Covid-19 e sintomi a lungo termine: che cosa sappiamo - Facta
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Covid-19 e sintomi a lungo termine: che cosa sappiamo

Quando sentiamo parlare di Covid-19, sui media o nelle statistiche ufficiali l’uscita dalla malattia si riduce spesso a un bivio: decesso o guarigione. Si tratta in realtà di una semplificazione e oggi sappiamo che le cose sono più complicate di così. Di norma un caso lieve o moderato di Covid-19 dura una o due settimane (anche se in casi gravi il recupero può durare oltre sei settimane), ma è ormai accertato che l’infezione da Covid-19 può lasciare strascichi a lungo termine sulla salute di molti pazienti, anche dopo la scomparsa di tutte le tracce del virus. 

È un fenomeno noto come “sindrome post Covid-19” o con l’espressione inglese long Covid, “Covid lungo”. Benché non ne sia ancora chiara l’origine, è sempre più evidente che l’impatto della Covid-19 vada ben al di là della fase acuta della malattia e dei decessi.  Vediamo di che cosa stiamo parlando, sia dal punto di vista dei pazienti che da quello della gestione della pandemia.

Una sindrome dai mille volti

La long Covid non ha una definizione chiara o univoca. La sua esistenza è venuta alla luce durante la prima ondata pandemica della primavera 2020. All’inizio grazie alle esperienze condivise dai pazienti: prima sui social network, e poi nella collaborazione Patient-Led Research Collaborative, un gruppo di ricercatori e accademici colpiti da Covid-19 che si sono organizzati per condurre le prime indagini sulla long Covid, fin dal maggio 2020. In seguito la long Covid è stata descritta e infine riconosciuta dalla comunità medica e dall’Oms

Secondo un articolo pubblicato su Nature Medicine nel 2021, «manca una definizione esatta, ma tipicamente [sono chiamati così] sintomi [in seguito all’infezione da Sars-CoV-2] con una durata superiore ai due mesi». Il National Institute for Health and Care Excellence (Nice) del Regno Unito parla di sindrome post-Covid-19 per «segni o sintomi che […] continuano per oltre 12 settimane e non sono spiegati da una diagnosi alternativa». In generale, possiamo dire che la long Covid abbraccia tutti quei problemi di salute che sono causati dall’infezione da Sars-CoV-2 e persistono anche dopo la fase acuta dell’infezione.

Non è un’esclusiva della Covid-19: sindromi simili a lungo termine sono state riscontrate anche per altre malattie infettive, come la chikungunya (malattia virale che causa dolori e febbre, trasmessa dalle zanzare) o l’Ebola, e anche per altre malattie da coronavirus come la Sars e la Mers. Il meccanismo biologico che causa la long Covid è ancora tutto da chiarire, ma ci sono dati che puntano ad alterazioni del sistema immunitario, in particolare a reazioni autoimmuni.

I sintomi della long Covid sono oggi molto vari. I più comuni sembrano essere affaticamento, mal di testa, mancanza dell’olfatto e sintomi respiratori; altri sintomi riportati di frequente sono neurologici, come difficoltà di concentrazione (spesso indicata come brain fog, “nebbia cerebrale”) e intorpidimento degli arti. Sono poi spesso elencati anche dolori articolari o muscolari, febbre e depressione, ed esiste anche un aspetto psicologico legato al trauma della malattia, del ricovero e del lungo recupero, che si sovrappone agli altri sintomi. Si tratta, anche in questo caso, di un aspetto già osservato in altre epidemie infettive. 

Uno studio dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo pubblicato a gennaio 2021 che ha seguito i sopravvissuti Covid-19 della provincia di Bergamo ha riscontrato sintomi psichiatrici post-traumatici in oltre il 30 per cento dei pazienti. Secondo un’ipotesi pubblicata il 30 luglio 2020 sulla rivista biomedica Brain, Behavior and Immunity le alterazioni del sistema immunitario che portano all’infiammazione e ai sintomi fisici della long Covid potrebbero anche scatenare o peggiorare almeno alcuni dei sintomi psichiatrici, come ansia e depressione. 

Un’altra condizione legata al sistema immunitario che si può presentaresoprattutto nei bambini – da due a sei settimane dopo l’infezione acuta da Covid-19 è una sindrome multi-infiammatoria che causa seri problemi al cuore, all’apparato circolatorio e all’intestino. Si tratta però di una complicazione considerata rara e di norma viene discussa separatamente rispetto alla long Covid

Quante persone colpisce

Non ci sono cifre univoche sulla percentuale di colpiti dalla Covid-19 che sviluppano poi la long Covid, anche a causa dell’ambiguità della definizione. Sembra ormai chiaro che però una percentuale significativa di pazienti abbia sintomi persistenti, particolarmente tra coloro che sono stati ricoverati in ospedale. 

Uno studio pubblicato da Nature Medicine il 10 marzo 2021, che ha preso in esame i sintomi riportati da 4.812 pazienti Covid-19, di cui solo il 13,9 per cento ricoverati in ospedale durante la fase acuta, ha riscontrato che il 13,3 per cento dei pazienti ha riportato sintomi oltre le quattro settimane, il 4,5 per cento oltre le otto settimane e il 2,3 per cento oltre dodici settimane. La probabilità di avere sintomi persistenti sembra aumentare nei soggetti più anziani, sovrappeso e/o di sesso femminile.

Considerando l’impatto sulla salute generale a lungo raggio, al di là dei sintomi, ci sono forti evidenze che la Covid-19 influenzi a lungo termine la salute di moltissimi pazienti. Uno studio pubblicato su Nature il 22 aprile 2021 ha analizzato le condizioni di salute di 73.435 veterani delle forze armate degli Stati Uniti colpiti da Covid-19 e le ha confrontate con quelle degli altri veterani. Come campione sono stati scelti i veterani perché su di loro il governo degli Stati Uniti mantiene una accurata documentazione sanitaria. Nei pazienti Covid-19, dopo 30 giorni dall’infezione, il rischio di morte nei sei mesi successivi aumenta del 59 per cento e, nello stesso arco di tempo, si osserva un aumento significativo non solo di sintomi respiratori, ma anche di malattie del sistema nervoso, disturbi del sonno, ansia, diabete, obesità, affaticamento, anemia, ipertensione, aritmia cardiaca, dolori al petto, arresto cardiaco e sintomi gastrointestinali, embolia polmonare, artrite e infezioni. Questa ampia costellazione di danni a lungo termine all’organismo è molto più comune, secondo lo studio, nei pazienti Covid-19 rispetto a un campione analogo di pazienti ricoverati in ospedale per la normale influenza tra il 2016 e il 2020. 

Nei pazienti che sono stati ricoverati in ospedale per Covid-19, la percentuale di strascichi a lungo termine sembra elevatissima. In uno dei primi studi sulla long Covid, pubblicato dal Journal of the American Medical Association l’11 agosto 2020, oltre l’87 per cento dei pazienti Covid-19 dimessi dall’ospedale riportavano almeno un sintomo persistente. Secondo uno studio pubblicato come preprint il 25 marzo 2021 dall’Università di Leicester (Regno Unito) che ha seguito 1.077 pazienti Covid-19 dimessi dagli ospedali del Paese tra il 5 marzo e il 30 novembre 2020, il 92,8 per cento dei pazienti ha riportato almeno un sintomo a lungo termine e la maggioranza non si poteva definire completamente guarita. Il 20 per cento dei pazienti «aveva una nuova disabilità» e, dei pazienti che lavoravano prima di ammalarsi, il 17,8 per cento non lavorava più a causa delle cattive condizioni di salute.

Questo non significa che le categorie considerate di solito scarsamente a rischio siano al sicuro: in uno studio pubblicato su British Medical Journal Open il 30 marzo 2021, il 70 per cento di 201 pazienti Covid-19 a «basso rischio» ha riportato comunque danni in uno o più organi quattro mesi dopo i primi sintomi di malattia e ci sono dati che suggeriscono come la long Covid possa colpire anche i bambini.

Che cosa stiamo facendo (e cosa no) per affrontare la long Covid

Al 28 aprile 2021, i dati della Protezione Civile riportano 3.413.451 persone “guarite” dalla Covid-19. Se anche solo il 10 per cento di loro venisse colpito dalla long Covid, a pandemia finita l’Italia si troverebbe in futuro con almeno 340.000 potenziali malati cronici da long Covid che, vista la quotidiana presenza di nuovi positivi, probabilmente saranno molti di più. Un report della sezione europea dell’Oms pubblicato il 25 febbraio 2021 ha individuato due aspetti critici: la mancanza di una sorveglianza adeguata dei casi di long Covid e il fatto che spesso i pazienti long Covid non sono presi sul serio, soffrono di stigma e non riescono ad avere una diagnosi, come indicato anche da uno studio su 114 pazienti del Regno Unito. 

Francesco Landi, medico del Policlinico Gemelli e professore associato in medicina interna e geriatria, il 5 febbraio ha dichiarato in un’intervista alla rivista della Treccani Il Tascabile che servono interventi strutturali per affrontare l’emergenza sanitaria della long Covid: «bisognerebbe aprire molti ambulatori specifici sul territorio e, per esempio, pensare ad adeguati rimborsi per tutto ciò che si deve fare sia dal punto di vista diagnostico che da quello riabilitativo». Un approccio simile a quello che è stato adottato dal National Health Service in Inghilterra già a ottobre 2020 che, oltre al progetto online Your Covid Recovery per assistere la convalescenza dei pazienti Covid-19, ha anche stanziato un fondo di 10 milioni di sterline per offrire aiuto specialistico per la long Covid nelle cliniche di tutto il Paese. 

In Italia per ora c’è l’esempio del day hospital post-Covid del Policlinico Gemelli di Roma o dell’ambulatorio post-Covid del San Raffaele di Milano, come riconosciuto dall’Oms, ma non ci sono ancora risposte sistematiche. Il 2 marzo 2021 il Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha dichiarato durante una conferenza stampa che «è uno degli obiettivi del ministero della Salute monitorare anche gli effetti a lungo termine [della Covid-19], ci sono dei progetti a cui stiamo lavorando che nel più breve tempo possibile renderemo noti». 

Ancora il 20 aprile 2021 però diversi medici riuniti in un seminario online sulla long Covid ospitato dall’Associazione Giuseppe Dossetti (organizzazione di ispirazione cattolica che ospita numerosi convegni in ambito medico-scientifico) hanno ricordato che, a livello ufficiale, in Italia manca ancora un riconoscimento medico-scientifico alla long Covid e che è necessario istituire «centri di eccellenza a tutela dei pazienti affetti dalla sindrome Long Covid». 

In conclusione

L’esistenza della long Covid ribalta la cornice con cui spesso descriviamo la pandemia, al cui impatto pensiamo quasi sempre solo in termini di decessi, di ricoveri ospedalieri e di guarigioni. Il fatto che danni e sintomi a lungo termine siano comuni, anche in soggetti che di norma vengono ritenuti a rischio basso, implica che ogni strategia per «convivere con il virus» – espressione, questa, che è stata usata ad esempio dall’immunologa Antonella Viola, o anche dal coordinatore del Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo – ha conseguenze molto più complesse e profonde di quelle limitate alla conta delle terapie intensive e dei nuovi infetti. Dal momento che la pandemia accompagna le nostre vite da più di un anno, non abbiamo ancora idea di quanto persistano i danni da long Covid sui pazienti e quali saranno le conseguenze negli anni o decenni futuri. Le centinaia di migliaia di pazienti che sono o saranno affetti da long Covid in Italia probabilmente saranno un’ombra sulla salute pubblica anche quando la pandemia sarà sotto controllo. A queste categorie occorrerà dare risposte strutturali, oggi ancora lontane.

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