La sera del 9 ottobre l’uragano Milton è approdato sulla costa occidentale della Florida, negli Stati Uniti. Il ciclone tropicale si era originato negli ultimi giorni di settembre da un’area di bassa pressione nel Mar dei Caraibi e una volta asceso a uragano, in un Golfo del Messico sempre più caldo, è esploso passando nel giro di 48 ore dalla categoria 1 a quella 5, l’attuale massimo sulla scala degli uragani che ne misura i venti e i loro effetti distruttivi.
Appena un paio di settimane prima la Florida era stata raggiunta da un altro uragano, Helene, che dopo aver toccato la terraferma ha proseguito lungo la sua traiettoria nell’interno, dove i suoi resti hanno causato alluvioni storiche e seminato morte e devastazione sui Monti Appalachi, in particolare nello Stato della North Carolina.
Nel frattempo, la campagna elettorale per le elezioni presidenziali è entrata nel suo ultimo mese. A luglio la vicepresidente Kamala Harris ha preso il testimone di Joe Biden come candidata del Partito Democratico e il suo sfidante repubblicano è lo stesso di quattro anni fa: Donald Trump.
Politica e uragani: il collegamento viene in mente osservando questi sistemi atmosferici mentre dispiegano la loro impressionante energia nell’aria, sugli oceani e sulla terra, insieme alle conseguenze materiali del loro passaggio. Trump aveva detto che il riscaldamento globale non è così male, perché ci saranno più proprietà che potranno godere della vista sul mare, alludendo all’innalzamento del livello degli oceani. Che aggrava l’impatto di un uragano sulle aree costiere.
La provocatoria e dissennata uscita, che si prende gioco di una delle più urgenti questioni del nostro tempo, basterebbe a fotografare la scarsa considerazione del suo autore per la scienza, in questo caso per quella che ha dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che il cambiamento climatico rappresenta una seria minaccia per l’umanità.
Durante la sua presidenza, dal 2017 al 2021, Donald Trump ha dato ampia dimostrazione del proprio rapporto conflittuale con la scienza. Nulla fa presagire che un eventuale seguito di questo film sarebbe molto diverso.
Il disinformatore in capo
La parabola presidenziale di Trump è giunta alla conclusione con l’assalto senza precedenti al Campidoglio del 6 gennaio 2021, messo in atto dai suoi sostenitori, incattiviti da bufale e teorie cospirative su presunti brogli elettorali fomentate dallo stesso presidente uscente e sconfitto.
Se c’è un filo conduttore nella carriera politica del tycoon americano è proprio la disinformazione. Molti politici forzano i fatti per tirare acqua al proprio mulino, ma nel caso di Trump si tratta di qualcosa di più: un vizio patologico, una pratica della menzogna portata a una scala senza precedenti, che mette a dura prova anche le capacità di fact-checking del migliore giornalismo.
Il quotidiano Washington Post ha tenuto traccia delle affermazioni false o ingannevoli pronunciate da Trump durante i quattro anni alla Casa Bianca. Il risultato è una collezione di oltre 30mila citazioni classificate per argomento. Più di 3.500 hanno a che vedere con la pandemia e con l’ambiente.
L’infodemia, cioè l’eccesso di informazioni spesso poco affidabili, è stato un tema ricorrente durante l’emergenza sanitaria, quando il coronavirus viaggiava da un continente all’altro insieme a una massa sterminata di notizie che ne parlavano. Trump è stato uno degli esseri umani che, grazie alla costante esposizione mediatica di cui godevano i suoi interventi, ha più contribuito al caos informativo, mettendo il sigillo presidenziale perfino su terapie spacciate per miracolose.