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Non ci sono prove scientifiche che collegano il vaccino contro la Covid-19 all’infertilità delle donne

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15 dicembre 2020
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L’11 dicembre 2020 la redazione di Facta ha ricevuto via Whatsapp la segnalazione di un articolo pubblicato il 7 dicembre 2020 dal sito Renovatio 21 intitolato «Vaccino e infertilità, il problema può essere reale. Parla l’ex direttore scientifico di Pfizer».

L’articolo descrive i punti salienti di una petizione (al momento non più disponibile in rete se non come copia archiviata) pubblicata il 1 dicembre 2020 che chiede di fermare il test clinico di fase 3 del vaccino Pfizer-BioNTech per la prevenzione della Covid-19. La petizione è firmata da Wolfgang Wodarg, medico e politico del partito tedesco Spd, e Michael Yeadon, fino al 2011 responsabile scientifico della divisione su allergie e malattie respiratorie di Pfizer e oggi consulente indipendente, già noto nel mondo anglosassone per la diffusione di teorie pseudoscientifiche sulla pandemia.

Nell’articolo vengono ripercorse brevemente le principali argomentazioni anti-vaccino della petizione, enfatizzando tra queste la presunta possibilità che il vaccino anti-Sars-CoV-2 possa causare infertilità: «Ci si aspetta che le vaccinazioni producano anticorpi contro le proteine ​​spike di SARS-CoV-2. Tuttavia, le proteine ​​spike contengono anche proteine ​​omologhe alla sincitina, che sono essenziali per la formazione della placenta nei mammiferi come gli esseri umani». Secondo l’articolo bisognerebbe quindi accertarsi che il vaccino non causi una risposta immunitaria contro la sincitina, pena l’infertilità permanente delle donne vaccinate.

Si tratta di una notizia priva di fondamento. Non esiste a oggi alcuna evidenza scientifica secondo cui il vaccino contro la Covid-19 possa causare infertilità femminile.

La sincitina è una proteina che, negli esseri umani, è necessaria – tra le altre cose – per lo sviluppo della placenta. Ha una storia particolare, che è importante per capire la questione: era infatti in origine una proteina di un antico retrovirus, che è stata acquisita nel genoma umano e sfruttata poi dall’evoluzione a nostro vantaggio. Nei retrovirus le proteine analoghe alla sincitina permettono l’ingresso del virus nella cellula; la stessa funzione della proteina spike dei coronavirus e che rappresenta il bersaglio dei vaccini. Secondo Wodarg e Yeadon, quindi, la sincitina umana, essendo una proteina di origine virale analoga a spike, potrebbe essere riconosciuta dagli anticorpi in seguito al vaccino e questo renderebbe impossibile la formazione della placenta e, di conseguenza, la gravidanza.

In realtà però sincitina e spike, benché abbiano una funzione simile, sono proteine molto diverse, così come diversi sono retrovirus e coronavirus come abbiamo discusso qui. Diversi esperti contattati indipendentemente dai nostri colleghi fact-checker di FullFact, Afp, Associated Press e PolitiFact hanno confermato che sincitina e spike non hanno quasi nessuna somiglianza a livello biochimico che permetta a un anticorpo contro la proteina spike di riconoscere anche la sincitina. La sequenza delle due proteine che è analoga è, infatti, troppo breve perché l’anticorpo si faccia “ingannare”. Inoltre, se così fosse, la sterilità sarebbe una conseguenza anche dell’infezione del virus Sars-CoV-2 (che causa la Covid-19) e della conseguente naturale risposta immunitaria. Non esiste però alcun indizio che questo accada.

Affrontiamo ora brevemente le altre affermazioni contenute nell’articolo e tratte dalla petizione di Wodarg e Yeadon. Innanzitutto è vero, come dice l’articolo, che la possibilità di una «amplificazione» (o potenziamento) «dipendente da anticorpi» era stata paventata per i vaccini contro il Sars-CoV-2. I test clinici non hanno però mostrato questo effetto.

Secondo l’articolo una sostanza presente nel vaccino Pfizer-BioNTech, il polietilen glicole o Peg, sarebbe pericolosa. «Il 70% delle persone» si legge, «sviluppa anticorpi contro questa sostanza – questo significa che alla vaccinazione molte persone possono sviluppare reazioni allergiche, potenzialmente fatali». In realtà il Peg è un ingrediente clinicamente approvato di molti vaccini e altri farmaci contenenti proteine, nonché di cosmetici e perfino usato come lassativo. Benché, come praticamente ogni sostanza, possa indurre reazioni allergiche in alcuni soggetti ipersensibili, queste sono molto rare (quattro casi all’anno negli Stati Uniti). Se ci fossero reazioni allergiche frequenti a questo ingrediente, queste sarebbero immediatamente venute alla luce durante gli studi clinici di questo e altri vaccini.

È vero tecnicamente che, come afferma l’articolo, non è possibile stabilire ancora se ci possono essere effetti a lungo termine. È un rischio intrinseco in realtà a ogni vaccino, anche se approvato in tempi più lunghi. Come abbiamo raccontato qui, dobbiamo però ricordare che gran parte degli effetti avversi dei vaccini avviene in tempi brevi (entro 6 settimane dalla vaccinazione) e per il resto esiste, come per ogni vaccino, un piano di farmacovigilanza. Nell’articolo si fa un paragone con l’aumentato rischio di narcolessia per il vaccino contro l’influenza suina: legame che, come abbiamo raccontato qui, è oggi considerato dubbio.

Sugli accenni a reattività incrociata e falsi positivi dei tamponi molecolari, rimandiamo infine ai nostri articoli qui e qui.

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