Ma torniamo alla cronaca di cosa successe nel 2018. Per raggiungere gli obiettivi prefissati nella produzione della Model 3, a giugno fu costruito un gigantesco tendone bianco a fianco alla fabbrica di Fremont per avere una nuova linea di assemblaggio dell’auto. Intervistato da Quartz, giornale online statunitense di informazione economica e politica, Arthur Wheaton del programma di relazioni industriali e del lavoro della Cornell University, aveva detto, che se la struttura, progettata per essere temporanea con dentro macchinari, computer dal valore di decine di milioni e auto non finite, avesse subìto danni per il meteo o per un disastro naturale avrebbe significato un disastro per Tesla.
Oltre a ciò, il New York Times pubblicò la notizia che i dirigenti di Tesla avevano deciso che l’auto non aveva bisogno di così tante saldature a punti per tenere insieme il sottoscocca. Per questo motivo gli ingegneri avevano trovato 300 saldature “non necessarie” e riprogrammato i robot di saldatura per eliminarle dal processo di produzione. D’altronde, spiegava The Verge in quei giorni, Tesla doveva raggiungere il ritmo di 5mila Model 3 a settimana per «smettere di perdere soldi su ogni Model 3 che produce» e raggiungere «l’obiettivo finale di ottenere un margine del 25 percento su ciascuna delle berline». In quello stesso mese Tesla licenziò il 9 per cento dei suoi dipendenti, ovvero circa 3.500 dei suoi 37.500 dipendenti di allora, nell’ambito di una ristrutturazione aziendale per una ricerca del profitto. In questa operazione furono esclusi quelli addetti alla produzione della Model 3.
Ai primi di luglio Tesla comunicò alla fine di essere riuscita a produrre 5031 Model 3 nell’ultima settimana di giugno, mentre nel secondo trimestre la media a settimana era stata di 2198 auto. La produzione della berlina di Tesla aumentò di trimestre in trimestre, fino a raggiungere una certa stabilità nell’obiettivo prefissato l’anno successivo e profitti.
Riguardo a quel periodo convulso e frenetico, in un’intervista al New York Times, Musk disse, trattenendo a stento le lacrime, che c’erano stati momenti in cui non era uscito dalla fabbrica «per tre o quattro giorni» e che questo era «avvenuto a scapito della possibilità di vedere i miei figli. E di vedere gli amici». Per aiutarsi a dormire, inoltre, quando non lavorava, Musk aveva dichiarato di prendere a volte l’ambien, un sedativo utilizzato contro l’insonnia. Questo fatto aveva preoccupato alcuni membri del consiglio di amministrazione di Tesla, che avevano notato che a volte il medicinale non lo faceva addormentare, ma contribuiva invece a sue intense «sessioni notturne su Twitter». La stessa azienda, sempre a detta del suo CEO, fu molto vicino alla bancarotta. Il CEO di Tesla aggiunge anche che la produzione di massa della Model 3 «era stata fonte di stress estremo e dolore per molto tempo, da metà 2017 a metà 2019. Un inferno di produzione e logistica».
L’inferno però, in base a diverse inchieste giornalistiche, lo passarono anche e soprattutto i dipendenti Tesla. Un articolo di Julia Carrie Wong, giornalista esperta principalmente di lavoro e tecnologia, pubblicato a giugno 2018 sul Guardian, riportava che per molti lavoratori della stabilimento di Tesla di Fremont «c’era un collegamento diretto tra le aggressive proiezioni di produzione di Musk e le loro condizioni di lavoro. Per alcuni dipendenti, l’elevato stress e le lunghe ore interferivano con qualsiasi tipo di vita familiare». Branton Phillips, operaio della Tesla, aveva detto alla giornalista che tra la pressione, le lunghe ore e la difficoltà del lavoro, la fabbrica era diventata una “tempesta perfetta” per gli infortuni. «Non c’è una grande cultura della sicurezza e stanno spingendo i ragazzi molto duramente per la produzione», aveva dichiarato Phillips. Tesla aveva negato le accuse e dichiarato che la sicurezza dei propri lavoratori era tra le priorità dell’azienda.
Un’analisi di Bloomberg di luglio dello stesso anno riportava che il mese precedente Musk aveva affermato che i tassi di infortunio di Tesla nel 2018 erano stati fino a quel momento inferiori del 6 per cento rispetto alla media, anche se la produzione del Model 3 era aumentata. Tuttavia i registri di sicurezza di Tesla erano stati messi in discussione all’inizio dell’anno quando il Center for Investigative Reporting, organizzazione giornalistica investigativa statunitense, aveva segnalato che Tesla aveva classificato erroneamente gli infortuni sul lavoro come problemi medici personali e per questo l’impianto era sembrato più sicuro di quanto non lo fosse. L’azienda aveva ribattuto che il rapporto era «un attacco motivato ideologicamente da un’organizzazione estremista». Nell’inchiesta si leggeva anche che per combattere l’esaurimento, i dipendenti bevevano grandi quantità di Red Bull, a volte fornite gratuitamente da Tesla. Inoltre quattro lavoratori avevano affermato che per evitare ritardi nella produzione erano stati costretti dai loro capi a camminare sui liquami grezzi quando si erano riversati sul pavimento. L’azienda aveva risposto di non essere a conoscenza di un simile episodio.
A dicembre 2018 poi in un lungo articolo di Wired, basato sulle dichiarazioni di decine di attuali ed ex dipendenti di Tesla, si leggeva che lavorare a Tesla in quel periodo era stato un’agonia e un’estasi, passando da un estremo all’altro in un solo giorno. Venivano riportate testimonianze dei modi violenti e irrispettosi di rapportarsi da parte del capo di Tesla con i propri dipendenti. «A volte Musk licenziava le persone; altre volte le intimidiva semplicemente. Un manager aveva un nome per queste esplosioni, “i licenziamenti furiosi di Elon”, e aveva proibito ai subordinati di avvicinarsi troppo alla scrivania di Musk, per timore che un incontro fortuito, una domanda inaspettata a cui si rispondeva in modo errato, potessero mettere a repentaglio una carriera», si leggeva nell’inchiesta della rivista americana
Secondo numerose fonti Musk derideva apertamente i dipendenti durante le riunioni, insultando la loro competenza, intimidendo coloro che non erano riusciti a lavorare, declassando le persone sul posto. Alcuni manager temevano che assumendo ruoli più importanti avrebbero aumentato il rischio di licenziamento o di umiliazione pubblica. A un certo punto, secondo diversi dirigenti, lo stesso Musk era diventato tra i maggiori ostacoli al raggiungimento degli obiettivi con i suoi comportamenti instabili e le sue scelte sbagliate come quella di insistere eccessivamente sull’automazione. Al giornalista di Wired, un ex dirigente di ingegneria di Tesla confidò che il vero risultato era il fatto di essere stati in grado di costruire un’auto elettrica su larga scala «in mezzo a tutta quella follia. Pensaci: abbiamo progettato un’auto così semplice ed elegante che puoi costruirla in una tenda. Puoi costruirla quando il tuo CEO sta crollando. Puoi costruirla quando tutti si licenziano o vengono licenziati. È un vero risultato. È incredibile».
Come si vede, quindi, quello che successe in quel periodo a Tesla non corrisponde al mito evocato nel post virale condiviso in più lingue con milioni di visualizzazioni, quello cioè dell’imprenditore geniale e scapestrato che trasferendosi in fabbrica, con poche decisioni eclatanti e la sua forza di volontà e visione, trasformò la sua azienda in difficoltà in una di enorme successo a livello globale.
“Quando sei ricco nessuna donna ti sposa per amore”
C’è un altro capitolo di questa specie di fotoromanzo che circola in maniera virale su svariati social, che ha migliaia di share e commenti e diverse milioni di visualizzazioni. È un post che gioca sul luogo comune maschilista della donna avida che davanti a un uomo di successo può essere solo attratta dalla sua ricchezza e punta anche in questo caso a esaltare la lungimiranza di Musk.