A partire dall’8 gennaio 2021 ha avuto risalto la notizia, rilanciata in Italia da diverse testate e agenzie di stampa (qui, qui, qui, qui) secondo cui il vaccino Pfizer/BioNTech sarebbe capace di proteggere contro le varianti del virus Sars-CoV-2 che stanno destando preoccupazione in quanto capaci di diffondersi più rapidamente. Si tratta in particolare quella «inglese», più correttamente nota come B.1.1.7, e quella «sudafricana», più correttamente nota come 501.V2 o B.1.351.
La notizia si riferisce a un breve studio, pubblicato il 7 gennaio 2021 come preprint non sottoposto a revisione dei pari, firmato da alcuni ricercatori dell’Università del Texas e di Pfizer. Le reazioni di immunologi e virologi, molte delle quali riportate qui da Science Media Centre (agenzia britannica che raccoglie regolarmente le opinioni indipendenti di vari esperti su numerosi temi scientifici) sono diverse, ma quasi tutte meno entusiaste dei titoli di giornale. Vediamo perché.
Lo studio confronta la risposta immunitaria (misurata in vitro) al virus Sars-CoV-2 in presenza o meno della mutazione N501Y, per 20 partecipanti ai test clinici del vaccino Pfizer/BioNTech. N501Y è una mutazione presente in entrambe le varianti. Secondo gli autori dello studio, la risposta immunitaria dei vaccinati al virus con questa singola mutazione è circa identica a quella del virus senza la mutazione.
Questo però, purtroppo, non ci dice molto. Entrambe le varianti reali del virus contengono otto mutazioni contemporaneamente presenti nella proteina Spike, un numero piuttosto alto, e tutte queste, almeno in teoria, possono alterare la risposta immunitaria indotta dai vaccini. Che una singola mutazione studiata, su otto, non sembri alterare significativamente la protezione dei vaccini è una buona notizia – sarebbe ovviamente peggio il contrario – ma, come fanno notare praticamente tutti gli esperti, non dice quasi nulla sulla protezione dalle varianti vere e proprie.
Non è solo una questione teorica: ci sono dati indiretti che preoccupano gli scienziati. Uno studio della Rockefeller University (Stati Uniti), pubblicato a ottobre 2020 dalla rivista scientifica eLife, mostra che gli anticorpi dei pazienti guariti dalla Covid-19 reagiscono in modo distintamente più debole a virus che portano la mutazione E484K, mutazione presente nella variante «sudafricana» B.1.351.
In conclusione, lo studio in questione porta una buona notizia – almeno una delle mutazioni delle varianti del Sars-CoV-2 in circolazione non sembra cambiare significativamente la protezione offerta dal vaccino Pfizer/BioNTech – ma purtroppo non può assicurare che questo valga per le varianti vere e proprie. Come abbiamo discusso in questa serie di domande e risposte sul vaccino, è plausibile che il vaccino dia comunque una protezione contro le varianti del Sars-CoV-2, ma non sappiamo quanto elevata: per questo serviranno ulteriori studi.