Le quarte dosi: qual è il futuro della strategia vaccinale? - Facta
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Le quarte dosi: qual è il futuro della strategia vaccinale?

Dovremo rimetterci in fila per il vaccino? In alcuni Paesi stanno iniziando a somministrare una quarta dose di vaccini contro la Covid-19. Il 2 gennaio 2022 il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, ha annunciato la distribuzione di una quarta dose di vaccino per operatori sanitari e persone sopra i 60 anni di età. Altri Paesi stanno iniziando a offrire quarte dosi alle persone a rischio, come per esempio lo Stato americano della Virginia occidentale. Il ministro della salute tedesco, Karl Lauterbach, ha annunciato che una quarta vaccinazione potrebbe essere necessaria a causa di omicron. 

A questi si aggiungono Stati, come la Turchia, in cui sono state offerte due dosi aggiuntive di vaccino Pfizer per compensare la minore efficacia delle due dosi di vaccino CoronaVac (prodotto dalla cinese Sinovac) somministrate inizialmente.

Ma ha davvero senso fare continui richiami del vaccino contro la Covid-19? In generale, quale potrà essere una strategia a lungo termine per contenere un virus che, ormai, sembra qui per restare? Vediamo che cosa sappiamo finora, e quali prospettive ci sono per il futuro.

Una quarta dose che non convince ancora

Israele sembra, di nuovo, “all’avanguardia” sulla campagna vaccinale, com’era accaduto per le terze dosi, ma questo non vuol dire necessariamente che dovremo seguire nuovamente il suo esempio. 

Jonathan Sterne, professore di statistica medica ed epidemiologia all’Università di Bristol, ha dichiarato l’11 gennaio alla rivista accademica Lancet Respiratory Medicine che «le quarte dosi si stanno facendo principalmente per precauzione; abbiamo ancora pochi dati sul loro effetto». Questi pochi dati finora disponibili suggeriscono che il beneficio delle quarte dosi sia limitato. I dati israeliani sembrano mostrare un aumento di cinque volte degli anticorpi in seguito alla quarta dose, con nessun problema significativo di sicurezza. Si tratta però, come riportato dal British Medical Journal (Bmj), di uno studio ancora non pubblicato, su 154 operatori sanitari. Un aumento degli anticorpi non è sorprendente, secondo l’articolo del Bmj, ma non significa che una quarta dose sia necessaria. Il 17 gennaio 2022 Israele ha rilasciato nuovi dati secondo i quali la quarta dose non riesce comunque a prevenire l’infezione da variante omicron: in tutti gli infetti i sintomi erano assenti o molto lievi, ma la speranza di poter bloccare la trasmissione della variante con la quarta dose sembra svanita. I dati israeliani indicherebbero anche che la quarta dose riporta gli anticorpi al livello massimo ottenuto dopo la terza dose, ma non di più. 

Allargando il nostro sguardo sulla questione sembra esserci scetticismo tra gli esperti sull’eventualità di una quarta dose. Marco Cavaleri, a capo della strategia vaccinale dell’European medicine agency (Ema), ha detto in una conferenza stampa dell’11 gennaio 2022 che «è possibile che boosters aggiuntivi possano far parte di piani di emergenza, ma ripetere vaccinazioni a intervalli brevi non è una strategia sostenibile a lungo termine». Identica opinione sostenuta dall’Oms in un comunicato pubblicato lo stesso giorno. Il 3 gennaio un simile punto di vista era stato espresso da Andrew Pollard, presidente del Comitato su vaccinazione e immunizzazione del Regno Unito, e leader del team che ha sviluppato il vaccino AstraZeneca; Pollard aveva dichiarato al Telegraph «non possiamo vaccinare il pianeta ogni quattro o sei mesi, non è sostenibile e non ce lo possiamo permettere economicamente». 

Anche le case farmaceutiche che producono vaccini, che in teoria avrebbero interesse a spingere su quarte dosi, stanno facendo marcia indietro. Mikael Dolsten, capo della divisione scientifica di Pfizer, già a dicembre 2021 aveva dichiarato, assieme al Ceo Albert Bourla, che «molto probabilmente» sarebbe servita una quarta dose. A gennaio 2022 però Bourla è tornato in parte sui suoi passi, affermando «non so se c’è bisogno di una quarta dose, è qualcosa che andrebbe testato». 

In tutto questo però va considerata un’eccezione importante. Paesi come gli Stati Uniti o il Regno Unito offrono al momento una quarta dose a persone con il sistema immunitario compromess: per questa categoria di pazienti l’ulteriore dose aggiuntiva potrebbe essere molto utile. Michelle Willicombe, nefrologa che si occupa di trapiantati il cui sistema immunitario è soppresso dai farmaci antirigetto, ha dichiarato al British Medical Journal: «Alcuni pazienti immunocompromessi non hanno avuto nessuna risposta o una risposta inadeguata anche dopo tre dosi, e hanno bisogno di quattro dosi perché si veda una risposta. Dare quattro dosi a pazienti immunocompromessi è una cosa del tutto diversa rispetto a somministrarle alla popolazione generale». L’Ema, in una conferenza stampa del 18 gennaio 2021, ha chiarito che al momento non è raccomandata una quarta dose, ma fa un’eccezione per persone con un sistema immunitario chiaramente indebolito. 

Le conseguenze sul sistema immunitario

Marco Cavaleri dell’Ema ha anche sollevato l’ipotesi che dare un richiamo ogni quattro mesi possa sovraccaricare il sistema immunitario, teoria che lascia però perplessi vari esperti.

Secondo Giacomo Gorini, immunologo che ha contribuito allo sviluppo del vaccino AstraZeneca e appena rientrato dall’Università di Harvard, ««il sistema immunitario ci mette anni ad affaticarsi, anche se può accadere in un contesto noto come anergia. Questo meccanismo è programmato dal sistema immunitario per spegnere reazioni croniche e, potenzialmente, contro componenti del nostro stesso corpo. Se invece si ipotizza che dare il vaccino una quarta volta possa ridurre la qualità della risposta immunitaria, pure aumentandone la quantità, allora direi che si entra nel campo della speculazione». Un altro immunologo, Davide Mangani, affiliato all’Università di Harvard, su Twitter ha precisato che la stimolazione indotta dal vaccino «per portare a questo processo deve rimanere per mesi se non anni in modo da scatenare questi meccanismi di “affaticamento”». La proteina Spike prodotta dai vaccini però non persiste «mai abbastanza da ricapitolare una stimolazione cronica di mesi o anni».

Ma quindi, quanti richiami ci serviranno?

La maggior parte dei vaccini richiedono da due a quattro dosi, dopo di che non servono richiami ulteriori. Le uniche eccezioni sono i vaccini per l’influenza, il tetano e la difterite. L’influenza ha bisogno di un richiamo annuale perché il virus cambia di anno in anno e richiede quindi un nuovo vaccino; non si tratta quindi di boosters ma di vaccini contro un nuovo ceppo virale in circolazione. Per il tetano e la difterite è spesso consigliato un richiamo ogni 10 anni, anche se secondo uno studio del 2020 non sembra necessario. 

Non è affatto chiaro che cosa fare con la Covid-19, perché dipende da due fattori: l’affievolirsi della risposta immunitaria del tempo, che accade per tutti i vaccini e i patogeni, e l’evoluzione di nuove varianti. Sappiamo però che uno dei fattori per cui si è rivelato necessario fare la terza dose, oltre alla comparsa di omicron, è stato il modo in cui abbiamo distanziato le vaccinazioni. 

Come ha riportato la rivista accademica di medicina Jama, secondo Peter Hotez – medico, microbiologo e a capo del team che ha sviluppato il vaccino Corbevax –, le prime due dosi di vaccinazione in teoria dovevano essere fatte molto più distanziate nel tempo. Secondo uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista accademica Cell, l’efficacia delle dosi di vaccino aumenta se vengono fatte ad ampia distanza di tempo (oltre le 6 settimane). Uno altro studio, pubblicato come preprint il 2 novembre 2021, suggerisce che gli anticorpi continuino a maturare oltre sei mesi dopo la vaccinazione.  

Come sappiamo, le dosi sono state invece fatte quasi sempre a distanza di poche settimane, una scelta inevitabile vista l’emergenza ma che ha fatto sì poi che fosse necessaria, mesi dopo, una terza dose. Secondo Hotez però è improbabile che servano quattro o più dosi. Quest’ultima opinione non è condivisa da tutti: Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid) e, oggi, consigliere medico capo della Casa Bianca, ha dichiarato a Nbc News che «è concepibile che serva una dose booster di vaccino ogni uno o due anni». 

Se dovremo fare richiami regolarmente, è probabile però che non li faremo con i vaccini a cui siamo stati abituati finora. L’Ema ha dichiarato il 18 gennaio che vaccini con una composizione diversa da quelli attuali verranno approvati solo se forniranno una protezione superiore alle dosi booster dei vaccini attuali. Secondo l’Oms, i nuovi vaccini dovranno essere basati sulle varianti in circolazione di Sars-CoV-2,  dovranno proteggere meglio contro l’infezione e dovranno avere una risposta immunitaria capace di durare nel tempo. Insomma, dovranno essere armi migliori delle attuali.

Le aziende farmaceutiche però stanno esitando nel produrre vaccini che abbiano come bersaglio specifico omicron o altre varianti, perché nel tempo richiesto per sviluppare e testare questi vaccini è probabile che l’ondata della variante sia già finita. In altre parole, rischiano di produrre vaccini già obsoleti. Per esempio, il 30 novembre la direttrice dell’European medical agency (Ema) Emer Cooke aveva dichiarato che vaccini specifici anti-omicron potevano essere distribuiti intorno a febbraio-marzo, ma l’ondata di omicron è già ampiamente in corso: considerando anche il tempo necessario per fare due dosi e i 7-14 giorni necessari per una risposta ottimale al vaccino, è evidente che tale vaccino arriva tardi.

Secondo il virologo Ralph Baric, interpellato da Scientific American, non sarebbe comunque uno sforzo inutile, perché è plausibile che le nuove varianti derivino da evoluzioni delle varianti note e un vaccino contro omicron sarebbe comunque più efficace contro una variante “figlia” di omicron (va detto però che, contro ogni previsione, proprio omicron è una variante che non deriva da quella dominante in precedenza, ovvero delta). 

Strategie per il futuro

Per evitare questo continuo inseguimento delle nuove varianti, sarebbe opportuno cambiare strategia: per esempio creando vaccini che siano in grado di dare una protezione ad ampio spettro, contro tutte le varianti di Sars-CoV-2 o addirittura contro tutti i coronavirus, come ha invocato Anthony Fauci assieme ad alcuni colleghi sulle pagine del New England Journal of Medicine il 15 dicembre 2021. 

Alcuni vaccini di questo tipo sono in sviluppo. Uno di questi è stato sperimentato dal Dipartimento della Difesa statunitense e nei test sulle scimmie sembra in grado di dare una risposta robusta e circa equivalente verso le varianti di Sars-CoV-2, ma anche verso un suo parente, il virus della Sars, Sars-CoV-1, il che suggerisce che sia un vaccino capace di combattere diversi tipi di coronavirus. 

In parallelo, una strategia utile potrebbero essere i vaccini intranasali, da assumere quindi nel naso, ad esempio con uno spray e non con un’iniezione. Questi vaccini potrebbero indurre una risposta immunitaria direttamente nelle mucose del naso, fermando il virus all’ingresso e quindi bloccando potenzialmente anche la trasmissione, un’ipotesi corroborata, al momento, da alcuni dati sugli animali. Uno studio pubblicato il 10 dicembre 2021 su Science Immunology suggerisce che vaccini di questo tipo potrebbero portare a una risposta immunitaria concentrata nei polmoni, abbattendo il virus dove fa più danno. Finora però gli studi clinici sugli esseri umani hanno avuto risultati poco chiari: in uno dei primi, uno studio di fase 1 del vaccino nasale AdCovid prodotto dall’azienda Altimmune, il vaccino, benché ben tollerato, non ha indotto una buona risposta immunitaria. È possibile però che non sia il caso di arrendersi: secondo un medico interpellato dalla rivista medica Jama, Matthew Memoli, direttore dell’unità di studi clinici del laboratorio di malattie infettive dei National institute of health statunitensi, se ci si basa sugli anticorpi in circolo nel sangue «i vaccini intranasali sembreranno sempre inferiori», in quanto il loro meccanismo di azione è parzialmente diverso da un vaccino iniettato. L’unico modo di risolvere la questione è vedere se e quanto effettivamente proteggono le persone. 

In conclusione

Se per le terze dosi i contro sembravano più che altro di tipo etico, in quanto riducevano la disponibilità di vaccini in Paesi ancora scarsamente vaccinati, mentre sull’efficacia c’erano fin da subito dati positivi, sulle quarte dosi la comunità scientifica è molto più scettica. I dati finora disponibili sono scarsi ma, per quanto ne sappiamo, è plausibile che i benefici di una quarta dose siano limitati, eccetto per categorie molto particolari di pazienti. 

È probabile che nei prossimi mesi o anni verremo chiamati a fare ulteriori cicli di vaccinazione contro la Covid-19, ma con vaccini e strategie diverse dalle attuali. I vaccini futuri dovranno essere in grado di affrontare fin da subito le prossime varianti del Sars-CoV-2 e possibilmente proteggerci in qualche modo anche da future pandemie di nuovi coronavirus. 

Le quarte dosi rappresentano oggi il limite ultimo della strategia di emergenza con cui abbiamo affrontato finora la pandemia, mentre i prossimi vaccini potrebbero consentirci, se manterranno le promesse, di controllare il virus a lungo termine.

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