L’11 gennaio 2024 la redazione di Facta ha ricevuto una segnalazione via WhatsApp che chiedeva di verificare un articolo pubblicato il 20 maggio 2018 da Il Mattino dal titolo “Il latte di scarafaggio è più nutriente di quello di mucca e potrebbe un giorno essere la nostra colazione”. Secondo quanto riportato, il «”latte di scarafaggio” sarebbe una delle sostanze più nutrienti e ricche di calorie al mondo» e «i cristalli di questo latte» avrebbero «riserve energetiche nettamente superiori (di tre volte) a quelle del latte di mucca».
Ad averlo scoperto, si legge ancora, sarebbe stato un gruppo di ricercatori di diverse istituzioni, tra cui l’Institute of Stem Cell Biology and Regenerative Medicine, in India. Lo scenario, continua il pezzo, dopo questa scoperta, parrebbe «veramente terrificante: ci si potrebbe immaginare nugoli di blatte da “mungere” in qualche maniera, e poi bicchieri colmi di questo liquido estratto dall’odiato animale». «Ma non andrebbe esattamente così, – continua l’articolo de Il Mattino – perché il latte verrebbe in realtà prodotto in laboratorio: l’idea sarebbe quella di isolare il gene della proteina, e riprodurla in vasche microbiologiche». Il pezzo si conclude, affermando, che la cosa ha qualcosa di «decisamente poco allettante, ma magari un giorno davvero a colazione si berrà un bel bicchiere di latte di scarafaggio». Lo stesso contenuto circola anche su Facebook e TikTok.
Si tratta di una notizia a cui manca il corretto contesto e che viene presentata in maniera fuorviante.
La ricerca citata nell’articolo oggetto di analisi è stata pubblicata nel 2016 sulla rivista scientifica Journal of the International Union of Crystallography (Iucrj) ed è stata condotta da un team di scienziati di diverse università e centri di ricerca, tra cui l’Institute of Stem Cell Biology and Regenerative Medicine. I ricercatori hanno scoperto che il “latte” di una precisa specie di scarafaggio, il Diploptera punctata o Pacific beetle, vanta molti benefici nutrizionali. In nessuna parte dello studio viene però specificato che si tratti di una sostanza destinata a un consumo umano.
Diploptera punctata è una delle poche specie di scarafaggi a essere vivipara, dal momento che partorisce i propri piccoli e li nutre con un particolare liquido. Nel 1974 la biologa Barbara Stay, dell’Università dell’Iowa, negli Stati Uniti, aveva scoperto che questo liquido, chiamato comunemente “latte di scarafaggio”, è una sostanza a struttura cristallina e ricca di proteine e carboidrati. Con il termine “latte” si intende solitamente un prodotto di secrezione delle ghiandole mammarie delle femmine dei mammiferi destinato ad alimentare i neonati (ad esempio latte materno, o latte vaccino), anche se per analogia questo nome viene comunemente usato anche per riferirsi al lattice di alcune piante (es. latte dei fichi) e a diverse emulsioni che hanno aspetto lattiginoso.
Grazie allo studio del 2016, a cui Stay ha partecipato, è emerso che «un singolo cristallo» di proteine del “latte di scarafaggio” «contiene più di tre volte l’energia di una massa equivalente di latte». Il “latte di scarafaggio” dunque, si legge nello studio, è tre volte tanto più energetico rispetto al latte prodotto da molte specie di mammiferi.
Attualmente questa sostanza simile al latte però può essere ricavata solo in laboratorio, e il processo richiede molto lavoro e tempo. Per estrarre questa sostanza da un paio di scarafaggi ci si impiega circa mezza giornata, e l’animale deve essere ucciso, come spiegato a Inverse da Leonard Chavas, uno degli scienziati che ha preso parte alla ricerca. Inoltre, secondo le stime di Chavas, bisognerebbe uccidere mille scarafaggi per produrre 100 grammi di latte. A questo proposito è importante sottolineare che attualmente non ci sono prove che sia effettivamente sicuro per il consumo umano, come spiegato a NPR da un altro scienziato che ha preso parte alla ricerca, Subramanian Ramaswamy.
Questo genere di notizie si inserisce all’interno di un filone disinformativo e di polemiche politiche riguardo il cosiddetto novel food, ovvero alimenti ottenuti da nuove tecnologie alimentari o che non sono tipicamente utilizzati all’interno dell’Unione europea, come gli insetti.