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Il libro di Bassetti contiene messaggi scorretti e fuorvianti sul nuovo coronavirus

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20 novembre 2020
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Il 12 novembre 2020 è uscito Una lezione da non dimenticare (Cairo editore), il libro di Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive e tropicali dell’Ospedale San Martino di Genova. 

Da quando è scoppiata l’epidemia di coronavirus nel nostro Paese, l’infettivologo è diventato uno dei volti più noti della televisione italiana, secondo alcuni rilasciando dichiarazioni troppo ottimiste (per esempio, che non ci sarebbe stata una seconda ondata) e finendo lui stesso vittima della disinformazione online. 

Abbiamo letto il libro di Bassetti, un volume di 10 capitoli che si sviluppa lungo tre linee narrative: la prima riguarda la storia personale e professionale del medico, con aneddoti legati alla sua famiglia e al suo team ospedaliero; la seconda contiene una serie di informazioni scientifiche molto basilari, per esempio sulla natura dei coronavirus e sulle modalità di trasmissione; la terza è incentrata su come l’Ospedale San Martino, e più in generale la Liguria, ha affrontato l’emergenza coronavirus.

Il libro contiene però anche dei messaggi, che, in base alle evidenze scientifiche oggi disponibili, sono scorretti e fuorvianti. Per esempio, nel testo Bassetti ripete più volte che secondo lui il virus, dopo la scorsa primavera, è diventato più debole, e che sia sbagliato considerare “malati” i positivi al coronavirus che non presentano sintomi. 

Partiamo da questi due argomenti, per poi analizzare altri messaggi discutibili contenuti nel libro.

Non ci sono evidenze scientifiche che il virus sia più debole

Come abbiamo già spiegato in passato, i virus Rna – come lo è il Sars-CoV-2, che causa la malattia Covid-19 – utilizzano un meccanismo di replicazione che per sua natura produce molti errori, causando l’accumulo di una serie di mutazioni, ossia cambiamenti, nel suo codice genetico.

Non c’è nulla di segreto in tutto questo: esistono database pubblici che mostrano le migliaia di mutazioni, in tutte le parti del mondo, registrate per il nuovo coronavirus. Ma un virus che muta, non significa necessariamente che cambia ogni volta le proprie caratteristiche epidemiologiche principali, per esempio le sue modalità di trasmissione o i suoi effetti sul corpo umano. 

Nel Capitolo 9 del suo libro, Bassetti scrive che nel nostro Paese, dopo la prima ondata di marzo-aprile, il Sars-CoV-2 «si è depotenziato», sostenendo che «è un’intuizione che ho avuto già alla fine della primavera, all’indomani del periodo critico, e oggi ne sono ancora più convinto». Come supporta l’infettivologo questa sua «intuizione»? «Guardando ai dati», scrive.

La prova a sostegno della tesi dell’indebolimento del virus sta nel fatto che durante l’estate i casi di ricovero legati alla Covid-19 sono stati molto inferiori rispetto a quelli registrati durante il lockdown e che secondo «alcuni studi», in Italia la carica virale dei tamponi – ossia la quantità di virus rilevata dal test – fatti a «maggio, giugno e luglio» era «nettamente più bassa» di quella dei tamponi fatti a «marzo e aprile». 

Secondo Bassetti, questo potrebbe essere spiegato dal fatto che «il virus sembra mutato in meglio, sembra aver lasciato per strada un po’ di virulenza» o che i medici siano «diventati più bravi a gestirlo». Questa teoria fa l’eco di quanto ripetuto da fine maggio in poi dal primario di Anestesia dell’Ospedale San Raffaele Alberto Zangrillo, secondo cui il coronavirus era «clinicamente morto». 

Come hanno chiarito altri già a giugno, la minore carica virale trovata nei tamponi post-lockdown non è una prova scientifica che il coronavirus sia cambiato e abbia  perso aggressività. Un’altra spiegazione, per esempio, è che in estate si riuscivano a testare più casi rispetto a quelli della prima ondata, dove venivano sottoposti ai tamponi soprattutto i casi più gravi: in questo modo, tra i casi diagnosticati, si trovavano molto probabilmente casi con carica virale più debole che prima sarebbero stati ignorati. Inoltre, grazie alle misure di contenimento, il virus era molto meno diffuso tra la popolazione rispetto ai mesi precedenti. 

La prestigiosa rivista scientifica Nature aggiorna quotidianamente un elenco con gli studi più significativi pubblicati sul coronavirus: ad oggi non sembrano esserci solide evidenze scientifiche – per esempio, raccolte con studi su esseri umani, passati al vaglio della comunità scientifica – secondo cui tra le varianti in circolazioni del Sars-CoV-2 quella predominante sia più debole rispetto a quella del passato. 

Rimanendo sull’Italia, ricordiamo poi che al 19 novembre i ricoverati con sintomi legati al coronavirus hanno superato la soglia delle 33 mila unità e quello delle terapie intensive quello delle 3.700 unità (con quasi tutte le regioni oltre le soglie di allerta per l’occupazione dei posti letto). Nell’ultima settimana, la media giornaliera dei decessi da Covid-19 è stata di oltre 620 morti. Numeri che, in tutta evidenza, descrivono un virus nel pieno delle proprie forze.

Perché è fuorviante dire che gli asintomatici non sono malati

Nel Capitolo 8 – in cui Bassetti sostiene che il coronavirus da «tigre» sia diventato un «gatto selvatico» – l’infettivologo dell’Ospedale San Martino scrive che dopo la fine del lockdown «non condividevo i toni allarmanti che spesso sentivo sui media e cercavo di combatterli come potevo. Con i numeri e con la mia esperienza clinica, con ciò che vedevo ogni giorno in ospedale».

Come abbiamo visto in precedenza, l’esperienza clinica è sì fondamentale, ma senza l’evidenza scientifica raccolta in altri ambiti può risultare miope. 

Secondo Bassetti, in ogni caso, dopo la primavera uno degli errori più gravi è stato quello di considerare “malati” tutti i positivi al virus: «Bisognava assolutamente smettere di chiamare “malati di Covid-19” i soggetti asintomatici con tampone positivo. Era sbagliato dal punto di vista medico, microbiologico e infettivologico», scrive Bassetti. «Bisognava piuttosto definirli “portatori asintomatici di Sars-CoV-2”. Potevano contagiare gli altri, sempre che avessero sufficiente carica virale, ma non costituivano un’emergenza sanitaria».

L’infettivologo di Genova, a riprova di questa sua posizione, sostiene che gli asintomatici vadano messi in quarantena, «ma senza proclami né riflettori», per garantire meglio la loro «privacy».

Come abbiamo spiegato però in passato in un lungo approfondimento, dire che tutti gli asintomatici al coronavirus non sono malati è potenzialmente fuorviante e rischioso da un punto di vista della comunicazione scientifica. I motivi sono sostanzialmente due.

Da un lato, sono stati pubblicati alcuni studi che mostrano come anche coloro che non sviluppano sintomi alla Covid- 19 possono subire, in alcuni casi, danni nascosti ai polmoni e al cuore. Dall’altro lato, un paziente infetto dal Sars-CoV-2 può definirsi davvero “asintomatico” solo una volta guarito, ossia se non ha mai manifestato sintomi. Una persona priva di sintomi può sempre sviluppare la malattia ed è più contagiosa proprio poco prima che i sintomi compaiano. In generale quindi una persona positiva al Sars-CoV-2, ma priva di sintomi al momento della diagnosi, non è da considerarsi poco contagiosa né sana, ma deve osservare comunque un rigoroso isolamento (come correttamente indicato da Bassetti).

La comunicazione di Bassetti

Nel complesso, leggendo il libro dell’infettivologo si notano un costante invito alla cautela e all’importanza della comunicazione scientifica e di avere un sistema sanitario efficiente, con alcune frasi che però sembrano andare nella direzione opposta.

Per esempio, nel Capitolo 2 Bassetti scrive che «non ci è dato sapere quando e dove è nato di preciso il Sars-CoV-2»: non si può dire con «certezza» che sia nato a Wuhan in Cina, ma neppure il contrario, «nonostante ci sia chi sostiene che il virus sia “saltato fuori” da un laboratorio». Messa così, questa è però una falsa dicotomia: Bassetti – che solo verso la fine del libro scrive che il coronavirus, secondo lui, viene dai pipistrelli – omette di dire che ad oggi le evidenze scientifiche pendono tutte dalla parte dell’origine naturale del virus. 

Anche per quanto riguarda le cure per la Covid-19, in più parti del volume Bassetti elogia l’utilizzo nel suo reparto, con esiti di successo, di farmaci come l’idrossiclorochina e l’antivirale remdevisir. L’infettivologo – che si presenta come una sorta di “pioniere” in questo ambito – non dice però che al momento le evidenze scientifiche a sostegno di queste cure, per esempio quelle raccolte di recente dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono molto deboli, anzi: che la loro assunzione può essere anche rischiosa. 

Inoltre, sempre nel Capitolo 2, Bassetti accusa la Cina di aver agito in ritardo, comunicando solo un mese dopo la comparsa del nuovo virus. «Perché si è aspettato così tanto?», si chiede legittimamente l’infettivologo. «Penso ai casi di storia recente. E non mi viente in mente niente di simile». Tra gli esempi, Bassetti cita l’epidemia di Sars del febbraio 2003, dimenticandosi però che all’epoca i ritardi cinesi furono maggiori rispetto a quelli attuali (i primi casi furono registrati infatti a novembre 2002, ma tenuti all’oscuro dalle autorità cinesi). 

Per concludere, possiamo sottolineare che nel libro di Bassetti manca un vero e proprio mea culpa dell’infettivologo sui messaggi ambigui, lanciati negli scorsi mesi e ribaditi in parte nel libro.

«Quanto si tratta di salute, bisogna imparare a filtrare e tacere», scrive Bassetti nel Capitolo 9, in una sezione dedicata alla diffusione delle fake news durante la pandemia. «La comunicazione deve essere gestita in maniera rigorosa dagli addetti ai lavori». 

Peccato che, come abbiamo sottolineato nell’introduzione, secondo molti lo stesso Bassetti è accusato di aver fatto uscite e previsioni in tv che sono risultate essere sbagliate. Ricordiamo che Bassetti è un medico, e non un comunicatore scientifico: sembra una distinzione secondaria, ma in realtà questa confusione di ruoli ha comportato delle conseguenze non da poco nel veicolare messaggi su un virus, su cui non si conoscono ancora molti dettagli.

Per esempio, nel Capitolo 2 il medico scrive che quando a fine febbraio paragonava la Covid-19 a «un’aggressiva influenza», lo aveva fatto non per «sciatteria», ma per gettare «acqua sul fuoco». È vero, all’epoca si sapeva davvero molto poco della Covid-19 – anche se era già abbastanza chiaro non fosse paragonabile all’influenza – ma messaggi di questo tipo hanno contribuito a generare confusione.

In altri casi, Bassetti ha diffuso informazioni ancora più imprecise. Ancora di recente, il 19 novembre ospite a L’aria che tira su La7, l’infettivologo ha sostenuto che per settimane, durante la prima ondata, fossero stati conteggiati tra i decessi di Covid-19 anche chi moriva di altre cause, come l’infarto.

In realtà, le analisi Istat e dell’Istituto superiore di sanità (Iss) – pubblicate a luglio 2020, su un campione di oltre 5 mila cartelle cliniche di deceduti – hanno mostrato che in 9 morti su 10 positive al coronavirus la Covid-19 è stata la causa direttamente responsabile della morte; nel restante 10 per cento circa, la malattia è stata una causa «che può aver contribuito al decesso accelerando processi morbosi già in atto, aggravando l’esito di malattie preesistenti o limitando la possibilità di cure».

In conclusione

Il 12 novembre è uscito il libro Una lezione da non dimenticare dell’infettivologo Matteo Bassetti, uno dei medici diventati più famosi negli ultimi mesi per le sue numerose interviste in tv, criticate da molti per i suoi toni troppo ottimisti.

Nei dieci capitoli del volume, Bassetti ribadisce molte delle sue posizioni, due in particolare che veicolano un messaggio scorretto o potenzialmente fuorviante. Da un lato, non è vero che ci sono evidenze scientifiche solide secondo cui il virus sia diventato più debole. Dall’altro, l’infettivologo invita a smetterla di considerare “malati” gli asintomatici al coronavirus, ma come abbiamo visto questa posizione ha diversi limiti: chi non presenta sintomi evidenti può averne di occulti, e in ogni caso può trovarsi ancora nella fase pre-sintomatica (va detto che Bassetti sottolinea la necessità di isolare gli asintomatici).

In generale, nonostante l’infettivologo ripeta più volte l’importanza di una corretta comunicazione scientifica, quello che sembra mancare nel libro è una sorta di autocritica sugli errori commessi in tv negli ultimi mesi; e anzi, vengono ribaditi messaggi con scarse basi scientifiche o pericolosamente fuorvianti.

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