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Anche la satira è diventata un’arma di propaganda nelle elezioni Usa

Contenuti ironici e satirici vengono spacciati online come notizie vere per attaccare la parte politica avversaria

30 ottobre 2024
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Taylor Swift ha perso milioni di fan e contratti milionari dopo il suo appoggio a Kamala Harris. Elon Musk ha donato 5 miliardi di dollari alla campagna di Donald Trump. La squadra di football americano Minnesota Vikings ha criticato duramente Tim Walz, governatore dello Stato del Minnesota e candidato vicepresidente degli Stati Uniti per i democratici. E ancora, un sostenitore di Donald Trump per bruciare la bandiera del Pride ha finito per incendiare la propria casa.

Queste sono solo alcune delle notizie false che stanno alimentando la disinformazione sulle elezioni presidenziali statunitensi che si svolgeranno il prossimo 5 novembre. Rispetto però ad altri contenuti infondati e ingannevoli, queste storie inventate hanno una particolarità in comune: hanno avuto tutte origine da siti che si dichiarano esplicitamente “satirici”.

Ad esempio, quelle su Swift sono state diffuse in origine da Esspots, un sito che si definisce specializzato nella satira e nella parodia sugli Stati Uniti. Sempre Esspots ha inventato e pubblicato la notizia (falsa) della donazione miliardaria di Musk a sostegno della corsa del candidato repubblicano. La critica (inventata) dei Minnesota Vikings a Tim Walz proviene invece da Dunning-Kruger Times, un giornale online che si autodefinisce “satirico” e che fa parte del network America’s Last Line of Defense, che riunisce altri siti simili. Infine, la storia inventata sul sostenitore trumpiano che incendia la propria casa per sbaglio è stata diffusa da The Halfway Post, un account social che dichiara apertamente di pubblicare contenuti inventati a scopo satirico. 

La viralità della “Stolen satira”

Tutti questi sono casi di “stolen satira” (in italiano, “satira rubata”): si verificano cioè quando una storia satirica viene diffusa online fuori dal suo contesto originario con il risultato di essere creduta reale. Questa definizione è stata coniata dal News Literacy Project (NLP), un’organizzazione no-profit americana apartitica impegnata nell’alfabetizzazione mediatica della società. 

Simili contenuti, tuttavia, molte volte non rientrano in quel concetto comune di satira legato indissolubilmente alla comicità. Non è detto infatti che davanti a queste notizie “satiriche”, inserite nel loro contesto originario, il lettore reagisca con una risata. Molte volte questi siti praticano infatti delle vere e proprie azioni di trollaggio che puntano a ingannare una certa comunità di persone e deridere ad esempio il loro credo politico.

Per descrivere il suo lavoro il fondatore del network America’s Last Line of Defense, Christopher Blair, ha definito la “satira” come non notizia, non opinione e non propaganda. Il suo scopo dichiarato è infatti quello di indurre gli americani conservatori a condividere notizie false, nella speranza di dimostrare quella che lui definisce la loro «stupidità». 

Blair, che si definisce un “troll liberale” e un attivista politico, ha detto che le persone credono e condividono gli articoli che lui inventa per i propri “bias di conferma”, cioè la tendenza a selezionare solo le informazioni o le prove che confermano le proprie convinzioni: «A queste persone viene detto che stanno condividendo satira, ma la verità non è più importante per loro. Tutto ciò che gli importa è aggrapparsi al loro odio e alla loro paura». Lo scorso giugno, il New York Times ha riportato che, dall’inizio del 2024, i post della pagina Facebook di America’s Last Line of Defense hanno ricevuto oltre 7 milioni di interazioni. 

Altre pagine e siti, invece, non sempre specificano in maniera chiara di pubblicare contenuti inventati con intenti “satirici”. Solo dopo che le loro notizie vengono riconosciute come false, allora ribattono che si trattava di uno “scherzo”. Per questi motivi il termine “satira” è finito per diventare anche uno strumento di difesa di chi diffonde vera e propria disinformazione.

L’ubiquità della disinformazione

In questo contesto non aiutano le dinamiche createsi con l’arrivo e l’esplosione dei social media, afferma Laura Graham, docente di comunicazioni aziendali presso la North Carolina Central University, intervistata da Forbes

«Prima dei social media, il mercato delle idee spesso assomigliava di più a un grande magazzino o a un centro commerciale», ha detto l’esperto. Oggi, invece, continua Graham, il mercato assomiglia sempre di più a un mercatino delle pulci, dove si possono trovare uno accanto all’altro storie o post del New York Times e quelli di siti “satirici” delle notizie inventate, come quello citati in precedenza. Per di più, secondo uno studio del 2020 – citato sempre dalla rivista statunitense – gli utenti sui social media tendono a prestare meno attenzione alla fonte dei contenuti che consumano, con la conseguenza che è molto più facile scambiare satira o finzione per notizie vere. 

Inoltre, un ruolo importante lo gioca anche la sfiducia sempre più alta verso i media tradizionali che, unita al già citato bias di conferma, permette alle notizie “satiriche” che confermano convinzioni personali o letture “alternative” di essere credute vere. «Spesso, il desiderio delle persone di credere che qualcosa sia vero le scoraggia dall’indagare sulle fonti di informazione. Il bias di conferma è un pregiudizio cognitivo, ovvero il modo in cui sono cablati i nostri cervelli, che ci porta a cercare e a credere più facilmente a fonti e informazioni che confermano ciò in cui crediamo già», ha detto sempre Graham a Forbes.

Questa estate si è verificata una dinamica simile con una storia inventata con protagonista il candidato vicepresidente per il partito repubblicano J.D. Vance. Poco ore dopo che Donald Trump aveva annunciato Vance come suo vice in caso di vittoria alle elezioni presidenziali, un utente su X ha scritto che il politico repubblicano nel suo libro “Hillbilly Elegy: A Memoir of a Family and Culture in Crisis” avrebbe ammesso di essersi dato del piacere sessuale tra due cuscini di un divano. Per dare maggiore autenticità al tutto, nel post venivano anche indicate le pagine del libro – «pp. 179-181» – in cui sarebbe stata raccontata questa scena. 

Ovviamente nelle pagine citate del libro di Vance non è raccontato un episodio simile. La storia infatti è completamente inventata, ma è diventata virale, probabilmente anche grazie al ridimensionamento delle politiche di moderazione di X, avvenuto dopo l’acquisto della piattaforma da parte di Elon Musk. I critici di Vance, si legge su NPR, hanno così continuato a condividere la voce infondata anche quando era diventato chiaro che non era vera. «Anche se nel profondo riconoscono che non si tratta di un fatto empirico, è piuttosto divertente parlarne», ha spiegato sempre a NPR John Wihbey, professore di innovazione e tecnologia dei media alla Northeastern University di Boston. Il falso pettegolezzo è così diventato materia per meme online e battute in programmi televisivi d’intrattenimento ed è stato citato anche da Tim Walz, il candidato democratico alla vice presidenza degli Stati Uniti durante un comizio a Philadelphia. «Non vedo l’ora di discutere con lui, cioè, se è disposto ad alzarsi dal divano e presentarsi», ha detto Walz, scherzando.

Non si tratta di un caso isolato. Casey Newton, giornalista esperto di tecnologia, nella sua newsletter Platformer, scrive che condividere disinformazione sotto forma di battute è «rapidamente diventata la definizione della campagna presidenziale in via di sviluppo tra Harris e Donald Trump. Sui social network, democratici e repubblicani stanno inondando i social media con affermazioni palesemente false l’uno sull’altro e le stanno definendo uno scherzo». Questo significa, conclude Newton, che le persone al momento si sono rassegnate all’ubiquità della disinformazione.

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