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Perché Don’t Look Up è uno specchio della realtà

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15 gennaio 2022
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Don’t Look Up, il film di Adam McKay uscito a dicembre 2021 con protagonisti Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence, ha scatenato un vivace dibattito online. Il film, come ha dichiarato il regista, è un’allegoria satirica del modo in cui la politica e la società reagiscono al cambiamento climatico. Ma, benché sia stato concepito e scritto prima della pandemia da Covid-19, moltissimi suoi aspetti si applicano perfettamente anche a questa.

Il vero tema di Don’t Look Up infatti è il modo in cui molti segmenti della società negano le crisi in atto, rallentando o impedendo una risposta adeguata, finché non è troppo tardi. Si tratta di un film palesemente satirico e sopra le righe: eppure in molte occasioni è uno specchio molto preciso della realtà. Vediamo dove e perché, e vediamo anche dove invece il film manca l’obiettivo.

Attenzione: da qui in poi ci sono numerosi spoiler sul film e il suo finale! 

I fatti non convincono

I fatti in Don’t Look Up sono elementari e chiarissimi: una cometa sta per schiantarsi sulla Terra e rischia di annientare il genere umano. Bisogna agire immediatamente, pena la fine del mondo. I due scienziati protagonisti, interpretati da Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence, sia pure entrambi con i loro difetti (di cui parleremo a breve), lo annunciano e ripetono più volte ai politici e al pubblico, supplicandoli di fare qualcosa.

Fin qui è la trama di un blockbuster catastrofico come Armageddon o Deep Impact. Il problema è cosa succede quando gli scienziati parlano: molti li seguono e danno loro retta, ma almeno altrettanti, se non di più, sembrano ignorarli o non prenderli sul serio. Politici e media tergiversano o ignorano il problema. Si diffonde l’idea che la cometa sia una bufala o una cospirazione. È la contraddizione alla base di tutto il film: basta guardare in su per accorgersi della catastrofe in arrivo, eppure nessuno fa niente.

È un fenomeno del tutto reale, ben noto a chi si occupa di comunicazione: raccontare i fatti, non importa quanto siano chiari e semplici, molto spesso non convince, per motivi cognitivi che sono molto simili a quelli che ci portano invece a credere alla disinformazione. Se i fatti vanno contro le nostre convinzioni e in particolare contro le convinzioni importanti per la nostra identità, se non ci fidiamo di chi ce li racconta, o se ci mettono emotivamente a disagio, la nostra psicologia tende a “difenderci” spingendoci a ignorarli, minimizzarli o negarli attivamente. Chi non crede alla cometa, in altre parole, è un po’ come chi non crede all’efficacia dei vaccini o al riscaldamento globale: non è tanto ignorante, quanto rigetta attivamente i fatti che vengono presentati. Tanto che il titolo del film, Don’t Look Up, riassume proprio questo atteggiamento: la cometa c’è, ma rifiutiamo di guardare in alto e confrontarci con la realtà, a costo di venire disintegrati.

A questo si accompagna il ruolo dei media, uno dei bersagli principali del film. Nella trasmissione televisiva a cui viene invitato il personaggio di DiCaprio, a un certo punto la presentatrice dice allo scienziato che la scienza non è unanime sul pericolo della cometa. Il film qui accenna a quello che in italiano è stata definita “fintoversia”, ovvero una strategia retorica in cui si afferma l’esistenza di una controversia scientifica che in realtà non esiste, allo scopo di legittimare come scientifiche posizioni che scientifiche non sono. È una strategia comunissima quando si ha a che fare con la disinformazione e le pseudoscienze: far credere che esiste “un’altra campana” scientificamente legittima quando invece non è vero. Il giornalismo spesso cade in questa trappola nel tentativo di essere imparziale, ma si tratta di un falso equilibrio: non esiste pari dignità tra tesi scientifiche e pseudoscientifiche.

La comunicazione della scienza

Gli scienziati però hanno le loro responsabilità: i personaggi interpretati da DiCaprio e Lawrence mostrano errori e difficoltà nella comunicazione della scienza e delle crisi. Da un lato lo stereotipo del nerd che si perde confusamente nei dettagli tecnici senza riuscire a fornire un messaggio semplice e concreto. Dall’altro la giovane dottoranda che scopre la cometa, e il cui atteggiamento emotivo, benché pienamente giustificato dai fatti, è troppo sopra le righe e viene deriso invece di essere preso sul serio. Il risultato è che in entrambi i casi il messaggio scientifico perde credibilità.

In una scena, il personaggio di DiCaprio per esempio si affretta a precisare, parlando con la presidente degli Stati Uniti (interpretata da Meryl Streep), che il rischio dell’impatto non è esattamente 100 per cento, ma 99,76 per cento. Per un accademico si tratta di una precisazione importante, in quanto ogni modello o previsione ha un margine d’errore e dichiararlo significa aver fatto onestamente il proprio lavoro, che però non inficia il messaggio (è praticamente sicuro che la cometa impatterà). Per il pubblico il messaggio che arriva però è “allora non ne siete davvero sicuri!”, e infatti di colpo l’atteggiamento della presidente diventa scettico. In pochi secondi, riassume come sia difficile comunicare l’incertezza (anche se, in alcuni casi, esprimere apertamente l’incertezza può aumentare la fiducia nel messaggio).

Di nuovo, qui Don’t Look Up espone un problema reale, sia pure in modo un po’ caricaturale. Abbiamo visto come durante la pandemia affidare la comunicazione direttamente a medici e scienziati sui media, spesso in contrasto tra loro senza che il pubblico possa capire le basi di certe affermazioni e di chi fidarsi, abbia contribuito a diffondere informazioni false e fuorvianti.

Gli scienziati possono certamente imparare a comunicare meglio e a evitare errori elementari. Ma non è chiaro se i corsi disponibili aiutino, e da soli gli scienziati non possono fare tutto. Il 23 dicembre 2021 la rivista accademica Science ha pubblicato un editoriale intitolato “Non è facile come sembra” per chiarire che non ci si può aspettare che ogni ricercatore diventi un abile comunicatore, un lavoro complesso e che richiede competenze e abilità a sé stanti: «Chiedere a uno scienziato di diventare un abile comunicatore della scienza dopo un corso è come chiedere a qualcuno che ha appena fatto un corso di chimica di inventare una nuova reazione».

Le crisi sono eventi politici, e dipendono dalla politica

La prima cosa che fanno gli scienziati, nel film, è rivolgersi alla politica: chiedono udienza alla presidente degli Stati Uniti perché risolva il problema. La scienza da sola è inerte se non c’è la volontà politica di affrontare la crisi. Ma sarà proprio la politica a deluderli: prima mettendo davanti le preoccupazioni elettorali al problema, poi rinunciando a una soluzione concreta per piegarsi alle richieste dei gruppi di potere economico. Anzi, ad un certo punto una parte politica inizia a remare attivamente contro le richieste degli scienziati. Lo slogan Don’t Look Up che dà il titolo al film infatti viene usato dal partito governante, a scopo elettorale: gli scienziati che dicono semplicemente di «guardare in alto» per rendersi conto che c’è una cometa in picchiata verso di noi vengono accusati di fomentare il panico e di avere motivazioni poco pulite.

Qui il film mostra un fenomeno che conosciamo bene: la polarizzazione politica delle crisi. Sul cambiamento climatico, per esempio, i media tendono a essere sempre più divisi politicamente, tanto che la frattura politica sul clima, negli Stati Uniti, è più profonda che sull’aborto: il 94 per cento dei Democratici di sinistra crede che il cambiamento climatico sia un pericolo, rispetto a solo il 19 per cento dei Repubblicani conservatori. La società si è divisa politicamente anche riguardo alle risposte alla pandemia, un dato che si riflette per esempio nella composizione politica dei no vax, in Italia e negli Stati Uniti.

Può sembrare assurdo che un dato di fatto come l’efficacia dei vaccini o, nel film, l’esistenza di una cometa letale, possano essere oggetto di dibattito politico. Come abbiamo visto sopra, però, il nostro credere o meno ai fatti e alle fonti che ce li comunicano dipende dalla nostra identità e dai nostri pregiudizi; così come queste ci portano politicamente da una parte o dall’altra, ci portano anche ad accettare, rifiutare o discutere i dati della scienza, e quali debbano essere le risposte di fronte alla crisi.

Il falso equilibrio tra economia e crisi

Don’t Look Up nasce come satira della crisi climatica, e in una breve scena coglie molto bene un dilemma reale. Quando il personaggio di Jennifer Lawrence, la dottoranda Dibiasky, decide di tornare a casa dalla sua famiglia, viene accolta con freddezza. I suoi genitori non approvano il suo attivismo a favore di una soluzione radicale al problema: «Siamo a favore dei posti di lavoro che verranno creati dalla cometa».

L’analogia è chiara: lo sfruttamento economico della cometa richiede un piano molto azzardato (che infatti non funzionerà) ma potrebbe portare posti di lavoro e benefici. Allo stesso modo, nella discussione sulla transizione energetica si parla spesso dei posti di lavoro che potrebbero essere persi con il declino dell’industria dei combustibili fossili. È un problema da non sottovalutare, anche se in realtà ci sono indizi che la transizione ecologica possa portare più posti di lavoro, non perderli, mentre invece il cambiamento climatico potrebbe mettere a rischio anche milioni di posti di lavoro. Ma in ogni caso il messaggio di Don’t Look Up è chiaro: se ci preoccupiamo degli ostacoli a breve termine ma ignoriamo il problema a lungo termine, finisce male.

Il dilemma alla base della seconda parte di Don’t Look Up è infatti quello tra soluzioni radicali alle crisi e mezze misure compatibili con il nostro modello economico. Nel film, un piano potenzialmente efficace infatti viene abortito all’ultimo momento a favore del piano alternativo dell’imprenditore visionario Isherwell (interpretato dall’attore Mark Rylance). Tecnologicamente assai complesso, permetterebbe di sfruttare economicamente le enormi ricchezze minerarie presenti nella cometa, che altrimenti andrebbero perdute. Il rischio, ovviamente, è che fallisca condannando tutta l’umanità.

Don’t Look Up estremizza il dilemma, ma il concetto di fondo è assolutamente reale. Lo vediamo ad esempio con le tecnologie di cattura del carbonio, che da un lato potrebbero essere fondamentali per abbattere le emissioni ma dall’altro rischiano di essere un “piano Isherwell” rischioso che ci manterrà legati ai combustibili fossili senza permetterci veramente di risolvere il problema, con anche conseguenze economiche. Lo abbiamo visto anche durante la pandemia, dove molte politiche sono state ispirate a un supposto “equilibrio” tra economia e controllo del virus, a volte postulando piani a dir poco spericolati e pseudoscientifici come l’idea di isolare solo gli anziani e la simile Great Barrington Declaration. Mentre invece i dati ci dicono che i Paesi più capaci di controllare la pandemia sono stati anche quelli la cui economia ha subito meno danni.

Il finale del film, anche qui in modo caricaturale, ci mette davanti un’altra questione reale: le crisi globali non colpiscono tutte le persone allo stesso modo. Quando ormai è chiaro che l’impatto sarà inevitabile, una minoranza di persone ricche e potenti, infatti, si salvano, fuggendo su un’astronave già pronta allo scopo, mentre tutti gli altri verranno lasciati indietro. Anche se magari non in modo così estremo, è vero che la crisi climatica e la pandemia hanno un impatto più drammatico sulle classi più deboli, esasperando ulteriormente le disuguaglianze economiche e sociali. Per esempio, la disuguaglianza nella disponibilità dei vaccini contro la Covid-19 rischia di peggiorare la situazione pandemica nei Paesi più poveri, a sua volta rendendo più difficile la loro ripresa economica e sociale.

Dove la metafora fallisce

Don’t Look Up è un’amara satira che tocca molte questioni reali, ma è pur sempre un’opera di invenzione. Come tale, non è perfetta e in alcuni casi manca il punto o dimentica questioni importanti.

Innanzitutto, la cometa è uno stratagemma narrativo molto efficace, perché è un rischio ovvio, immediatamente comprensibile e sicuramente catastrofico, su cui non ci sono margini di incertezza. Lo spettatore non ha dubbi su quale sia la parte “giusta”. Cattura anche bene la natura scientifica della crisi climatica: come l’orbita della cometa, prevedibile dalle leggi di gravitazione, il riscaldamento della Terra dovuto all’effetto serra era ed è prevedibile matematicamente in modo molto accurato (anche se meno semplice). Questo però nasconde la natura spesso sfuggente delle crisi reali. La crisi climatica, e in generale la crisi ecologica, è nota da decenni, ma non è un oggetto che possiamo vedere e indicare col dito. Le sue conseguenze sono molto meno ovvie e rallentate rispetto alla devastazione immediata e totale prodotta dalla cometa. Rendersi conto del problema innescato dalla crisi climatica non è facile come guardare in su.

La cometa inoltre è un oggetto esterno, indipendente dalla nostra volontà, verso cui le uniche soluzioni possibili sono tecnologiche, come le missioni spaziali (che stiamo studiando davvero). Le crisi attuali come la pandemia e il clima sono molto diverse. Per la crisi climatica la tecnologia non è sufficiente: serve ripensare il modello di sviluppo e la politica energetica, o si rischia invece di usare la tecnologia come una scusa per rimandare la soluzione. Con la pandemia, abbiamo avuto la stessa illusione: i vaccini sono un aiuto tecnologico essenziale, che ha grandemente mitigato l’impatto della pandemia. Ma abbiamo capito che, da soli, non possono risolvere tutto il problema, almeno per ora. Come ha dimostrato la variante omicron, controllare la pandemia per ora non può prescindere da scelte politiche e sociali.

Una cometa cade o non cade, non ci sono vie di mezzo. Nel caso del film, varrebbe la pena pagare qualsiasi prezzo per evitarla, perché l’alternativa è la fine della specie umana. Crisi come la pandemia o la crisi ecologica invece ci costringono a un ventaglio di scelte possibili e molto meno nette su cosa significhi “risolvere” il problema: eliminare il virus o conviverci? Quanti gradi di riscaldamento sono un compromesso accettabile e a che prezzo? Si tratta di scelte complesse e non solo scientifiche.

Il film inoltre non affronta un problema fondamentale sulla disinformazione, specialmente della crisi climatica. In Don’t Look Up i media vengono dipinti come superficiali e disinteressati alla catastrofe imminente, e il piano fallimentare del magnate Isherwell nasce per chiari interessi economici; ma manca la connessione tra le due cose. Nella realtà la connessione, almeno in parte, esiste. Una volta tanto possiamo far felici i complottisti, perché sappiamo che c’è davvero una sorta di cospirazione a cielo aperto: come è ormai accertato, la disinformazione sul clima viene in parte finanziata da gruppi di potere economico interessati a mantenere l’industria dei combustibili fossili.

Infine, in Don’t Look Up le persone sono passive: quasi nessuno può fare niente, se non aspettare e sperare che il problema venga risolto da un’élite. Per quanto riguarda clima e pandemia, invece, ognuno di noi può contribuire a cambiare le cose, consumando meno, o indossando una mascherina, anche se gli interventi individuali da soli non sono risolutivi.

In conclusione

I meriti e demeriti cinematografici di Don’t Look Up sono stati ampiamente discussi in Rete ma, al di là di cosa se ne pensi dal punto di vista artistico, una cosa di sicuro la dimostra: la capacità del cinema e delle storie di raccontare in modo avvincente e convincente temi complessi.

In poco più di due ore, il film di McKay fornisce un riassunto chiaro e preciso, anche se non sempre completo, di quanto possa essere frustrante e irrazionale la risposta alle crisi del nostro secolo, tanto che ha ricevuto il plauso di vari scienziati.

Non capita spesso che un film tratti agevolmente e con ironia temi come la comunicazione del rischio, la polarizzazione della società, la tensione tra capitalismo e problemi globali. Anche se non è un film perfettamente riuscito, resta un ottimo esempio di come il cinema possa trattare temi complessi, e indurci a riflettere, diventando un alleato dell’informazione.

Photo credits: Impawards, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

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