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Pandemia: perché l’arrivo di omicron sta scompigliando le carte

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20 dicembre 2021
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Mentre i contagi continuano a salire, la variante omicron del virus Sars-CoV-2 sta iniziando a preoccupare il governo italiano: il 14 dicembre 2021 per esempio il ministero della Salute ha deciso di chiedere, per chi entra in Italia, il tampone negativo in aggiunta al green pass, prendendo di sorpresa l’Unione europea. All’estero ci sono misure e timori ancora più drastici. Dal 19 dicembre l’Olanda è in lockdown, mentre il comitato tecnico-scientifico del governo tedesco, lo stesso giorno, ha avvertito che potrebbero andare in crisi le infrastrutture essenziali come ospedali, telecomunicazioni, acqua ed elettricità.  A che cosa si deve questa preoccupazione? Su omicron si sono diffuse varie voci, come quella secondo cui sarebbe una variante più mite o addirittura “buona”, ma la verità è che la ricerca scientifica non sa ancora molto.

Quello che sappiamo, però, rende ogni giorno più chiaro che omicron rischia, anche se fosse mite, di essere la variante più pericolosa finora incontrata. Vediamo quali sono i dati e le incertezze, e perché è bene tenere alta la guardia.

Cos’è omicron e perché ci preoccupa

Omicron è stata identificata per la prima volta in Sudafrica il 23 novembre 2021. L’epicentro della variante è la regione del Gauteng (Sudafrica) ma omicron è stata identificata in numerosi Paesi del mondo, inclusa pressoché tutta l’Europa occidentale al 13 dicembre 2021.

Il 26 novembre 2021, omicron è stata classificata come variante preoccupante dall’Oms. Due le caratteristiche che hanno iniziato a preoccupare gli scienziati appena è stata identificata: la prima è l’alto numero di mutazioni, trentadue solo sulla proteina Spike. Queste rischiano di “mascherare” il virus dalle difese immunitarie indotte dai vaccini, rendendoli meno efficaci. La seconda è stata la diffusione rapidissima del virus, sconcertante in un Paese come il Sudafrica in cui gran parte della popolazione o è stata esposta al virus nelle ondate precedenti o è vaccinata.

Non è chiaro come si sia originata omicron. Un dato sorprendente è che omicron non è una “delta-plus”, ovvero non è una mutazione ulteriore della variante delta finora prevalente. Vi sono al momento due ipotesi principali. La prima è che omicron derivi da una linea di virus che ha circolato in qualche specie animale per mesi prima di ritornare all’essere umano, accumulando mutazioni (un anno fa su Facta avevamo parlato di cosa era accaduto con i visoni). Uno studio punta, ad esempio, ai topi come possibile ospite intermedio. La seconda è che si sia originata evolvendosi all’interno di un paziente immunodepresso, in cui l’infezione da Sars-CoV-2 è potuta persistere per molto tempo, permettendo al virus di evolvere. Casi simili sono già stati riscontrati in passato.

Quanto proteggono i vaccini

I pochi dati che abbiamo sui vaccini confermano i sospetti iniziali dei ricercatori: omicron riesce, in parte, a evadere la protezione. Fin dal 2 dicembre 2021 si era visto che le reinfezioni di persone già guarite dalla Covid-19 erano più che raddoppiate con omicron. Le cose però cambiano se guardiamo la protezione dall’infezione o dalla malattia grave, e se entrano in gioco le terze dosi.

I vaccini dunque non sono affatto inutili, e anzi sono più importanti che mai anche nel contrasto alla diffusione di omicron. Vediamo perché.

Il 14 dicembre 2021 il principale assicuratore sanitario del Sudafrica, Discovery Health, ha rivelato in una conferenza stampa (disponibile online con la password .=Q8e3aQ ) i dati sulla protezione del vaccino Pfizer dalla variante omicron, prendendo in esame 211.000 casi di Covid-19, di cui 78.000 dovuti a omicron. I risultati per due dosi Pfizer indicano una netta riduzione della protezione dall’infezione, che dall’80 per cento con delta cala, in media, al 33 per cento con omicron. Come per delta, la protezione diminuisce inoltre all’aumentare del tempo passato dalla seconda dose: è del 56 per cento fino a quattro settimane, ma arriva fino a solo il 25 per cento oltre i 3-4 mesi.

Cala in media anche la protezione dai ricoveri ospedalieri, ma meno: da 93 per cento con delta a 70 per cento con omicron. La riduzione percentuale può sembrare rassicurante, ma non va presa sottogamba: significa che il rischio di ricovero per i vaccinati, con omicron, è triplicato rispetto a delta. La protezione dal ricovero inoltre diminuisce con l’età: passa dal 92 per cento per la fascia da 18 a 29 anni, al 59 per cento per la fascia oltre i 70 anni.

Dal Regno Unito il 15 dicembre sono arrivati ulteriori dati che ci dicono qualcosa sulle terze dosi. Con due dosi di vaccino, sembra che la protezione dalla malattia sintomatica (non necessariamente grave) sia praticamente assente per AstraZeneca. Per Pfizer, questa va dall’88 per cento nelle prime settimane dopo la seconda dose, fino a calare al 34-37 per cento dopo 15 settimane. Le terze dosi con vaccino Pfizer però irrobustiscono la protezione per entrambi i vaccini, portandola circa allo stesso livello: al 71,4 per cento per la combinazione due dosi AstraZeneca + booster Pfizer e 75,5 per cento per tre dosi di Pfizer.

Per il futuro c’è la prospettiva di poter avere vaccini specifici per omicron, grazie alla tecnologia a mRna che rende molto facile generare vaccini aggiornati. Il 30 novembre la direttrice dell’European medical agency (Ema), Emer Cooke, ha dichiarato che questi potrebbero essere distribuiti in tre o quattro mesi.

A lato, un appunto sui test antigenici, che essendo basati su anticorpi potrebbero essere in difficoltà con le mutazioni della nuova variante, un po’ come i vaccini: il Regno Unito ha comunicato però che sembrano funzionare con omicron.

Non fidiamoci del virus “buono”

In queste settimane si è propagata la notizia che omicron sarebbe una variante “buona”, mite, che dà solo una malattia leggera e quindi non dovrebbe preoccuparci. È una notizia che è stata diffusa proprio dal Paese in cui questa variante è stata identificata, il Sudafrica. Per questo motivo, secondo alcuni, omicron sarebbe una buona occasione per giungere finalmente alla endemicità del virus Sars-CoV-2.

In realtà al momento è difficile dimostrare che omicron sia un virus meno aggressivo. I ricoveri e i decessi seguono i contagi con giorni o settimane di ritardo, quindi i dati presi in una fase di crescita iniziale dei contagi ci possono dire poco. Uno studio pubblicato il 15 dicembre dalla Hong Kong University suggerisce che omicron possa replicarsi molto più facilmente nei bronchi rispetto a delta, ma molto meno nel tessuto profondo dei polmoni. Questo potrebbe spiegare in parte la maggiore infettività e la minore patogenicità. Vorrebbe dire che c’è molto più virus nelle vie respiratorie alte, dove può essere espirato; e meno virus in profondità dove può causare seri danni. Ma si tratta di dati preliminari, da prendere con beneficio di inventario.

È vero che, almeno fino ai primi giorni di dicembre 2021, i dati sudafricani hanno mostrato una percentuale di ricoveri e casi gravi inferiore alle ondate passate, in tutte le fasce d’età sopra i 30 anni: secondo i dati di Discovery Health, solo il 5 per cento dei ricoverati è andato in terapia intensiva, contro il 18-22 per cento nelle ondate precedenti. È una buona notizia, ma c’è il forte sospetto però che questo andamento sia dovuto alla protezione fornita dai vaccini e dalla precedente esposizione di gran parte della popolazione al virus, in Sudafrica. In altre parole, se in Sudafrica vedono molti casi lievi può benissimo essere perché c’è già una certa immunità generale nella popolazione. C’è però un dato relativamente preoccupante, anche se molto preliminare: i bambini colpiti da omicron potrebbero avere un rischio di ricovero ospedaliero più alto del 20 per cento rispetto a delta. In ogni caso, la rapida crescita dei contagi sta portando a un aumento dei ricoveri e dei decessi in Sudafrica. I primi dati in Europa, ad esempio quelli inglesi, non indicano una differenza significativa nella gravità di omicron rispetto a delta, ma sono valori ancora limitati.

La biostatistica Natalie Dean della School of Public Health della Emory University ha spiegato su Twitter come omicron possa sembrare meno pericolosa anche se in realtà la sua capacità di produrre la malattia è la stessa. La chiave sta nel fatto che omicron è in grado di reinfettare più facilmente persone guarite dalla Covid-19 o vaccinate. Questo significa che la nuova variante riesce a colpire numerose persone che altrimenti prima non si sarebbero nemmeno infettate, anche se causando in gran parte sintomi lievi. A queste si aggiunge l’insieme di persone suscettibili al virus (ad esempio non vaccinate) che sarebbero state infettate comunque da omicron o un’altra variante. Il numero totale di casi gravi potrebbe essere quindi simile, solo che è “diluito” in un mare di infezioni in più che altrimenti, semplicemente, non ci sarebbero state.

Dobbiamo preoccuparci?

È certo che omicron si diffonde a una velocità molto superiore a quella di tutte le varianti precedenti. L’European center for disease prevention and control (Ecdc) ha riassunto, nel rapporto su omicron del 15 dicembre, i dati di Sudafrica, Danimarca e Regno Unito, che indicano un tempo di raddoppio dei casi dell’ordine di 2-3 giorni. Si prevede che, nell’Europa continentale, omicron sarà il ceppo dominante di Sars-CoV-2 entro i primi due mesi del 2022.

Come ha scritto il giornalista scientifico Ed Yong, i vaccini sono il miglior modo per proteggere gli individui, ma non bastano per proteggere la comunità. Una piccola percentuale di un numero molto grande è comunque un numero grande, e questo è il problema che si pone con omicron. Le proiezioni del Regno Unito del 10 dicembre indicano la possibilità concreta di numeri enormi di infezioni in pochissimo tempo, quali un milione di casi al giorno il 25 dicembre.

Questo significa una cosa importante: sapere quanto i vaccini proteggono da omicron o quanto è grave la patologia è importante per il singolo, ma a livello della popolazione cambia relativamente poco. Un virus meno letale ma più infettivo ha un impatto molto più alto di un virus più letale ma poco infettivo. È il motivo per cui coronavirus ben più letali ma assai meno infettivi di Sars-CoV-2, come Sars o Mers, non sono diventati un problema paragonabile di salute pubblica.

Le previsioni dell’Ecdc indicano chiaramente che i vaccini da soli non possono bastare come misura per mitigare l’impatto di omicron. I vaccini sono necessari, ma è altrettanto o più necessario anche limitare i contatti. Secondo l’Ecdc, infatti, accelerare le terze dosi può ridurre un poco i decessi, ma l’unico modo per ottenere una sostanziale riduzione di decessi e ricoveri è ridurre i contatti interpersonali rafforzando le restrizioni. Stesso concetto ribadito da Tedros Ghebreyesus, direttore dell’Oms, il 14 dicembre, e dal governo tedesco il 19 dicembre. Non sembra quindi corretto affermare, come fanno alcuni, che bastano le terze dosi per contenere questa nuova ondata.

Perché? È possibile che omicron prima o poi infetti gran parte della popolazione, in ogni caso. Ma quello che conta è la velocità con cui accade: per evitare che un picco di ricoveri faccia nuovamente collassare i sistemi sanitari dobbiamo tornare al mantra di quasi due anni fa, quell’ “appiattire la curva” che fu il motivo del primo lockdown.

In conclusione

Omicron sta scompigliando le carte della pandemia. Avevamo appena cominciato a gestire delta, a vedere una via d’uscita con le terze dosi, e adesso dobbiamo combattere di nuovo. Omicron è una variante rapidissima a diffondersi e capace di sfuggire in parte ai vaccini. Anche se questi scongiurano gran parte del rischio di malattia grave, specie dopo la terza dose, lo spettro di chiusure e di crisi sanitaria è di nuovo concreto. C’è molto che non sappiamo su omicron, ma quello che sappiamo non è rassicurante.

Questo scenario scoraggia, dopo due anni di pandemia sfiancante, ma non vuol dire che siamo punto a capo o che tutto sia perduto. Abbiamo gli strumenti per contenere omicron: abbiamo i vaccini, innanzitutto, ma abbiamo anche la consapevolezza che possiamo mitigare l’ondata sia pure a prezzo di qualche ulteriore sacrificio. Dobbiamo però avere la prontezza, come politica e società, di reagire immediatamente senza sottovalutare la minaccia. La matematica delle crescite esponenziali finora ha dato severe lezioni a chiunque l’abbia sottovalutata. Dopo due anni di pandemia dovremmo aver imparato che non possiamo permetterci di perdere tempo.

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