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<i></i> No, non è stato introdotto «l’obbligo di timbratura per tutti i parlamentari»

No, non è stato introdotto «l’obbligo di timbratura per tutti i parlamentari»

20 agosto 2020
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Giovedì 19 agosto 2020 la redazione di Facta ha ricevuto una segnalazione su Facebook che chiedeva di verificare le informazioni contenute in un post pubblicato il 18 agosto sul social network. Secondo il post oggetto della nostra verifica, il Movimento 5 Stelle avrebbe introdotto «l’obbligo di timbratura per tutti i parlamentari», così da non retribuire chi non parteciperà ai lavori dell’organo legislativo.

«Finalmente un governo con le palle» ha commentato chi ha pubblicato su Facebook il contenuto che è stato segnalato a Facta, «Poveri Salvini e Meloni, non percepiranno un Euro. Fannulloni patentati».

Si tratta di una notizia falsa. Procediamo con ordine.

La presunta norma sull’obbligo di timbratura non compare all’interno del calendario dei lavori di Senato e Camera, anche perché le due assemblee sono chiuse per ferie rispettivamente da venerdì 7 e sabato 8 agosto. L’adozione della misura non viene trattata da nessuna testata giornalistica e il Movimento 5 Stelle – che, stando al post oggetto di verifica sarebbe l’autore del provvedimento – non ha rilasciato dichiarazioni o comunicati stampa in merito alla vicenda, né sul sito ufficiale né sui canali social, e la proposta dell’obbligo di timbratura non compare in nessun post pubblicato su Il Blog delle Stelle.

Il sistema attuale di conteggio delle presenze si basa sul numero di votazioni elettroniche effettuate, particolare che rende possibile tracciare dall’esterno solo i lavori che si tengono nelle aule di Camera e Senato (e non i lavori preparatori delle commissioni, dove avviene buona parte del lavoro di un parlamentare, ma che non sono sottoposti alla votazione elettronica).

Per risultare presente, un parlamentare dovrà partecipare ad almeno il 30 per cento delle votazioni calendarizzate per quella data (vale sia per la Camera che per il Senato). In caso contrario, i regolamenti  prevedono un sistema di sanzioni basato sulla decurtazione della diaria (il rimborso spese per il soggiorno a Roma di ogni singolo parlamentare, che ammonta – qui per la Camera e qui per il Senato – a circa 3.500 euro al mese) nella misura di 206 euro per ogni singola assenza. Sanzioni fino a 500 euro mensili sono previste anche in caso di assenza «dalle sedute delle Giunte, delle Commissioni permanenti e speciali, del Comitato per la legislazione, delle Commissioni bicamerali e d’inchiesta, nonché delle delegazioni parlamentari presso le Assemblee internazionali».

Esistono poi alcuni casi in cui le assenze sono “giustificate”. Il primo è quello relativo al congedo (qui il regolamento per la Camera, qui per il Senato), previsto per venire incontro ai parlamentari che non possono partecipare alle sedute dell’assemblea, ad esempio per motivi di salute o familiari.

Nel secondo caso si parla, invece, delle cosiddette missioni istituzionali, una voce che serve a comprendere tutti quei casi in cui il parlamentare non può essere presente ai lavori a causa di un incarico ottenuto dal Parlamento stesso. Come chiarisce OpenPolis, che da più di dieci anni cura il progetto OpenParlamento, le camere non precisano «l’attività esatta che giustifica l’assenza né la durata» delle missioni, particolare che rende poco trasparente il processo, generando numerose polemiche.

Quanto alle assenze di Giorgia Meloni e Matteo Salvini, secondo i dati raccolti da OpenParlamento la leader di Fratelli d’Italia è la settima deputata più assente nell’attuale legislatura, con il 66 per cento di assenze complessive e il 33 per cento di presenze. Matteo Salvini registra invece il 2,29 per cento di assenze e l’11 per cento di presenze. Riguardo al senatore della Lega, precisiamo che nella maggior parte dei casi (ovvero nell’86 per cento delle sedute) Salvini è stato considerato «in missione» (Pagella Politica si era più volte in passato occupata delle assenze e delle presenze in Parlamento di Matteo Salvini).

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