Le foto generate con l’IA per fingere che Trump ami la comunità nera - Facta
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Le foto generate con l’IA per fingere che Trump ami la comunità nera

Di Leonardo Bianchi

Mancano ancora diversi mesi alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, ma sta già emergendo un nuovo filone disinformativo: quello legato all’intelligenza artificiale generativa

Negli ultimi tempi si sono verificati alcuni casi di disinformazione realizzati attraverso questo strumento e uno di questi ha riguardato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Il 21 gennaio del 2024 migliaia di elettori democratici dello Stato del New Hampshire hanno ricevuto una chiamata automatizzata, in cui la voce del presidente li invitava a non votare alle primarie del Partito Democratico (in seguito vinte da Biden).

«È importante che conserviate il vostro voto per le elezioni di novembre», esortava la voce. «Il voto di questo martedì [il 23 gennaio] non fa altro che favorire i Repubblicani nel loro tentativo di eleggere nuovamente Donald Trump: il vostro voto farà la differenza a novembre, non questo martedì». In realtà, la partecipazione alle primarie non inficia in alcun modo la possibilità di votare alle presidenziali, trattandosi di due voti separati.

Per rendere più credibile il tutto la chiamata proveniva da un numero di cellulare che figurava essere quello di Kathy Sullivan, ex presidente del partito in New Hampshire e responsabile di un comitato a sostegno della rielezione di Biden. Tuttavia, come riportato da varie testate e dalle autorità locali, la voce del presidente era un falso generato con l’IA.

La magistratura ha aperto un’inchiesta per accertare possibili violazioni della legge statale sulla «soppressione del voto» (voter suppression), un’espressione che indica un insieme di pratiche che ostacolano – o impediscono – il diritto di voto su base etnica e politica.

L’indagine ha scoperto che le chiamate sono state effettuate da due aziende di telecomunicazione in Texas. Ad affidare loro il compito è stato Steve Kramer, un consulente politico che ha lavorato per un candidato rivale di Biden, il democratico Dean Phillips. Lo stesso Kramer ha confermato di essere dietro l’operazione, mentre Phillips ha scritto su X di essere «disgustato» dal comportamento del consulente.

Le false foto di Donald Trump con dei «sostenitori» neri
Un altro caso ha invece riguardato lo sfidante di Biden, l’ex presidente Donald Trump. Un’inchiesta della BBC ha rivelato l’esistenza di decine di foto generate con l’IA che mostrano il candidato repubblicano circondato da persone nere.

Secondo la ricostruzione fatta dalla giornalista della BBC Marianna Spring – esperta in disinformazione e teorie del complotto – i falsi non sono stati prodotti dalla campagna dell’ex presidente ma da alcuni sostenitori, che li hanno poi diffusi sui social network. Uno di questi è Mark Kaye, conduttore del podcast The Mark Kaye Show e titolare di una pagina Facebook seguita da più di un milione di persone. L’uomo ha diffuso un’immagine di Trump sorridente, circondato da un gruppo di donne e uomini neri. Interpellato da Spring, Kaye ha detto di «non essere un fotogiornalista» ma «uno che racconta delle storie», per poi aggiungere: «se qualcuno cambia idea su chi votare in base a una foto che vedono su Facebook, il problema è di quella persona, non del post in sé».

Altre foto ritraggono Trump con il pugno chiuso in mezzo a una strada, attorniato da quelli che sembrano manifestanti neri; la didascalia recita: «nessuno più di Trump si è prodigato per la comunità nera ». In un’altra lo si vede seduto nella veranda di fronte un’abitazione, insieme a un gruppo di giovani neri. Quest’ultima immagine è stata pubblicata da un account satirico, ma è circolata quando altri utenti su X l’hanno ripubblicata aggiungendoci un dettaglio inventato di sana pianta: ossia che il candidato repubblicano sarebbe sceso dall’auto e si sarebbe fermato apposta per scattare una foto con i suoi sostenitori neri.

Tutte queste immagini puntano a dare l’impressione che Trump sia una figura politica molto apprezzata all’interno della comunità afroamericana, e che dunque goda di un elevato consenso elettorale presso quella porzione di elettorato.

Secondo alcuni sondaggi, il consenso di Trump tra gli afroamericani si aggira tra il 12 e il 17 percento –  in linea con gli altri candidati repubblicani. Joe Biden è intorno al 63 per cento, in netto calo rispetto all’87 per cento del 2020.

Cliff Albright, cofondatore dell’associazione Black Votes Matter (in italiano “I voti dei neri contano”), ha detto alla BBC che i bersagli di questi falsi sono soprattutto i giovani maschi neri. In generale, ha poi precisato, queste immagini si inseriscono in una più ampia strategia propagandistica per ingraziarsi l’elettorato afroamericano.

Non a caso, negli ultimi comizi Trump si è rivolto con sempre maggior frequenza all’elettorato nero. Lo scorso 24 febbraio ha detto che gli afroamericani sono “attratti” dai suoi 91 capi d’accusa in quattro procedimenti penali diversi e dalla foto segnaletica scattata nell’agosto del 2023 in Georgia, dov’è incriminato per aver interferito nelle elezioni presidenziali del 2020.

L’evoluzione della disinformazione elettorale
Le immagini false dei sostenitori trumpiani servono anche ad altro: a far dimenticare le numerose accuse di razzismo nei confronti di Trump, che riguardano sia la sua carriera imprenditoriale che quella politica.

Nel 1973, ad esempio, il dipartimento della Giustizia aveva fatto causa a Trump e al padre per essersi rifiutati di affittare appartamenti a persone nere. Nel 1989 Trump aveva comprato una pagina pubblicitaria sul New York Times per chiedere la reintroduzione della pena di morte dopo l’arresto di cinque ragazzi neri, ingiustamente accusati dello stupro di una donna a Central Park e scagionati soltanto molti anni dopo. La vicenda è stato uno dei più gravi errori giudiziari nella storia recente degli Stati Uniti ed è recentemente tornata alla ribalta mediatica dopo la miniserie Netflix “When They See Us”

All’inizio degli anni Dieci Trump è stato uno dei principali propagandisti della teoria del complotto razzista sul certificato di nascita di Barack Obama, secondo la quale l’ex presidente democratico non sarebbe nato negli Stati Uniti e dunque non sarebbe stato eleggibile. Da presidente, poi, Trump aveva definito «shithole countries» (espressione traducibile come «Paesi di merda») alcuni Stati africani, e aveva invitato quattro deputate nere e di colore a tornarsene «ai loro Paesi falliti e pieni di criminali» – nonostante le quattro fossero tutte nate negli Stati Uniti.

A ogni modo, le foto false di Trump (e la voce falsa di Biden) segnano un salto evolutivo non indifferente rispetto alle ultime campagne presidenziali. Nel 2016 c’era stato un tentativo di influenzare le elezioni attraverso reti di bot e account fasulli, anche da parte della Russia; in quell’occasione, tra gli obiettivi c’era anche quello di disincentivare il vito della comunità afroamericana. Nel 2020, invece, la disinformazione sulle elezioni proveniva sia dall’alto – ossia da Trump in persona – che dal basso, ossia da movimenti complottisti come quello di QAnon.Ora, per l’appunto, un ruolo cruciale potrebbe rivestirlo l’IA generativa. Come ha rilevato un’analisi del Guardian, virtualmente chiunque può «far dire ai candidati qualcosa che non hanno mai detto, sia per danneggiare la loro reputazione o ingannare gli elettori». E chiunque, grazie a strumenti gratuiti o largamente accessibili, può rendere estremamente poroso il confine tra verità e finzione.  

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