essere invece le interpretazioni dei risultati ottenuti. Il biochimico sostiene poi che questa tecnica «è solo un processo che viene utilizzato per creare un bel po’ di qualcosa da qualche cosa» e che «non ti dice ti dice se sei malato». Questo però non significa che la Pcr non sia in grado di rilevare la presenza di un virus, come quello che provoca la Covid-19.
Come abbiamo ricostruito in un approfondimento sulla questione, la tecnica della Polymerase chain reaction (Pcr) è fondamentalmente una “fotocopiatrice” di Dna, capace di moltiplicare milioni di volte una singola e specifica sequenza genetica, rendendo quindi facile identificare e studiare un singolo frammento genetico anche se disperso insieme a moltissimi altri in un campione biologico. La Pcr infatti è ormai da oltre trent’anni una tecnica standard di biologia molecolare, ben conosciuta e utilizzata, tra le altre cose, anche per diagnosticare malattie infettive. L’estrema specificità di questa tecnica per il genoma del virus viene spesso messa in dubbio dai negazionisti, ma finora tutte le teorie per dimostrarlo si sono rivelate false. Per conoscere quelle che abbiamo affrontato e perché sono da ritenersi prive di fondamento scientifico, qui, qui, qui ci sono alcuni articoli di fact-checking che abbiamo pubblicato. Quando, secondo la traduzione del video, Mullis dice che «allora ci sono giusto pochissime molecole di cui in realtà non ne hai nemmeno una sola di loro nel tuo corpo» dice una cosa falsa: sappiamo che i falsi positivi per il virus Sars-CoV-2 sono pochissimi, proprio perché il test è altamente specifico per una molecola di Rna che normalmente non è nel nostro corpo.
Il sito di fact checking spagnolo Newtral ha spiegato in dettaglio che l’intervento di Mullis va letto nel contesto della teoria (da lui sostenuta ma del tutto screditata) che il virus Hiv non è il fattore causale dell’Aids. Quello che Mullis intendeva quindi dire è che rilevare il genoma di Hiv tramite Pcr non significava, secondo lui, che a questo seguisse la malattia. Come spiega su Newtral il professore di genomica comparata Rafael Zardoya del Museo di Scienze Naturali di Madrid, oggi sappiamo che il test Pcr è effettivamente indicativo dell’infezione da Hiv e quindi del rischio di sviluppare Aids.
Bisogna infine ricordare che Kary Mullis è stato famoso per aver sostenuto numerose posizioni pseudoscientifiche: oltre al negazionismo dell’Aids, è stato anche un critico del riscaldamento globale e viceversa un sostenitore dell’astrologia. Ricordiamo quindi che il prestigio di un singolo ricercatore, foss’anche un premio Nobel, non è garanzia della correttezza dell’informazione: quello che conta è il consenso della comunità scientifica su un argomento.