L’ascesa del diplomatico “lupo-guerriero”: come la Cina racconta, e si racconta, l’epidemia - Facta
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L’ascesa del diplomatico “lupo-guerriero”: come la Cina racconta, e si racconta, l’epidemia

«Non abbiamo né l’interesse né il tempo per lanciare qualche spregevole “campagna di disinformazione”»; nel pomeriggio del 31 marzo, lo sguardo fisso verso i giornalisti presenti nell’asettica sala conferenze del Ministero degli Esteri di Pechino, la portavoce Hua Chunying respinge le accuse al mittente. Da alcuni giorni numerosi media stranieri stanno pubblicando articoli e inchieste su una strategia globale della propaganda cinese, articolata attraverso social media, account più o meno istituzionali e testate vicine al Partito, che punterebbe da un lato ad accreditare la Cina come potenza benefica, capace di inviare aiuti medici in giro per il mondo durante la crisi, e dall’altro a seminare dubbi sulle origini della pandemia.

Adesso il Partito comunista cinese – attraverso la versione di Hua – ha deciso di passare al contrattacco: «Dopo la diffusione del contagio la Cina ha ingaggiato una corsa contro il tempo per combattere contro il virus e contenerlo», incalza la portavoce. «Proprio mentre parliamo, ci sono aziende cinesi che stanno lavorando notte e giorno per produrre forniture mediche e rafforzare le difese di altre nazioni. Vedete, l’epidemia è una specie di specchio magico che mostra la moralità e il carattere di una persona o di una nazione in tutti i suoi aspetti, e adesso, dopo così tante settimane, in molti negli Stati Uniti sostengono che la Cina dovrebbe essere ritenuta responsabile del Covid-19: non provano vergogna? Stanno cercando di infliggere la peggiore colpa del secolo alla Cina, rendendola il loro capro espiatorio. Ma non funzionerà».

L’ortodossia più pura di Pechino è quella espressa in un lungo editoriale intitolato «Prove e avversità non fermeranno il nostro progresso», pubblicato a firma Ren Zhong Ping il 25 marzo sul Quotidiano del Popolo, il giornale ufficiale del Partito: «Veniamo dalle avversità, ci siamo fatti strada attraverso il vento e il gelo, conosciamo bene le difficoltà e le sfide, ma conosciamo bene anche il successo e la vittoria, e possediamo tutta la fiducia e le abilità necessarie a vincere la battaglia finale della prevenzione e del controllo dell’epidemia. Possediamo la fiducia e le abilità necessarie per vincere la battaglia contro la povertà e raggiungere l’obiettivo di una società fiorente, come abbiamo programmato. Non importa quali venti e quali piogge incontreremo, non potranno fermare il progresso del popolo cinese e della nazione cinese. Wuhan vincerà! Lo Hubei vincerà! La Cina vincerà!».

Chi è Ren Zhong Ping e perché la sua voce è così importante per decifrare cosa succede nella macchina della propaganda di Pechino? Ren Zhong Ping non esiste. Il nome dell’editorialista, in realtà, nasconde una squadra di almeno dieci persone che comprende giornalisti, capiredattori e funzionari di Partito di vari dipartimenti, di solito guidati dallo stesso direttore del Quotidiano del Popolo, i cui interventi vengono calibrati al millimetro e passano attraverso numerose revisioni prima della pubblicazione.

La versione fissata in via ufficiale, quindi, è quella di una Cina che supera un’altra durissima prova grazie alla guida del Partito; tuttavia,  accanto a questa retorica trionfante – ma non particolarmente aggressiva – emerge sempre di più una narrazione semi-ufficiale, composta di allusioni, sospetti e accuse alle potenze straniere, il cui alfiere è un altro portavoce del Ministero degli Esteri cinese: Zhao Lijian, 47 anni, un personaggio che – sull’onda di un film d’azione ultranazionalista di qualche anno fa – il web cinese ha soprannominato “il diplomatico lupo-guerriero”.

Zhao, che ha lavorato all’Ambasciata cinese di Washington e in Pakistan, si è costruito il personaggio del falco che difende l’onore cinese in giro per il mondo su Twitter – un social network che in Cina è bandito – incrociando le lame con l’ex security advisor di Barack Obama Susan Rice. La polemica ingaggiata dai due sulla situazione dei campi di detenzione degli uighuri – la minoranza turcofona e islamica dell’ovest della Cina – ha proiettato Zhao Lijian ai vertici della notorietà, tanto che al suo rientro a Pechino il diplomatico è stato accolto da un folto gruppo di funzionari del Ministero degli Esteri in festa, che hanno brindato con lui nel suo ufficio al ministero.

Forte di questa reputazione, nelle scorse settimane Zhao Lijian ha costruito una versione alternativa sulle origini del Covid-19: in un celeberrimo – e famigerato – tweet del 12 marzo, il portavoce ha rilanciato un video di Robert Redfield, direttore dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) statunitensi e, senza contestualizzare a quando risalivano le dichiarazioni di Redfield, ha ipotizzato che i primi pazienti affetti da Coronavirus fossero dei soldati americani in visita a Wuhan per i Giochi Militari dell’ottobre scorso: «Il CDC è stato colto sul fatto! Quand’è che il Paziente Zero è apparso per la prima volta negli Stati Uniti? Quante persone ha infettato? Quali sono i nomi degli ospedali coinvolti? Potrebbe essere stato l’esercito americano a portare il virus a Wuhan. Siate trasparenti! Rendete pubbliche le vostre statistiche! Gli Stati Uniti ci devono una spiegazione!».

Molti dei funzionari più anziani sono infastiditi dall’atteggiamento di Zhao, ma il «diplomatico lupo-guerriero» gode evidentemente del sostegno dei vertici del Partito, dato che i suoi interventi incendiari non vengono censurati; la “versione di Zhao”, infatti, prima di ottenere i retweet di almeno otto rappresentanze diplomatiche cinesi all’estero e di innumerevoli account che diversi studi stanno riconducenco alla galassia dei bot della propaganda cinese, ha iniziato prima di tutto a consolidarsi in patria: in una puntata del 18 marzo di uno dei talk show più seguiti della tv di Stato cinese, ad esempio, la scienziata Chen Xuyan ha commentato le parole del diplomatico sostenendo esplicitamente che gli Stati Uniti sarebbero in possesso di un vaccino per il Coronavirus, e che quindi l’ipotesi di un “paziente zero” americano potrebbe essere fondata.

Così, mentre la “versione di Zhao” ha ormai fatto breccia sull’opinione pubblica cinese, Zhao Lijian sta ormai conducendo una campagna internazionale: secondo i dati elaborati dall’Alliance for Securing Democracy, nei giorni tra il 27 marzo e il 2 aprile il “diplomatico lupo-guerriero” guida la classifica degli account twitter istituzionali cinesi più diffusi, con  oltre 130mila retweet in tutto il mondo. Media ufficiali come l’agenzia di stampa di Stato Xinhua o il quotidiano ufficiale China Daily, che diffondono messaggi molto più concilianti, si piazzano solo al terzo e al quinto posto.

Antonio Talia

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