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Da animali per pellicce a veicolo della pandemia: ai visoni non ne va mai bene una

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26 novembre 2020
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I visoni da allevamento sembrano essere inattese vittime della pandemia da Covid-19 e da alcune settimane si sente spesso parlare di loro, prima soprattutto all’estero e ora anche in Italia. Il 21 novembre 2020 il ministro della Salute Roberto Speranza ha infatti disposto con un’ordinanza la sospensione delle attività degli allevamenti di visoni in Italia fino alla fine di febbraio 2021. Questo provvedimento è, come vedremo, in linea con quanto già fatto da altri Paesi europei.

Nel nostro Paese finora è stato identificato un solo contagio in un singolo animale il 10 agosto 2020, in un allevamento in provincia di Cremona (Lombardia), in seguito alla segnalazione di un caso di Covid-19 in un lavoratore dell’allevamento.

Il virus Sars-CoV-2, responsabile dell’attuale pandemia, ha già contagiato i visoni degli allevamenti di diversi Stati e la risposta è stata, in alcuni casi, drastica. In Danimarca, il principale produttore di pellicce di visone del mondo (qui a p.13) , è iniziato l’abbattimento dei 12 milioni di visoni da pelliccia presenti sul territorio e la chiusura degli allevamenti fino alla fine del 2021.

Un provvedimento che ha causato anche una crisi di governo e le dimissioni del ministro dell’agricoltura, il 18 novembre. La Danimarca non è però sola: già ad agosto i Paesi Bassi avevano deciso di chiudere gli allevamenti e da giugno avevano avviato degli abbattimenti: il piano è eliminare i visoni entro la fine dell’anno. In Francia è stato ordinato l’abbattimento dei mille visoni  di un allevamento contagiato da un ceppo mutante di Sars-CoV-2 e in Irlanda, che pure al 25 novembre 2020 non ha ancora riscontrato casi, si sta pensando di abbattere tutti i 120.000 animali presenti.

Ma perché ci sono delle reazioni così drastiche? Quanto sono rischiosi, secondo la scienza, gli allevamenti di visoni? Abbiamo fatto chiarezza.

I focolai negli allevamenti di visoni

Il coronavirus Sars-CoV-2 fa parte di una famiglia di virus ampiamente diffusa nei pipistrelli, da cui probabilmente è arrivato agli esseri umani. Lo stretto legame che viene a crearsi tra il virus, l’animale e l’essere umano non è una novità: ricordiamo, ad esempio, che il virus Sars-Cov – responsabile dell’epidemia di Sars tra 2002 e 2004 – infettava le civette delle palme (un piccolo mammifero asiatico), da cui poteva poi trasmettersi all’essere umano.

Altri coronavirus pericolosi per l’essere umano, come Mers-CoV, ci raggiungono e ci infettano attraverso il contatto con degli animali infetti (nel caso del Mers-Cov i dromedari). Non stupisce quindi che Sars-CoV-2 possa infettare numerosi animali. In particolare tra gli animali più suscettibili all’infezione ci sono i felini (gatti, tigri, leoni), i furetti, i criceti, i macachi e i visoni americani da allevamento, dal nome scientifico Neovison vison.

Gli allevamenti di visoni sono particolarmente adatti alla diffusione di malattie respiratorie come Sars-CoV-2 o l’influenza: non solo perché il visone è suscettibile al virus, ma anche perché gli animali sono allevati in gabbie dove restano continuamente a stretto contatto con un ampio passaggio d’aria e possono quindi scambiarsi facilmente il virus.

I primi focolai di Sars-CoV-2 tra i visoni e i lavoratori degli allevamenti sono stati segnalati il 23 e il 25 aprile 2020 in due allevamenti dei Paesi Bassi. In questa occasione, l’analisi genetica ed epidemiologica del virus in animali e soggetti infetti ha confermato la trasmissione reciproca umano-visone e visone-umano.

Il 17 giugno 2020 è stato poi identificato il primo focolaio in Danimarca e, nei mesi successivi, la situazione è decisamente peggiorata: all’8 novembre 2020 il virus era stato rintracciato in 229 allevamenti su 1.140 presenti nel Paese, con una percentuale di contagio tra i visoni, in ciascun allevamento, vicina al 100 per cento. I focolai, secondo l’Ecdc (European center for disease prevention and control), sembrano geneticamente distinti, ovvero il contagio non si è trasmesso da allevamento ad allevamento, ma probabilmente ciascun allevamento è stato contagiato da esseri umani.

Al momento Danimarca e Paesi Bassi sono i due principali Paesi per casi di Sars-CoV-2 nei visoni ma, al 25 novembre 2020, sono state riscontrate infezioni anche negli allevamenti di Italia, Spagna, Svezia, Stati Uniti, Grecia, Francia e Polonia.

Le possibili mutazioni di Sars-CoV-2

Sars-CoV-2, circolando nei visoni, sembra aver sviluppato in alcuni casi delle mutazioni, in particolare nella proteina spike. La proteina spike è particolarmente importante poiché è quella che il virus usa per agganciarsi alle cellule umane, la proteina che viene riconosciuta dagli anticorpi ed è quindi anche il bersaglio dei vaccini.

Come viene descritto nel documento dell’Ecdc sulle infezioni da Sars-CoV-2 nei visoni, tutti i 214 casi di infezione umana derivata dai visoni in Danimarca possiedono una mutazione (Y453F[1]) nella proteina spike. Nel Paese è stato anche notato che il virus responsabile di un focolaio di 12 casi collegati all’allevamento di visoni mostra una combinazione di mutazioni nella proteina spike: Y453F, I692V, M1229I e Δ69-70[1]. Questa ultima variante non sembra essersi diffusa negli esseri umani dopo il 12 settembre 2020, mentre la mutazione Y453F è ora comune nella penisola danese dello Jutland, dove è coinvolta nel 40 per cento dei casi di infezione umana. Sempre secondo l’Ecdc, la mutazione Y453F è stata riscontrata occasionalmente anche al di fuori dei focolai collegati ai visoni, ad esempio in Russia o in Sudafrica; non è chiaro se questo significhi che la mutazione a volte sorga anche nell’essere umano, o se invece vi siano casi di trasmissione dai visoni di cui non ci siamo accorti.

Che il virus muti non è anomalo né, a priori, allarmante: fa parte della naturale evoluzione di un virus durante la sua diffusione. La variabilità genetica di Sars-CoV-2 è costantemente monitorata e si stima al momento che accumuli in media circa 21 mutazioni all’anno. C’è la possibilità che una mutazione alteri la capacità del virus di diffondersi o la gravità dei sintomi, ma fortunatamente accade di rado. La maggior parte delle mutazioni note di Sars-CoV-2 sono anzi meno infettive.

Alcune mutazioni, come A222V, S477N e N439K, sono diventate comuni in Europa anche se non sembrano correlate a una maggiore infettività del virus. Un’altra mutazione, D614G, sembra invece aiutare la diffusione del virus. Ma non è nuova: è apparsa  a fine gennaio 2020 ed è diventata dominante tra marzo e aprile. Al momento, secondo il documento stilato dall’Ecdc, nessuna delle varianti del virus derivato dai visoni sembra alterare né la capacità del virus di diffondersi, né il tipo o la gravità dei sintomi negli esseri umani, anche se visto il numero relativamente piccolo di casi l’Ecdc riconosce che c’è ancora un «alto livello di incertezza».

Un altro problema che potrebbe derivare dalle mutazioni è, poi, la possibilità che riducano l’efficacia dei vaccini per gli esseri umani. Questi inducono infatti il sistema immunitario umano a reagire producendo anticorpi molto specifici contro la proteina spike del Sars-CoV-2 e anche una piccola modifica a questa proteina può ridurre la capacità degli anticorpi di riconoscerla.

Oggi sono note almeno dieci mutazioni che riducono la risposta degli anticorpi. Per lo stesso motivo queste mutazioni possono ridurre la sensibilità dei test antigenici e sierologici che sfruttano gli anticorpi. Un resoconto tecnico preliminare dello Staten Serum Institut (Istituto Sierologico di Stato) danese descrive che, in effetti, gli anticorpi derivati da ex pazienti Covid-19 sono, in alcuni casi, meno efficaci verso i ceppi di Sars-CoV-2 diffuso negli allevamenti di visoni. L’Ecdc ricorda però che sono dati preliminari e che devono quindi essere confermati.

Dobbiamo preoccuparci?

Al momento, secondo l’Ecdc, le varianti del virus Sars-CoV-2 diffuse tra i visoni non sembrano essere più pericolose delle altre: né più contagiose, né peggiori a livello di sintomi. Il rischio che visoni in fuga dagli allevamenti possano diffondere il virus in natura è considerato minimo: lasciati liberi, i visoni sono animali solitari e territoriali ed è quindi difficile che nascano focolai. I trattamenti di conciatura inattivano il virus Sars-CoV-2 e quindi le pelli di visone commerciali sono sicure.

È chiaro però che gli allevamenti di visoni costituiscono una sorgente efficace di focolai di Covid-19: ambienti in cui il virus si propaga con estrema facilità e in cui può essere facilmente passato all’essere umano. Inoltre, sempre secondo l’Ecdc, far circolare il virus tra i visoni per lunghi periodi di tempo potrebbe portare all’evoluzione di nuove varianti di Sars-CoV-2, tra le quali prima o poi potrebbero esserci mutanti più pericolosi o sfuggenti ai vaccini. Non c’è quindi per ora da temere, ma ci sono motivi per agire preventivamente.

In conclusione

Il virus Sars-CoV-2, responsabile dell’attuale pandemia da Covid-19, è capace di infettare varie specie animali, tra cui i visoni da allevamento. In numerosi Paesi europei, Danimarca e Paesi Bassi per primi, gli allevamenti di visoni da pelliccia si sono dimostrati un ambiente ottimale per la trasmissione e l’evoluzione del virus Sars-CoV-2.

È stato dimostrato che i ceppi di virus dei visoni possono causare focolai nella popolazione umana, e che in questi animali nascono mutazioni del virus che per ora non sembrano particolarmente preoccupanti, ma le cose potrebbero cambiare se il virus continuasse a propagarsi. Per questo motivo molti Paesi europei, tra cui anche l’Italia, hanno deciso di sospendere l’attività degli allevamenti.

Ricordiamo infine che la diffusione del virus tra i visoni da pelliccia non è un evento eccezionale, ma è un caso tra i tanti dello stretto rapporto generale tra agenti patogeni per l’umanità e allevamenti animali, rapporto di cui ci sono già stati numerosi esempi.

[1] I nomi delle mutazioni indicano dove si trova la mutazione  nella sequenza della proteina virale e la natura della modificazione chimica del virus, indotta dalla mutazione genetica. Y453F significa, ad esempio, letteralmente, “l’amminoacido tirosina nella posizione 453 è mutato in una fenilalanina”. Δ69-70 invece indica che i due amminoacidi nelle posizioni 69 e 70 sono stati eliminati da una mutazione.

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