L’invenzione del “maschicidio” - Facta
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L’invenzione del “maschicidio”

di Simone Fontana e Anna Toniolo

Nella notte tra il 17 e il 18 settembre 2023 Justine Jotham, docente di comunicazione all’università di Dunkerque in Francia, scrittrice di libri per l’infanzia e consigliera comunale, è fuggita con la figlia dalla casa dove abitava con il marito Patrice Charlemagne, denunciando alle forze dell’ordine di essere stata vittima di una rapina insieme a tutta la sua famiglia. Al loro arrivo presso l’abitazione di Jotham gli agenti hanno trovato il corpo senza vita di Patrice Charlemagne, colpito da decine di coltellate. Dopo l’interrogatorio la donna ha confessato di aver ucciso il marito.   

Un caso di omicidio avvenuto in Francia che ha, però, rianimato un tema tutto italiano che da anni continua ad abitare sia i social network che le pagine dei media, quello del “maschicidio”. Oltre alla costernazione per l’efferato atto, è tornata in vita una narrazione che rivendica il diritto di utilizzare questo termine, in contrapposizione con l’utilizzo della parola “femminicidio”, per parlare delle morti di uomini avvenute per mano di donne violente. 

In Italia, questa narrazione, infatti, non è una novità. Nel mese di giugno 2023 l’omicidio di Fausto Baldoni, sessantenne marchigiano ucciso dalla compagna, aveva riacceso il dibattito soprattutto su X, dove diversi utenti sostenevano che si fosse trattato, appunto, di un “maschicidio”. Ma non solo, questo tipo di retorica viene spesso utilizzata per descrivere atti violenti avvenuti nei confronti degli uomini.         

L’espressione è stata usata da alcuni utenti dei social network addirittura per definire la tragica morte di un trentacinquenne bergamasco, avvenuta alla fine di settembre, caduto dal tetto su cui stava lavorando, a causa di un malore. 

Ma il termine “maschicidio” è stato negli anni ripreso anche da diverse testate nazionali e locali che hanno cercato di evidenziare il fatto che non esisterebbe solamente una violenza di genere nei confronti delle donne da parte degli uomini, ma che anche il fenomeno contrario sarebbe sistemico.

Quindi è davvero possibile parlare di “maschicidio”? Si tratta di una circostanza esistente e dilagante diventata un’emergenza al giorno d’oggi? La risposta è no. Infatti, questo concetto fa parte di una narrazione falsa che contribuisce alla violenza nei confronti delle donne, sminuendo le dinamiche della violenza di genere. 

Una definizione che non regge
Prima di tutto è importante precisare che la parola “femminicidio” ha una definizione complessa, che non ha equivalenti nel caso di donne che uccidono uomini. 

Il primo uso documentato del termine è stato ritrovato in un libro del 1802 scritto da John Corry e intitolato “A Satirical View of London at the Commencement of the Nineteenth Century”, dove la parola inglese “femicide” veniva usata per riferirsi a una precisa fattispecie di crimine, cioè l’uccisione di una donna. Fu solo nella seconda metà del ‘900 che lo stesso termine fu reintrodotto pubblicamente. La criminologa Diana H. Russell, infatti, nel 1976 usò la parola “femminicidio” presso il Tribunale internazionale dei crimini contro le donne per attirare l’attenzione sulla violenza di genere, e nel 1992 il termine comparve nel suo libro intitolato “Femicide: The Politics of woman killing” per indicare le uccisioni delle donne da parte degli uomini per il fatto di essere donne. 

Attraverso l’utilizzo di questa nuova categoria criminologica, Russell ha dato un nome alla causa principale degli omicidi nei confronti delle donne: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna perché donna. Secondo quanto formulato dalla criminologa, infatti, il concetto di femmicidio si estende al di là della definizione giuridica di assassinio e include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine.   

Il termine è poi evoluto e nella sua accezione più moderna indica una forma di estrema brutalità che trova il suo fondamento nella violenza misogina e sessista dell’uomo radicata nelle nostre società. La casistica dei femminicidi è talmente vasta che, negli anni, è stato possibile definire le coordinate di un meccanismo che si ripete in modi sempre simili: donne uccise in quanto tali. L’antropologa messicana Marcela Lagarde ha definito il “femminicidio” come la forma estrema della violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato. 

Nadia Somma, consigliera nazionale di D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, gruppo di organizzazioni italiane che gestiscono centri antiviolenza e case rifugio per donne che hanno subito violenza, ha spiegato a Facta.news che «quando si parla di “maschicidio” si fa un’operazione manipolativa in mala fede, per depotenziare il concetto di “femminicidio” e far intendere alle persone che c’è un’assoluta simmetria nella violenza tra uomini e donne». 

Somma, inoltre, ha aggiunto che non è possibile comparare i due termini poiché quando un uomo viene ucciso si parla di omicidio – e dunque non di “maschicidio” – poiché un uomo «non viene mai ucciso per motivi legati a una disubbidienza, al dominio della madre di famiglia o della moglie» come invece accade nel caso dei “femminicidi” in cui le donne sono soggette al dominio del padre, della famiglia, o del marito. Le uccisioni dei mariti da parte delle mogli sono «quasi sempre legate a motivi di interesse economico», ha sottolineato, in quanto non esiste un dominio dei corpi maschili da parte delle donne. 

Infine, sempre secondo la consigliera nazionale di D.i.Re, «non è possibile parlare di “maschicidio” contrapponendolo al “femminicidio”» perché quest’ultimo concetto è legato a un contesto di asimmetria e disparità millenaria tra uomini e donne, che ha fatto sì che gli uomini avessero dalla loro parte leggi, consuetudini e approvazione sociale quando controllavano i corpi femminili e soprattutto le donne della famiglia, cosa che al contrario non è mai avvenuta. «Noi non veniamo da una cultura dove c’è stato un dominio di donne sui corpi maschili» ha concluso Somma, «dove c’erano leggi che scusavano la violenza delle donne sugli uomini, come è successo invece al contrario». 

I “maschicidi” non esistono
Il termine “femminicidio” connota dunque una violenza che ha radici culturali profonde, che affonda in un contesto di sopraffazione sistematica e largamente accettata. Un corrispettivo maschile di questa parola non può esistere, semplicemente perché non esiste un corrispettivo di questa dinamica a parti invertite. 

Ma per comprendere appieno la falsificazione che si cela dietro l’invenzione del “maschicidio” vale la pena guardare ai dati. Secondo un titolo pubblicato nel 2020 sulla prima pagina del quotidiano Libero, le statistiche farebbero emergere una «sorprendente verità», ovvero che i “maschicidi” sarebbero più dei “femminicidi”. Secondo il quotidiano milanese, infatti, gli ultimi dati al tempo disponibili riferivano di «133 uomini uccisi all’anno» a fronte di 128 donne. «Eppure non si assiste a mobilitazioni in favore del sesso forte che in realtà è debole», concludeva Libero.

La prima pagina di Libero del 29 gennaio 2020

Muoversi tra i dati può rivelarsi un esercizio rischioso e per questo motivo la redazione di Facta.news ha chiesto aiuto a Maria Giuseppina Muratore, responsabile Istat del gruppo di lavoro sulla violenza di genere. Nonostante la legislazione italiana non contempli ancora una chiara definizione di “femminicidio” – e il numero di casi accertati differisca dunque in base al soggetto rilevatore e ai criteri di classificazione seguiti – dal 2019 Istat ha iniziato a usare apertamente questo termine nei suoi rapporti. 

Questo perché in realtà a livello statistico esiste una definizione piuttosto dettagliata di femminicidio, che è quella contenuta nello “Statistical framework for measuring femicide” delle Nazioni Unite. Si tratta di un documento molto importante, che fa seguito a una risoluzione delle Nazioni Unite del 2013 che sottolineava la necessità di stabilire un quadro comune per classificare gli omicidi di donne dovuti al genere, così da accelerare l’eliminazione della violenza contro le donne (uno degli obiettivi dell’Agenda 2030).

Secondo l’ultimo report di Istat, pubblicato a novembre 2o22 ma riferito all’anno 2021, le vittime di omicidio sono state in tutto 303, 184 uomini e 119 donne. Il 7,6 per cento di questi (23) sono dovuti alla criminalità organizzata, mentre il 45,9 per cento delle vittime (139), sono state uccise in una relazione di coppia o in famiglia. In quest’ultimo caso, le vittime sono state 39 uomini e 100 donne.

«Per appurare che si tratti o meno di femminicidio Istat incrocia i dati provenienti dalla relazione vittima-autore che il ministero dell’Interno rende disponibile dal 2002, il movente e il tipo di arma», spiega Muratore a Facta.news, «che sono pochissime informazioni se consideriamo quelle richieste dallo Statistical framework delle Nazioni Unite». Pur con questi pochi dati, rivela Muratore, si può affermare che «annualmente le donne uccise da partner o ex partner sono tra il 55 e il 60 per cento del totale, mentre per gli uomini questo dato è fisso al 3 percento». 

Vale la pena sottolineare che Istat può avere accesso solo al genere della vittima – e non più a quello dell’omicida, per ragioni di privacy – ma Muratore ci spiega che in questo senso può essere utile il numero totale dei condannati per omicidio, che sono uomini per il 93,8 per cento e donne nel restante 6,2 per cento. 

Nel mese di giugno 2023 era poi molto circolato un tweet di Hoara Borselli, collaboratrice di Libero, che aveva definito «in aumento» il numero di «maschicidi». Muratore spiega: «Non parlerei di maschicidio perché comunque non è un termine assolutamente esistente in definizione. Il 90 per cento degli omicidi di donne è un femminicidio, mentre possiamo dire che non esistono casi di uomini uccisi da ex partner. Un 3-4 per cento di uomini sono uccisi da partner, ma ancora una volta non sappiamo se questi siano maschi o femmine».

Quanto al presunto aumento nel numero di omicidi di uomini, Muratore aggiunge che «anche gli uomini vengono uccisi dai parenti. Può trattarsi dello zio, del cugino, del figlio, del padre, questa è una problematica reale. Ma il numero di uomini uccisi dai parenti è solo apparentemente in aumento». Secondo Muratore, infatti, ad aumentare non è il numero assoluto degli uomini uccisi tra le mura domestiche, ma la sua percentuale. E ciò è dovuto essenzialmente a una sorta di illusione statistica, dal momento che gli ultimi 30 anni hanno visto un calo drastico degli omicidi di mafia, storicamente una delle principali cause di morte violenta tra gli uomini.

Per contestualizzare, ha aggiunto Muratore, nei primi anni Novanta a morire per omicidio erano 4,4 uomini e 0,8 donne ogni centomila. Oggi quel dato è calato per entrambi i generi, ma in modo diverso: a morire per omicidio sono oggi 0,6 uomini e 0,4 donne ogni centomila. «Prima le vittime erano il 10 per cento donne e 90 per cento uomini, adesso le vittime sono donne per il 35 per cento» conclude la ricercatrice, «se vi sembra che apparentemente il numero di omicidi di uomini uccisi da parenti sia in aumento è perché a cambiare è stato il denominatore».

In conclusione
Possiamo quindi affermare che parlare di “maschicidio” è fuorviante e soprattutto manipolatorio, in quanto si tratta di un termine che ha come obiettivo quello di sminuire la violenza nei confronti delle donne, introducendo un falso bilanciamento tra fenomeni non confrontabili. 

Da un lato non esiste alcun concetto simile al “femminicidio”, dal momento che gli uomini nella maggior parte dei casi non vengono uccisi in quanto uomini, o come conseguenza di una disparità tra uomini e donne, come invece succede a parti invertite. Nella classifica del Global Gender Gap Index del 2023, cioè un indice che mostra l’ampiezza e la portata del divario di genere in tutto il mondo, l’Italia si trova al 79° posto su un totale di 146 Paesi, dato che dimostra che nel nostro Paese la disparità tra i generi è ancora molto elevata.   

Nemmeno i dati giocano a favore della narrazione che sostiene l’esistenza e addirittura l’aumento dei “maschicidi”: infatti attraverso un’analisi dei dati a disposizione dell’Istat, Maria Giuseppina Muratore ha chiarito a Facta.news che è possibile affermare che le donne sono uccise molto più degli uomini in contesti familiari, soprattutto da partner ed ex partner e che il 90 per cento degli omicidi di donne è un femminicidio, mentre non esiste una tendenza di questo tipo per gli uomini. 

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Comments (7)

  • Federico

    Io trovo che la questione sia affrontata in maniera ideologica, anche da voi. La realtà è che esistono dei modelli di rapporti fra i generi che sono profondamente integrati nella nostra cultura, che variano continuamente ed hanno diversi effetti sulla vita quotidiana. Gli omicidi in famiglia sono uno di questi e sono soprattutto a carico di donne. Il movimento femminista ne ha fatto una bandiera, mentre il fatto (per esempio) che i morti sul lavoro sono soprattutto uomini non è stato sfruttato da alcun movimento maschilista. La percentuale uomini/donne nei due casi è praticamente identica ma rovesciata. Le differenze importanti nei due casi sono: il primo è un atto più o meno volontario (in alcuni casi cosciente in altri frutto di incapacità di gestire le emozioni), il secondo fa il decuplo di vittime ma non è volontario, la prevalenza di vittime maschili è semplicemente dettata dalle circostanze culturali.
    Non voglio dilungarmi oltre ma vorrei puntualizzare che la quasi totalità degli omicidi di donne non sono violenza sulle donne in quanto tali. In genere quella violenza è diretta ad un obiettivo specifico sebbene spesso per motivi poco comprensibili a chi ha una mentalità moderna.
    Per uscire da questa situazione secondo me è sbagliato affrontare i rapporti fra generi sostenendo i diritti degli uni e reclamando i doveri degli altri, così come è sbagliato: limitarsi ad uno specifico campo invece che abbracciare la totalità del rapporto, non verificare le fonti, citare in maniera scorretta e tendenziosa (statistical framework for measuring the gender related killing of women and girls (also referred as femicide) -avete falsato il titolo del documento per non parlare del contenuto)…
    Vabbè, si potrebbe andare avanti per ore. Vi auguro oggettività razionalità obiettività, la pace e la concordia non si conquistano senza sforzi. Buon lavoro

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  • Mauro

    Ho smesso di leggere quanto avete utilizzato in termini società misogena e maschilista.
    Se si considera che nel mondo la nostra società è quella che, per fortuna, ha raggiunto la parità dei sessi e la presa di coscienza da parte della società civile del rispetto del sesso “debole”.
    Nel resto del mondo la situazione è veramente grave in tal senso .
    Quindi No , avete fatto un articolo molto dettagliato ma sporco dall’esigenza d’imporre il maschi come il problema della società moderna . Idiozie .
    Pazzi , violenti e non rispettosi della vita altrui ci saranno, ahimè, sempre perché siamo imperfetti per definizione .

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  • Botrero

    fino a che la violenza non sarà condannata a 360° ricadremo negli stereotipi.
    Fino a che si cadrà nell’errore de “gli uomini” e non “quegli uomini” si sbaglierà strada e si finirà con il ritenere ogni uomo un potenziale assassino. Si avranno meno diritti essendo considerati solo Carnefici e mai Vittime e questo peggiorerà la situazione.

    Bisogna che le istituzioni diano strumenti per denunciare, allarmare. Quindi dovrebbe subito essere intrapreso un percorso con i servizi sociali, psicologi ecc per controllare e monitorare la situazione.

    Basta con questa storia che gli uomini sono dei mostri !!!

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  • massimiliano

    I commenti all’articolo sembrano fatti da persone ( guarda caso maschi) che vogliono mantenere lo stato delle cose , di superiorità sociale e culturale . evidentemente a stare da quella parte fa comodo. Ma non è e non deve essere così. “Quegli uomini” uccidono perché vogliono possedere quelle donne, perché hanno paura che quelle donne possano arrivare sullo stesso gradino sociale e culturale degli uomini. Temono che il loro marcio termine di paragone si innalzi al loro livello facendoli sembrare piccoli come realmente sono. Purtroppo piccoli appaiono anche tutti “quegli altri uomini” a cui da fastidio sentir parlare dell’ennesimo femminicidio, sfoderando commenti tipo: ” è sempre stato così .Solo che ora c’è più informazione” oppure ” I TG dicono sempre le stesse cose . Ora va di moda parlare di violenza sulle donne “.
    Finiamola! Vergogniamoci per quello che non siamo e per quello che non facciamo. Le donne vogliamo vederle accanto a noi, non sotto di noi. Questo sì che sarebbe conveniente.

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  • S

    Sono stato vittima per 17 anni di comportamenti controllanti e violenti da parte di mia moglie.
    Ho stupidamente subito in silenzio, senza mai alzare la voce, né tantomeno un solo dito.
    Mi sono anche ritrovato un coltello alla gola.
    Fino quando non sono fuggito di casa e ottenuto il divorzio.
    Questo articolo e quanto riportato è superficiale, si chiudono entrambi gli occhi per non vedere e la mente per non ragionare.
    Il problema della violenza c’è, esiste, ambo i sessi.
    Non parlo del numero di morti in assoluto, in quanto comprendo che sia forse più difficile che una donna riesca ad uccidere un uomo, e quindi normale che statisticamente il numero sia più basso. Il fatto è che bisogna affrontare più che altro la violenza nelle coppie, a partire dalle codipendenze psicologiche che si creano. Manca consapevolezza, mancano strutture in grado di gestire e supportare le persone, manca un’educazione alla base.
    Quindi, se vogliamo parlare di terminologia, il termine maschicidio esiste tanto quanto il termine femminicidio.
    Sarebbe meglio non esistesse nessuno dei due, ovviamente.

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  • Brid

    In poche parole, non sapete leggere né interpretare le statistiche. Ho perso del tempo.

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    • Facta

      Buongiorno Brid, che cosa ritiene ci sia di sbagliato in quello che abbiamo scritto?

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