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Perché bisogna avere fiducia nella scienza del clima, nonostante i Trump e i Milei

“Perché fidarsi della scienza?” è una domanda legittima se muove dalla richista di risposte, non dal tentativo di difendere un’agenda ideologica.

31 maggio 2024
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Se l’umanità sa che è in atto un cambiamento climatico causato dalle attività umane è perché la scienza lo ha scoperto. La scienza ha avvertito del pericolo che poteva rappresentare, ormai molti decenni fa. La scienza, che dovrebbe informare le politiche e le scelte dei cittadini in molti settori, è essa stessa parte della società. Non è soltanto un complesso di metodi e nozioni, ma è una comunità, a cui la società guarda quando ha bisogno di risposte.

Dobbiamo poterci fidare della scienza e degli scienziati. Se questa fiducia viene meno, il rapporto tra scienza e società si incrina. Il conflitto può estendersi all’interno degli stessi governi, dal momento che molte delle più importanti agenzie scientifiche (in tutti i paesi: dalla NASA, all’Istituto superiore di sanità) ne fanno parte come enti controllati dalla politica. Un tale scontro è ciò che vorremmo evitare, specialmente nei momenti di crisi – pandemica, climatica.

L’influente minoranza del negazionismo
La società si fida degli scienziati sul cambiamento climatico? Secondo un sondaggio del World Economic Forum, tra il 2019 e il 2021 la percentuale della popolazione globale che dichiara di fidarsi (“molto” o “moltissimo”) di ciò che gli scienziati dicono sul clima è aumentata dal 57 al 68 per cento. Emergono differenze regionali: la percentuale più elevata si registra in Asia Meridionale (84 per cento), quelle più basse in Asia orientale (57 per cento) e Nord America (58 per cento). L’Europa Occidentale è in linea con il dato globale. La fiducia delle persone negli scienziati si riflette nella loro posizione sul cambiamento climatico. Nel 2021 il 74 per cento della popolazione, a livello globale, indicava le attività umane come causa principale del cambiamento climatico, con differenze regionali sovrapponibili a quelle emerse dal quesito precedente.

Questi numeri dicono che la maggioranza della società si fida della scienza. I negazionisti climatici sono senza dubbio pochi. Ma, sebbene minoritarie, le loro posizioni possono ancora essere influenti. Abbiamo di fronte casi emblematici. Dal 2017 al 2021 il negazionismo ha avuto come testimonial l’uomo più potente del mondo, l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Oggi, nel 2024, Trump sta di nuovo marciando verso la nomination presidenziale, incontrando scarsa resistenza e opposizione in un Partito Repubblicano ormai allineato.

Nel continente americano non c’è solo Trump: l’attuale presidente dell’Argentina, Javier Milei, ha bollato il cambiamento climatico come una «bugia socialista». In Europa forze politiche che si schierano contro le politiche ambientali hanno il vento in poppa. Il cambiamento climatico viene trascinato nel gorgo delle guerre culturali, che alimentano diatribe ideologiche sterili (si pensi alla politicizzazione di oggetti come la farina di insetti e la carne coltivata).

Il negazionismo, almeno nella versione estremista incarnata da certe figure pubbliche, trova di certo pochi sostenitori attivi ed entusiasti. Ma rappresenta un complesso di atteggiamenti, un linguaggio, quindi di fatto una cultura, con propri media e politici di riferimento. Le posizioni negazioniste godono di una certa visibilità anche su media “neutrali”, che se ne servono per inscenare dibattiti tra politici, opinionisti e veri o presunti esperti. In questo contesto, sembrano rassicuranti i dati sulla percezione pubblica del cambiamento climatico che raccontano di una società preoccupata e favorevole a politiche più coraggiose per affrontare il problema. Una società, dunque, che sembra sorda alle sirene della disinformazione. Talvolta il quadro appare però sfaccettato.

Un sondaggio del Policy Institute del King’s College di Londra, realizzato nel gennaio del 2022 in sei Paesi europei tra cui l’Italia, ha trovato che una maggioranza di persone è convinta che il cambiamento climatico sia causato “principalmente” dalle attività umane (73 per cento). Una maggioranza ne è “preoccupata” o “un po’ preoccupata” (64 per cento). Tuttavia, solo una minoranza pensa di esserne già oggi danneggiata (28 per cento). Inoltre, alla domanda «qual è la percentuale degli scienziati che ha concluso che sta avvenendo un cambiamento climatico causato dagli esseri umani?», la stima media, nel campione di persone analizzato, è il 68 per cento. Stando a questi dati, il consenso scientifico percepito nella società è più basso di quello reale, che sfiora il 100 per cento.

Perché fidarsi della scienza del clima?
La fiducia nella scienza del clima è la base per elaborare politiche sul cambiamento climatico fondate sull’evidenza e condiziona la percezione dell’opinione pubblica riguardo all’urgenza della questione. Lo affermano alcuni esperti in un articolo pubblicato sulla rivista Plos Climate,

La diffidenza nei confronti della scienza può essere alimentata dal sospetto verso l’accuratezza delle evidenze scientifiche e dei metodi con cui vengono raccolte e dalla percezione che alcune pratiche scientifiche non siano corrette e trasparenti. Per abbattere queste barriere non esistono bacchette magiche o facili scorciatoie. Si può seguire solo la lunga e tortuosa strada del dialogo. Significa che nel comunicare la scienza non basta mostrare competenza, ma anche integrità e apertura. Si deve comunicare non solo per aumentare la comprensione della scienza del clima, ma anche per stimolare l’impegno e la partecipazione.

Comunicare il cambiamento climatico è difficile perché si tratta di un tema caldo, non più solo scientifico, ma anche politico, economico e morale. Le politiche climatiche generano conflitti. Tra gli Stati e al loro interno. Tra diversi interessi, ideologie, istanze. L’umanità deve affrontare il cambiamento climatico oggi e dovrà fare i conti con i suoi effetti per lunghissimo tempo. La scienza lo ha scoperto. Ma decidere se e come affrontarlo è compito dei governi e della società nel suo insieme.

Su temi come il cambiamento climatico e la prevenzione della pandemie soltanto la scienza può fornire le conoscenze necessarie per affrontarli. Se possiamo ragionevolmente fidarci dei suoi risultati non è soltanto per i metodi che applica nelle diverse discipline, ma è anche per il processo collettivo attraverso cui vengono vagliate ipotesi, teorie, evidenze. Oggi gli scienziati discutono su molti aspetti del cambiamento climatico, lavorano per ridurre le incertezze e colmare i vuoti di conoscenze. Ma non ne mettono più in discussione la realtà, le cause e la gravità.

La scienza climatica ha ormai alle spalle più di un secolo e mezzo di storia. Dai primi calcoli sulla relazione tra la concentrazione atmosferica di CO2 e la temperatura, realizzati alla fine del XIX secolo dal chimico Svante Arrhenius, si è giunti all’elaborazione di modelli del sistema climatico basati su una matematica che richiede la potenza di calcolo di supercomputer. Dalle prime intuizioni su antiche ere glaciali, ispirate dalla semplice osservazione delle rocce, si è riusciti ad elaborare metodi per ricostruire la storia del clima della Terra fino a centinaia di milioni di anni prima della comparsa degli esseri umani. Il rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, che riporta lo stato dell’arte della scienza del cambiamento climatico, è il frutto del lavoro di centinaia di esperti e ha come riferimenti migliaia di pubblicazioni scientifiche.

“Perché fidarsi della scienza?” è una domanda razionale e legittima, se a suscitarla è l’onesta richiesta di risposte e la necessità di comprendere come la scienza funziona e quali sono i suoi limiti. Non lo è, se a muoverla è il tentativo di oscurare i fatti per difendere un’agenda ideologica.

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