E quindi i Puffi sono comunisti? - Facta
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E quindi i Puffi sono comunisti?

di Anna Toniolo

Era il 1958 quando i Puffi, un piccolo popolo immaginario di creature azzurre, comparirono per la prima volta in un fumetto dell’artista belga Pierre Culliford, noto come Peyo. Da allora sono diventati protagonisti di serie animate, film, videogiochi e altro ancora. I piccoli personaggi blu sono conosciuti per essere graziosi, divertenti e adatti ai bambini e non presentano alcun riferimento politico particolare o esplicito.  

Nonostante questo, però, negli anni si è diffuso su Internet uno di quei racconti che ha tutte le caratteristiche per essere classificato come leggenda metropolitana: i Puffi sarebbero una metafora marxista e veicolerebbero un messaggio comunista. Nonostante in molti casi questa narrazione abbia preso i toni della satira, continua comunque a rappresentare una sorta di contro-lettura internettiana del celebre mondo dei piccoli personaggi blu. Ma, come spesso succede, simili voci sui Puffi non si fondano su basi solide e su prove concrete. 

Breve storia del successo dei Puffi
Nel 1952 il fumettista belga Pierre Culliford, in arte Peyo, fu assunto dal settimanale a fumetti Le journal de Spirou, chiamato in breve solo Spirou, dove divenne l’ideatore e creatore di una serie a fumetti intitolata “Johan et Pirlouit”, ambientata in Europa durante il Medioevo, che raccontava le avventure dei personaggi con elementi di cavalleria e avventura. 

Ma fu nel 1958 che Peyo fece la storia. In quell’anno la rivista Spirou iniziò la pubblicazione del nuovo fumetto di “Johan et Pirlouit” (in italiano “Johan e Solfamì”) intitolata “La flûte à six trous” – che in italiano si traduce con “Il flauto a sei fori” – in cui raccontava l’avventura dei personaggi alla ricerca di un flauto magico e il loro incontro con alcuni spiritelli chiamati “les Schtroumpfs”. Questa fu la prima apparizione dei personaggi che oggi conosciamo come Puffi, ma Peyo continuò a inserirli nella serie di Johan et Pirlouit. Le piccole creature blu ottennero le loro prime storie autonome nel 1959 sempre sulla rivista Spirou, realizzata in collaborazione con Yvan Delporte, fumettista ed editore. Il loro nome è il riferimento a una bizzarra conversazione che il fumettista aveva avuto con alcuni amici durante una cena, quando Culliford, che non riusciva a ricordare il termine per il sale, chiese al suo compagno di tavolo di passargli lo “schtroumpf”.  

In Italia le piccole creature blu arrivarono per la prima volta nel 1963 all’interno della rivista Tipitì, con il nome di Strunfi, e l’anno seguente Il Corriere dei piccoli iniziò a pubblicarne le storie. Pochi mesi più tardi José Rinaldi Pellegrini, giornalista e direttrice della rivista dal 1977 al 1981, li ribattezzò come Puffi, prendendo spunto dal dialetto piemontese. 

Il primo cortometraggio animato che aveva come protagoniste le piccole creature antropomorfe risale al 1959, fu disegnato dallo stesso Peyo e prodotto da TVA e nel 1975 uscì il primo lungometraggio basato su “i Puffi e il flauto magico”, prodotto dai Belvision Studios. 

Fu però qualche decennio dopo che il cartone animato entrò davvero nelle case di tutti. Nel 1981 negli Stati Uniti d’America la casa di produzione Hanna-Barbera lanciò una serie animata sui personaggi blu per il canale NBC intitolata “The Smurfs”, che fu uno dei suoi più grandi successi. In Italia i primi episodi furono trasmessi da reti locali dal 1981, ma successivamente la serie animata fu acquistata da Fininvest e trasmessa su Mediaset con le sigle cantate da Cristina D’Avena, scelta che contribuì al successo del prodotto. 

Negli anni successivi i gadget a tema e il merchandising ebbero un enorme successo e i Puffi diventarono definitivamente un fenomeno di massa conosciuto in molti Paesi del mondo. 

L’origine della teoria del complotto sui Puffi socialisti o comunisti
Come spesso accade, un successo della portata appena descritta non ha solo effetti positivi. Nel caso dei Puffi la vasta diffusione del fumetto prima e della serie animata poi ha portato alla creazione di una teoria del complotto che circola ancora oggi su Internet, secondo cui le piccole creature blu sarebbero in realtà la trasposizione di idee e valori socialisti o comunisti. I Puffi vivono in una comunità fantastica dove condividono tutto e lavorano insieme per il bene comune, senza denaro né proprietà privata, elementi che possono sembrare in linea con i principi del comunismo, ma ad oggi non ci sono prove rispetto alla presenza di messaggi politici all’interno della serie animata. 

Il primo a parlare dei Puffi come un’utopia marxista fu lo scrittore australiano Marc Schmidt che nel 1998 pubblicò un articolo in cui evidenziava come i piccoli esserini animati vivessero in un mondo senza capitalismo, senza denaro o proprietà privata, dove tutti sono uguali anche nel modo di vestire e dove ognuno dei loro nomi è preceduto dal prefisso “Puffo”, paragonando questa abitudine all’uso che i Paesi socialisti facevano della parola “compagno” quando si riferivano ad altre persone, rifiutando i titoli più elitari. Nell’articolo Schmidt paragonava Grande Puffo, uno dei protagonisti della serie, a Karl Marx, Quattrocchi – il Puffo “cervellone”- a Trotsky, figura cruciale insieme a Vladimir Lenin della Rivoluzione d’ottobre e del gruppo dirigente della nascente URSS, e addirittura Gargamella, l’antagonista principale dei Puffi, a una più generica minaccia capitalista, vista la sua ossessione di trasformare le creaturine blu in oro. 

Anni dopo, nel 2008, lo stesso Schmidt pubblicò un secondo contenuto sull’argomento, un libro intitolato “I segreti della cultura popolare”, scritto in coreano, in cui approfondiva i messaggi nascosti della cultura popolare, inclusa la sua analisi dei Puffi. In occasione dell’uscita del libro rilasciò un’intervista a The Korea Times in cui dichiarava di non essere sicuro «che fosse intenzione di Peyo fare una metafora socialista, se fosse inconscio, o se fosse solo una coincidenza», aggiungendo che trovava comunque strano che il fumettista non avesse tenuto conto dei possibili risvolti politici dei Puffi. 

Nonostante i contenuti di Schmidt fossero ambigui e goliardici, ottennero un discreto successo e gli utenti di Internet iniziarono a diffondere questa bizzarra teoria. Ma la narrazione dei Puffi come metafora della teoria marxista guadagnò popolarità proprio grazie a un video pubblicato da un utente su YouTube nel luglio 2008 in cui riassumeva le principali idee che circolavano da tempo su come i Puffi rappresentassero, appunto, i valori comunisti e riprendendo molte delle teorie esposte da Schmidt nel suo articolo. Nonostante il video stesso chiarisca che non dovrebbe essere preso troppo sul serio. Addirittura il filmato sostiene che le sfumature comuniste dei Puffi sarebbero state parte di uno stratagemma per influenzare i bambini e le bambine durante la Guerra Fredda e che il nome inglese dei Puffi, cioè Smurf, sia l’acronimo di “Small men under red flag” (in italiano: “piccoli uomini sotto la bandiera rossa”). In realtà si tratta di una teoria completamente priva di senso perché i Puffi non sono inglesi, ma belgi, e il loro nome originale era “Schtroumpf”.

In Italia già nel 2000 questa teoria si era diffusa grazie ad alcuni testi condivisi su Digiland, la community del portale Libero, e fu poi ripresa nello stesso anno dal giornalista Roberto Davide Papini in un (probabilmente) ironico e approfondito articolo apparso su La Nazione.

L’evoluzione delle interpretazioni
Con il passare del tempo le teorie si sono fuse tra loro e hanno raggiunto l’apice della loro notorietà nel 2011, quando l’accademico francese Antoine Buéno pubblicò il libro intitolato “Le petit livre bleu” che in italiano si traduce con “Il piccolo libro blu”. Nella sua opera l’autore affermava che i personaggi creati da Peyo, il loro mondo e il loro modo di fare rappresentassero tendenze staliniste, ma non solo, anche antisemite e razziste. Come aveva fatto Schmidt, e poi l’utente che aveva pubblicato il popolare video su YouTube nel 2008, anche Buéno sottolineava le somiglianze tra il comunismo e la società dei Puffi, notando ad esempio come questi mangiassero sempre insieme e raramente premiassero azioni individualistiche. 

In un’intervista pubblicata sul Guardian nello stesso anno, l’accademico francese chiedeva a chi lo leggeva: «non vi ricorda niente? Una dittatura politica, per esempio?». Nell’occasione Buéno aveva paragonato i Puffi a un’utopia totalitaria che ricorda da vicino il comunismo stalinista – ma anche il nazismo – e aveva proposto una lettura di Gargamella come caricatura antisemita di una persona ebrea. Lo studioso aveva aggiunto al quadro anche il tema del razzismo, citando un vecchio episodio in cui i Puffi venivano morsi da una mosca che rendeva la loro pelle nera e che li faceva diventare aggressivi e capaci di pronunciare esclusivamente la parola “gnap”. Una scelta che secondo Buéno aveva connotazioni coloniali. 

La risposta della famiglia di Peyo
Nonostante la diffusione in Rete nel corso degli anni, tutte le controverse teorie che hanno descritto i Puffi come comunisti, nazisti, razzisti o antisemiti, sono state respinte dalla famiglia di Peyo, il “padre” delle piccole creature azzurre.

Thierry Culliford, figlio del fumettista, ha disegnato i Puffi dopo la morte del padre avvenuta nel 1992 e nel 2011 ha dichiarato in un’intervista al settimanale francese di attualità e politica L’Express che suo padre non si occupava di politica, tanto che, secondo Culliford, «quando c’erano le elezioni chiedeva a mia madre: “Per chi devo votare?”». L’erede del papà dei Puffi aveva anche criticato il libro di Antoine Buéno, definendo la sua interpretazione «a metà tra il grottesco e il poco serio». 

Buéno aveva allora chiarito la sua posizione, spiegando che «l’analisi è seria ma non si prende sul serio» e che comunque il suo approccio non era privo di autoironia, negando le accuse di diffamazione nei confronti di Peyo. Infine aveva chiarito che a suo modo di vedere il lavoro del fumettista trasmetteva «un certo numero di stereotipi attribuiti a una certa società e a un certo periodo» concludendo che l’analisi dei Puffi «ci dice più sull’ambiente sociopolitico di Peyo che su Peyo stesso». 

Photo credits: Grande Puffo / Original_Barnstar_Hires.png:Original idea by SunirShahOriginal design by SourceOriginal remastering by AntonuGrand Schtroumpf.jpg:User:.Anja.derivative work: НУРшЯGIO (beware of the moose), CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons. 

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