Logo
Questo articolo ha più di 12 mesi

Le parole in codice antisemite usate nella politica italiana

Da “Soros” a “globalisti”, sono ormai diverse le espressioni cifrate che permettono di fare affermazioni antisemite senza passare come tali

5 dicembre 2023
Condividi

Il 3 dicembre 2023 a Firenze si è svolto il raduno “Free Europe” (“Europa libera”), organizzato dal gruppo europarlamentare di estrema destra Identità e Democrazia (ID), che esprime 62 parlamentari – la maggior parte dei quali nelle file del Rassemblement National francese, dell’AfD tedesco e della Lega in Italia.

Uno degli interventi più attesi era quello di Matteo Salvini. Parlando alla Fortezza da Basso, il luogo che ha ospitato la manifestazione, il segretario leghista ha detto di essersi riletto «un passaggio della Bibbia, quello di Davide e Golia» trovandolo «confacente a quello che stiamo facendo oggi».

Nelle parole dell’attuale ministro delle Infrastrutture, Davide sarebbe il gruppo di ID, mentre Golia «è rappresentato da burocrati e banchieri» e soprattutto da George Soros, il finanziere ungherese-statunitense di origine ebraica che «distrugge le nostre civiltà» ma del quale «non abbiamo nessuna paura».

Non è la prima volta che Salvini cita il filantropo di religione ebraica. Anzi: è da anni che il leghista accusa Soros – tra le varie cose – di portare avanti un piano di «sostituzione etnica» della popolazione italiana; di voler trasformare l’Italia in «un campo profughi gigante perché gli piacciono gli schiavi»; e di essere «un nemico della Pace e dei Popoli, dei diritti e della cultura occidentale, della nostra sicurezza e libertà». In sostanza, secondo il leader leghista Soros sarebbe dietro a ogni nefandezza.

La strategia del dog-whistling
Questa credenza accomuna molti politici di destra, italiani e non. In un tweet del 2019, ad esempio, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha descritto Soros come un «usuraio» che finanzia il partito +Europa. Il premier ungherese Viktor Orbán, alleato di Meloni e Salvini, ha imbastito intere campagne elettorali contro George Soros. L’ex presidente statunitense Donald Trump l’ha attaccato più volte, sostenendo falsamente che i procedimenti penali contro di lui siano interamente finanziati da Soros.

La lista potrebbe andare avanti ancora a lungo: da tempo, infatti, Soros è al centro di teorie del complotto di ogni tipo, promosse principalmente da ambienti di destra. E molte di queste teorie sono antisemite: sia esplicitamente che implicitamente, visto che rimandano a radicati stereotipi antigiudaici.

Come si legge in un articolo del 2018 pubblicato sul sito della Anti-Defamation League (ADL), una ONG statunitense che si occupa di contrastare le forme di antisemitismo, «raffigurare una persona di religione ebraica come un burattinaio che manipola la politica interna di un Paese per raggiungere i suoi scopi maligni rischia di normalizzare tropi antisemiti e aiutare gli estremisti a diffondere certe idee».

Il termine «Soros» – slegato cioè dalla persona in carne ed ossa, nonché dalle reali attività di tale persona – rientra in quelli che nel mondo anglosassone vengono chiamati dog-whistle (letteralmente “fischietti per cani”).

L’espressione indica dei messaggi in codice che viaggiano su un doppio binario, politico e linguistico: innocuo e vago per chi non ne conosce il reale significato, estremamente offensivo per chi è in grado di decodificarli.

Il piano Kalergi
Facciamo qualche esempio. L’immagine dell’ebreo che trama nell’ombra per violare la sovranità di un Paese è uno dei capisaldi della propaganda antisemita, ed è stata resa popolare dal famigerato testo antigiudaico I Protocolli dei Savi di Sion, probabilmente scritto all’inizio del Novecento dall’agente Matvei Golovinski della sezione di Parigi dell’Ochrana (la polizia segreta zarista).

Questo mito è presente in due moderne teorie del complotto, molto simili tra loro: il «piano Kalergi» e la «sostituzione etnica». Il primo sostiene che sarebbe in corso un «genocidio programmato dei popoli europei» attraverso l’immigrazione di massa. L’ideatore di questo sterminio sarebbe il conte Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi, un aristocratico austro-giapponese nato nel 1894 e morto nel 1972. Considerato uno dei primi uomini politici a proporre il progetto di un’Europa unita, nei primi anni Venti del Novecento Kalergi ha pubblicato il manifesto Pan-Europa e fondato l’associazione Unione Paneuropea.

Per le sue idee era odiato dai nazisti e da Adolf Hitler in persona, che lo aveva definito «un bastardo». Negli anni Trenta Coudenhove-Kalergi divenne così un bersaglio della propaganda del Terzo Reich, e fu accusato di essere un ebreo e un massone. Nonostante abbia esercitato una certa influenza a livello teorico, ed esista ancora oggi un premio che porta il suo nome, il pensiero e il personaggio di Kalergi sono rimasti pressoché sconosciuti al grande pubblico fino ai primi anni del 2000.

A ripescarli da dimenticatoio è stato Gerd Honsik, un neonazista austriaco pluricondannato per i suoi scritti negazionisti dell’Olocausto. Nel 2005 – mentre era latitante in Spagna – ha pubblicato Adios, Europa. El Plan Kalergi, un libro che deforma e decontestualizza le frasi dell’aristocratico per svelare l’esistenza del fantomatico «genocidio». Per anni “il piano Kalergi” è rimasto confinato nei circuiti di estrema destra, salvo poi irrompere nel dibattito pubblico italiano intorno al 2015, rilanciato da politici come Matteo Salvini e dalla trasmissione televisiva La Gabbia su La7.

La grande sostituzione etnica
Un destino simile è toccato alla «sostituzione etnica». Come abbiamo scritto in questo articolo, le prime menzioni risalgono al 1900, quando lo scrittore e il politico antisemita francese Maurice Barrès parlò di una nuova popolazione che avrebbe preso il sopravvento e «rovinato la nostra patria».

La teoria tornò poi in voga negli anni Venti grazie all’eugenista statunitense Madison Grant, autore del libro “The Passing of the Great Race” (“La caduta della grande razza”), in cui sosteneva la tesi della «razza bianca» a rischio estinzione se il governo degli Stati Uniti non avesse bloccato l’immigrazione.

La consacrazione definitiva della teoria è arrivata nel 2010, con la pubblicazione del saggio “Le Grand Remplacement” (“La grande sostituzione”) dell’intellettuale francese di estrema destra Renaud Camus. A suo dire, la «sostituzione etnica» è talmente evidente da non aver nemmeno bisogno di spiegazioni o definizioni. Più che di un concetto, si tratta di un «fenomeno» per cui un «popolo che occupa lo stesso territorio da quindici o venti secoli» è rimpiazzato da «un altro popolo» nell’arco di «una o due generazioni».

In un’intervista del 2015 a Le Figaro, lo storico Nicolas Lebourg ha detto che Camus ha preso la teoria di Barrès e «l’ha svuotata dai suoi tratti antisemiti per integrarla al tema dello “scontro di civiltà”», donandole così maggiore rispettabilità e visibilità.

Proprio per questo, la «sostituzione etnica» è diventata parte integrante della propaganda politica di destra – da Matteo Salvini a Viktor Orbán, passando per Giorgia Meloni. Recentemente è stata tirata in ballo dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, sebbene nel sito del governo italiano sia classificato come «pregiudizio antisemita».

Nasi adunchi, mercanti felici e kazari
La propaganda antisemita fa leva anche su presunte caratteristiche fisiche tipiche delle persone ebraiche. Su tutte il cosiddetto «naso adunco», che è in grado di veicolare contenuti antisemiti anche quando l’intento dichiarato è caricaturale.

Questo velenoso stereotipo ha colpito la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, che non è nemmeno di religione ebraica. Lo è il padre, il docente emerito Melvin Schlein. In un’intervista a TPI del 3 febbraio 2023, la politica ha parlato di un «vero e proprio esercito di odiatori che parte del mio naso e dal mio cognome per esprimere ignobili sentimenti antisemiti».

Su Facebook, ad esempio, è circolato un fotomontaggio che riprende l’iconografia neonazista del «mercante felice»: Schlein è ritratta mentre si frega le mani e sorride con i denti aguzzi, mentre il simbolo del Partito Democratico è sovrapposto alla stella di David.

Su X, invece, diversi utenti hanno sottolineato maliziosamente la doppia cittadinanza italo-statunitense di Schlein, riecheggiando il vecchio mito antisemite della «doppia fedeltà»: gli ebrei sarebbero più fedeli all’«ebraismo internazionale» che al proprio Paese. A tal proposito, Schlein è stata raffigurata anche come una pedina manovrata dall’immancabile George Soros e della famiglia Rothschild, ossia l’incarnazione moderna dell’«ebreo internazionale» dedito a oscure cospirazioni.

E non solo: la segretaria del PD è stata descritta come una «ebrea aschenazita» o una «ebrea kazara» in una card su Facebook, poi rilanciata da alcuni esponenti locali della Lega. Come ha spiegato l’Osservatorio Antisemitismo, per «aschenaziti» si intendono gli «ebrei che, dopo la Diaspora, si stabilirono nell’Europa centrale, settentrionale e, successivamente, orientale e svilupparono lo yiddish come lingua parlata».

Negli ultimi anni, prosegue l’Osservatorio, il significato originale si è progressivamente perso per «assumere quello di ebreo cattivo e onnipotente che ordisce le sue trame da dietro le quinte dei potenti internazionali». Anche in questo caso, insomma, ci troviamo di fronte a una parola in codice che prende spunto dai Protocolli dei Savi di Sion.

Globalisti ed élite apolidi
Infine, un’altra parola in codice molto in voga è «globalismo». Donald Trump, ad esempio, l’ha menzionata diverse volte durante la sua presidenza. Nel corso di una visita in una fabbrica in Ohio nell’agosto del 2020, l’ex presidente ha detto di aver «rifiutato il globalismo per abbracciare il patriottismo».

Anche Giorgia Meloni l’ha citata più volte. In un’intervista al mensile Tempi del gennaio 2022 ha dichiarato che «il vero scontro, oggi, è tra l’opzione globalista e quella identitaria e conservatrice». La leader di Fratelli d’Italia ha poi spiegato che «il globalismo, al quale la sinistra si è prestata come esercito, è un tentativo di omologare tutto: i popoli, le tradizioni e le radici, nell’interesse delle grandi lobby».

In un’altra intervista, pubblicata l’8 novembre del 2020 sul Corriere della Sera, la presidente di Fratelli d’Italia ha dichiarato che «l’ideologia globalista, quella delle frontiere aperte, della finanza che vince sull’economia reale, del politicamente corretto è lontana dalla gente e questo pone in capo a noi il dovere di rappresentare al meglio una visione del mondo antitetica».

Come ha sottolineato il giornalista Gordon Haber in un articolo del 2018 pubblicato su The Jewish Chronicle, il termine «è spesso usato in modo neutrale o addirittura positivo» per indicare un atteggiamento favorevole nei confronti della globalizzazione e del commercio transnazionale. Ma nei circuiti neonazisti ed estremisti, continua Haber, «globalisti» è un sinonimo di «ebrei».

Secondo Translate Hate, il glossario compilato nel 2021 dalla ONG statunitense American Jewish Committee (AJC), la parola viene usata per accusare gli ebrei di voler instaurare un «governo mondiale» attraverso «il controllo della banche mondiali, degli esecutivi e dei media». Questa caratterizzazione affonda le sue radici sia nei Protocolli dei Savi di Sion che nella propaganda del Terzo Reich, e rimanda a sua volta al mito dell’ebreo apolide, ricco e sradicato, che fa parte di una élite globale e dunque tradisce il suo Paese d’origine.

Insomma: l’estrema destra – e in misura sempre più crescente anche la destra istituzionale – ricorre a queste parole cifrate per rompere il tabù dell’antisemitismo, riuscendo però a respingere al tempo stesso le accuse di antisemitismo.

LEGGI ANCHE
Potrebbero interessarti
Segnala su Whatsapp