Come la disinformazione sta inquinando il dibattito su Palestina e Israele
di Anna Toniolo
La mattina del 7 ottobre 2023 il gruppo palestinese Hamas ha lanciato un attacco dalla striscia di Gaza, cogliendo di sorpresa Israele durante la festività ebraica di Simchat Torah (in ebraico “Gioia della Torah”). Mentre molti ebrei di Israele si recavano alla sinagoga in occasione della festività religiosa, migliaia di razzi venivano lanciati da Gaza verso il centro e il sud di Israele e alcuni membri del braccio armato di Hamas, le Brigate al-Qassam, hanno preso d’assalto il valico di Erez, il principale passaggio di frontiera che divide con il filo spinato la Striscia di Gaza e Israele. Gli attacchi di Hamas secondo quanto riportato dalle autorità israeliane hanno causato, al momento in cui scriviamo, circa 1200 vittime, migliaia di feriti, e decine di persone prese in ostaggio tra militari e civili.
Il gruppo palestinese islamico Hamas ha giustificato l’operazione con la crescente violenza dei coloni negli ultimi mesi e con la recente violazione della moschea di Al-Aqsa, il terzo luogo sacro più importante per l’Islam, da parte di alcuni coloni israeliani che all’inizio di ottobre avevano fatto irruzione nel complesso di Al-Aqsa.
L’esercito israeliano ha risposto immediatamente con l’operazione aerea “Spade di Ferro” e decine di aerei israeliani hanno sorvolato il cielo di Gaza colpendo, inevitabilmente, anche i civili e causando centinaia di vittime. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha immediatamente dichiarato che quella scatenata da Hamas è una guerra che Israele vincerà, mentre nei giorni successivi all’attacco il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato l’assedio di Gaza affermando: «combattiamo contro degli animali umani e agiamo di conseguenza». Gallant ha inoltre aggiunto di aver ordinato un assedio completo alla Striscia di Gaza, dove non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante.
Il bilancio delle vittime palestinesi ammonta, ad oggi, circa 900 persone decedute e più di 4mila ferite e martedì 10 ottobre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha chiesto la creazione di un corridoio umanitario per entrare e uscire dalla Striscia di Gaza e per garantire l’ingresso di aiuti medici urgenti, mentre Israele continua a bombardare il territorio. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk ha dichiarato che l’assedio totale di Gaza è «proibito dal diritto internazionale umanitario».
Hamas ha chiesto il sostegno da parte dei palestinesi in Israele e residenti in Cisgiordania, dove quest’anno si è registrato un drammatico aumento delle violenze perpetrate dai coloni israeliani estremisti contro i civili palestinesi, fatto che ha aumentato il livello di tensione tra la popolazione palestinese e Israele.
La violenza non è, però, arrivata all’improvviso, ma si inserisce in un contesto storico tumultuoso, caratterizzato da una violenza che da decenni prosegue senza soluzione di continuità.
Capire il contesto è importante
Per capire l’origine della violenza tra Israele e Palestina è necessario andare indietro nel tempo e ripercorrere – purtroppo brevemente, in questo contesto – la storia che ha portato alla violenza di questi giorni.
Come ha spiegato l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), per andare alla radice bisogna tornare alla fine del XIX secolo quando il giornalista austriaco Theodor Herzl elaborò l’ideologia del sionismo, un movimento politico che rivendicava il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico e che scelse la Palestina come territorio designato per il popolo ebraico. Con la cosiddetta “dichiarazione di Balfour” del 1917, il governo inglese sostenne la necessità di costituire in Palestina un focolare nazionale per il popolo ebraico e per questo negli anni successivi molti ebrei iniziarono a stabilirsi in questa zona.
Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, nel 1947, l’Assemblea generale dell’ONU approvò la risoluzione numero 181 che prevedeva la spartizione della Palestina in due Stati, uno ebraico e uno arabo e che affidava Gerusalemme a una giurisdizione internazionale. Questa decisione non fu accolta positivamente da parte della popolazione araba e le relazioni tra ebrei e arabi degenerarono, sfociando in una serie di conflitti.
Il 15 maggio 1948, a seguito della dichiarazione d’indipendenza di Israele, gli eserciti di Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq decisero di attaccare, dando il via al primo dei conflitti arabo-israeliani che, negli anni, hanno sempre più allargato i confini dei territori controllati da Israele e costretto migliaia di palestinesi a lasciare le proprie case e i propri territori.
Anche la nascita di Hamas si inserisce in questo contesto di violenza e occupazioni territoriali. Si tratta di un movimento nazionalista islamico palestinese che ha come obiettivo quello della creazione di uno stato islamico indipendente palestinese. Fu fondato nel 1987, quando si oppose all’approccio laico del movimento dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e respinse i tentativi di cedere qualsiasi parte della Palestina. Dal 2007 governa la Striscia di Gaza ed è considerata un’organizzazione terroristica da alcuni Paesi come gli Stati Uniti e l’Unione Europea.
Ma di cosa parliamo quando parliamo della Striscia di Gaza? Si tratta di una regione costiera di 360 chilometri quadrati abitata da più di due milioni di persone, dato che la rende uno dei territori più densamente popolati al mondo. Dal 1967 fino al 2005, anche questa zona è stata occupata militarmente da Israele, ma nel 2007, due anni dopo il ritiro israeliano, Hamas ha preso il controllo della Striscia e da allora Israele continua a operare un blocco che dura tutt’ora attraverso una chiusura quasi totale dei valichi di frontiera e degli accessi via mare e aerei. Human Rights Watch (HRW), organizzazione non governativa internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, ha paragonato le condizioni a Gaza a «una prigione a cielo aperto», riferendosi alla restrizione di movimento e alle condizioni di deprivazione che Israele impone ai palestinesi.
Un altro punto importante da sottolineare nella storia delle relazioni tra Israele e Palestina è la questione degli insediamenti illegali dei coloni israeliani nei territori palestinesi. Si tratta di insediamenti da parte di Israele nei territori palestinesi occupati nel corso della guerra dei sei giorni del 1967, che comprendono Gerusalemme Est. L’ONU ha condannato gli insediamenti nei territori palestinesi occupati in molteplici risoluzioni e votazioni, dichiarandoli illegali secondo il diritto internazionale, ma Israele non ha ad oggi sgomberato gli insediamenti al centro della controversia.
Per capire gli scontri armati degli ultimi giorni, quindi, è necessario avere chiaro il quadro storico e, soprattutto, affidarsi a fonti autorevoli e non cadere nella disinformazione. Come spesso succede in situazioni come questa, infatti, fin da subito si sono diffuse notizie false, imprecise o infondate sul conflitto, che tentavano di manipolare la realtà. Vediamo insieme alcuni dei filoni che sono circolati non solo sui social network, ma anche su diversi media nazionali e internazionali, negli ultimi giorni.
Com’è stato possibile arrivare all’attacco di Hamas?
Una delle prime narrazioni che si sono diffuse sui social network è quella secondo cui Israele in realtà sapeva dell’attacco e avrebbe lasciato Hamas agire indisturbato. Ma non solo, secondo alcune delle deduzioni che circolano sui social, Hamas avrebbe potuto penetrare nel territorio israeliano perché i sistemi di allarme israeliani erano stati colpiti da «un attacco informatico fatto da hacker russi per conto dell’Iran».
Per capire come è stato, realmente, possibile per Hamas arrivare a questo momento è, prima di tutto, importante chiarire in quale contesto si è inserito questo attacco. L’escalation degli ultimi giorni, infatti, è figlia di uno scenario di crescente violenza nei territori occupati della Cisgiordania, ma non solo. L’esercito israeliano, infatti, effettua regolarmente raid nelle città palestinesi e nei campi profughi. I palestinesi nei territori occupati, tra cui la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, sono sottoposti da anni a sorveglianza, controlli e azioni violente e molti attori internazionali, tra cui l’ONG di difesa dei diritti umani Amnesty International e le Nazioni Unite, definiscono queste condizioni un’apartheid.
Inoltre, Israele è lacerato da profonde divisioni politiche interne da quando nel dicembre 2022 si è insediato il governo più a destra della storia del Paese che ha aumentato, tra le altre cose, il numero di insediamenti illegali dei coloni israeliani e alzato il livello di odio nei confronti degli arabi. Infine, un altro elemento importante da includere è l’orizzonte incombente di un accordo di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele, con le due parti che si sono recentemente riavvicinate grazie alla mediazione degli Stati Uniti.
Il leader dell’Iniziativa Nazionale Palestinese Mustafa Barghouti, politico socialdemocratico considerato uomo di mediazione tra Hamas e i rivali di Fatah, ha poi dichiarato che il recente attacco a Israele è una risposta all’occupazione israeliana e che i palestinesi stanno combattendo per la loro libertà.
Per quanto riguarda la pratica dell’attacco, sui social è comparso un video, condiviso anche da alcuni giornalisti internazionali, che mostra come Hamas abbia prima bombardato le torri di osservazione e i sistemi israeliani al confine, lanciando poi centinaia di razzi. Successivamente, il gruppo si è avvicinato al confine recintato e attraverso alcune esplosioni ha creato dei varchi.
«Hamas ha dato a Israele l’impressione che non fosse pronto per la battaglia», ha dichiarato a Reuters una fonte vicina a Hamas, aggiungendo che il movimento «ha utilizzato una tattica di intelligence senza precedenti per fuorviare Israele negli ultimi mesi, dando l’impressione pubblica di non essere disposto a combattere o confrontarsi con Israele mentre si preparava per questa massiccia operazione». Lo stesso Israele ha ammesso di essere stato colto di sorpresa dall’attacco programmato di Hamas e la stampa nazionale israeliana ha addossato le responsabilità dell’impreparazione al primo ministro Benjamin Netanyahu.
Inoltre, sempre a Reuters, una fonte della sicurezza israeliana ha detto che le truppe israeliane non erano al completo nel punto in cui Hamas ha oltrepassato il confine, perché erano state redistribuite in Cisgiordania per gestire la violenza sul territorio occupato.
Raphael Marcus, ricercatore in visita al King’s College, ha spiegato a Wired che «non c’è dubbio che la portata di questo attacco di Hamas indica semplicemente un colossale fallimento dell’intelligence da parte dell’IDF [Forze di difesa israeliane, ndr] e dello Shin Bet, l’agenzia di sicurezza interna». Marcus ha inoltre aggiunto che le sviste cruciali dell’intelligence israeliana potrebbero essere state il risultato di numerosi fallimenti intersecati tra loro. Secondo il ricercatore l’apparato di intelligence potrebbe aver frainteso le intenzioni di Hamas, interpretato male il contesto, ed essere stato distratto dagli sforzi politici di Israele con l’Arabia Saudita o dalla gestione delle tensioni interne alla classe politica israeliana.
Anche se i dettagli su come è avvenuto esattamente l’attacco stanno ancora emergendo, nessuna fonte ufficiale parla di un attacco hacker russo coordinato dall’Iran e il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei ha negato il coinvolgimento iraniano nell’attacco di Hamas a Israele e non esistono al momento informazioni in grado di smentire tale affermazione,
Il ruolo di Elon Musk e X nella diffusione della disinformazione
In queste situazioni la tentazione è quella di condividere informazioni e dati senza tregua, senza però controllare se la fonte è affidabile o meno. Il proprietario di X Elon Musk l’8 ottobre, il giorno successivo all’attacco di Hamas a Israele, ha condiviso un tweet (che ora risulta cancellato, ma il suo screenshot è disponibile qui) in cui indicava due profili che dal suo punto di vista erano «ottimi» per «seguire la guerra in tempo reale».
L’imprenditore aveva indicato @WarMonitors e @sentdefender, due profili che erano stati più volte al centro dell’attenzione per condividere notizie false. Come segnalato da The Washington Post, per esempio, nel maggio 2023 entrambi questi account avevano diffuso la notizia di un’esplosione avvenuta vicino al Pentagono che si era poi rivelata falsa. Inoltre, @WarMonitors aveva pubblicato nel 2022 alcune affermazioni antisemite. Emerson T. Brooking, ricercatore presso l’Atlantic Council’s digital forensic research lab, ha affermato che l’account @sentdefender pubblicava regolarmente «cose sbagliate e non verificabili».
Ma Elon Musk e il suo social network X in questi giorni sono stati protagonisti di altri fatti legati alla diffusione di contenuti di disinformazione sulle violenze in corso.
Le Community Notes, cioè una sorta di fact-checking dal basso che si regge sulla collaborazione degli utenti iscritti alla piattaforma e che consente ad alcuni di questi di aggiungere un contesto ai tweet che considerano fuorvianti, sono uno strumento che fatica a tenere il passo con il flusso di contenuti relativi alla violenza tra Israele e Hamas e non contribuisce a frenare contenuti falsi e fuori contesto. Un membro approvato di Community Notes ha concesso ai colleghi di NBC News l’accesso all’interfaccia della funzione, il che ha mostrato che molti post falsi con centinaia di migliaia di visualizzazioni non avevano note, mentre altre note su post che hanno accumulato decine di migliaia di visualizzazioni sono rimaste non approvate per ore o addirittura giorni, permettendo a contenuti falsi di diffondersi senza alcun controllo.
Ma non è finita qui. Alcuni ricercatori hanno scoperto una rete di 67 account che su X hanno diffuso disinformazione coordinata sulla violenza tra Israele e Hamas. Gli account – molti dei quali in precedenza si concentravano su argomenti come il basket professionistico o la vita in Giappone – hanno improvvisamente iniziato a pubblicare contenuti simili tra loro durante il fine settimana, quando si è diffusa la notizia degli attacchi. Non è ancora chiaro se questi account siano stati creati con il preciso scopo di pubblicare disinformazione o se siano stati hackerati o venduti. Oltre a contenuti generalmente provocatori sul conflitto, la maggior parte dei 67 account ha pubblicato in particolare due video fuorvianti che mostrano funzionari governativi russi che parlano in russo. In entrambi questi filmati sono stati inseriti sottotitoli in inglese imprecisi per indicare, in maniera del tutto fuorviante, che i funzionari avrebbero affermato di voler intensificare il conflitto militare in Israele. In realtà di tratta di video registrati in altri momenti e che riguardano tutt’altra situazione.
È importante ricordare che X è stato inondato da post diventati virali che riportavano false informazioni sulla situazione. Sotto la guida di Elon Musk, che ha acquistato l’azienda lo scorso anno, la definizione di utente “verificato” è cambiata da persona o organizzazione affermata a qualcuno che paga un abbonamento, diminuendo l’affidabilità della spunta blu, e lo stesso Musk ha anche ripetutamente apportato tagli al personale, inclusa un’unità di quattro persone a Dublino il mese scorso. Come abbiamo spiegato in un recente approfondimento, sotto la gestione di Elon Musk la piattaforma un tempo conosciuta come Twitter è diventato un vero e proprio paradiso per estremisti di destra e diffusori di disinformazione.
Informarsi da fonti verificate e attendibili è sempre molto importante, ma in situazioni come queste diventa cruciale, per evitare di alimentare polarizzazioni e discorsi d’odio che si ripercuotono poi sulla vita delle persone.
Video, immagini e contenuti falsi e fuori contesto
Non solo Musk e non solo X. Come spesso accade in situazioni di crisi e violenza, sui social network hanno iniziato fin da subito a diffondersi video, immagini, o altri contenuti che pretendono di mostrare quanto sta accadendo sul territorio, ma che in realtà sono totalmente fuori contesto e mostrano in realtà altre situazioni o addirittura altri luoghi del mondo.
Un filone della della disinformazione si è concentrato sulla diffusione di filmati che mostrerebbero dei rapimenti avvenuti per mano di Hamas. Per esempio uno di questi filmati mostra due uomini in manette scortati da persone vestite con uniformi militari e con in testa dei passamontagna e un commento in cui un utente afferma che si tratterebbe di «diversi generali e colonnelli israeliani» catturati da Hamas. In realtà, come avevamo già spiegato su Facta.news, il video – pubblicato il 5 ottobre 2023 su YouTube da Azertac, l’agenzia stampa statale dell’Azerbaigian – mostra l’arresto verificatosi il 3 ottobre degli ex presidenti della Repubblica del Nagorno-Karabakh, Bako Sahakyan e Arkady Ghukasyan, accusati dal Servizio di sicurezza del Paese di organizzare attività di gruppi militari illegali.
Un’altra clip, diffusa tra gli altri anche da Lucio Malan su X, presidente del gruppo Fratelli d’Italia al Senato, mostrerebbe «bambini israeliani rapiti tenuti in gabbie per animali» da Hamas. Anche in questo caso il video è fuori contesto. Come hanno riportato i colleghi di Libération, nonostante sia difficile dire da dove provengano le immagini, è possibile affermare che il filmato era già in circolazione su TikTok il 4 ottobre e pertanto è antecedente all’attacco di Hamas.
Un altra narrazione ha, invece, utilizzato una foto per diffondere disinformazione riguardante un presunto documento firmato dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden che garantirebbe aiuti militari a Israele per un valore di 8 miliardi di dollari. Proprio questo contenuto sembra essere stato protagonista della disinformazione senza freni diffusa su X. In realtà non esiste alcun riscontro di un simile documento sul sito della Casa Bianca o nel registro federale dei documenti del governo degli Stati Uniti d’America. Si tratta, invece, di una foto modificata di un documento in cui originariamente si legge che in base al Foreign Assistance Act del 1961, la legge statunitense che disciplina la politica degli aiuti esteri, gli USA forniranno aiuti militari all’Ucraina per un valore di 400 milioni di dollari.
Per quanto riguarda gli aiuti statunitensi a Israele, l’8 ottobre 2023 la Casa Bianca ha comunicato che il presidente Biden ha informato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di aver predisposto l’arrivo di ulteriore assistenza militare a Israele. Nel comunicato in questione non vengono però fornite cifre sull’ammontare di questo pacchetto di aiuti. Secondo un rapporto ufficiale del Servizio di Ricerca del Congresso, aggiornato a marzo 2023, il Congresso degli Stati Uniti per il 2023 ha stanziato 3,8 miliardi di dollari in finanziamenti militari per Israele.
Questi sono solo alcuni esempi delle notizie false e decontestualizzate che si stanno diffondendo online, come spesso accade quando accadono avvenimenti che sconvolgono l’opinione pubblica. È importante evidenziare che molta della disinformazione continua a diffondersi su X, data la mancanza di efficaci misure di mitigazione e la visibilità offerta dalla piattaforma agli utenti che hanno acquistato la spunta blu. Il rischio, però, è che oltre a interferire con le narrazioni reali di attualità, i contenuti di disinformazione siano in grado di inquinare e polarizzare la discussione e generare discorsi d’odio che prendono di mira i civili e le persone innocenti.
Vittorio
ottimo approfondimento
avrei gradito anche qualche info sui finanziamenti umanitari e non all’autorità palestinese etc