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Da dove arriva questa storia di Trump “spia” del KGB

Tutto nasce da un post social di un ex agente segreto del Kazakistan. Ma accuse simili (senza prove) al presidente USA non sono nuove

21 marzo 2025
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In un post del 20 febbraio 2025 sul suo profilo Facebook, l’ex capo dell’agenzia di intelligence del Kazakistan, Alnur Mussayev, ha scritto di aver prestato servizio nel 1987 nella sesta direzione del KGB a Mosca, che tra le altre cose si sarebbe occupata del reclutamento di imprenditori provenienti da Paesi capitalisti. ‭«Fu in quell’anno – continua Mussayev – che la nostra amministrazione reclutò un uomo d’affari quarantenne degli Stati Uniti, Donald Trump, sotto lo pseudonimo di “Krasnov”‭».

Dopo la pubblicazione del post, la storia su Trump “Krasnov” e il KGB ha iniziato a circolare rapidamente sui social media, ottenendo migliaia di condivisioni e milioni di condivisioni. L’indiscrezione, con le cautele del caso, è stata ripresa anche da alcuni media italiani. Il Giornale, media con una linea editoriale di destra, l’ha invece subito bollata come disinformazione utilizzata per attaccare il presidente repubblicano statunitense.

Ad accrescere ulteriormente l’attenzione intorno a questa voce sono state anche le recenti decisioni politiche della Casa Bianca sul conflitto in Ucraina, tra pressioni e attacchi da parte del presidente statunitense, una volta entrato in carica, nei confronti di Kiev per avviare un processo di pace con la Russia, che nel 2022 ha invaso militarmente su larga scala il Paese. Posizioni definite un avvicinamento politico tra Washington e il Cremlino. 

Ma cosa c’è di vero nelle dichiarazioni dell’ex capo dell’agenzia di intelligence kazaka? Trump è stato realmente reclutato dal KGB?

L’accusa (senza prove) di Alnur Mussayev

Oltre a quanto scritto nel post, Alnur Mussayev non ha tuttavia fornito alcuna prova per supportare in qualche modo quanto sostenuto sul presunto reclutamento di Trump da parte del KGB negli anni ‘80.  Risultano poi esistere diverse incongruenze tra alcuni dettagli del suo racconto e altre fonti disponibili online.  

Ad esempio, Mussayev sostiene di aver lavorato nel 1987 nella sesta direzione del KGB. Secondo quanto riportato in una biografia di Alnur Mussayev, presente sul sito russo Lenta.Ru da almeno il 2009, l’ex presidente del Comitato per la sicurezza nazionale del Kazakistan aveva lavorato presso l’ufficio centrale del ministero degli Interni dell’URSS dal 1986 al 1989, per poi fare ritorno al KGB. La fonte di questa informazione viene attribuita, nelle note della biografia, a un testo del 2001 dello storico e analista politico kazako di nome Daniyar Ashimbayev

Sul suo canale Telegram, lo stesso Ashimbayev in un post pubblicato il 21 febbraio 2025, commentando le parole di Mussayev, ha detto che la sesta direzione del KGB non era in realtà coinvolta nel reclutamento di cittadini stranieri, poiché operava su altri ambiti. Questa informazione, ha verificato il sito di fact-checking statunitense Snopes, trova conferma nel libro “Encyclopedia of the Central Intelligence Agency” (CIA, l’agenzia di intelligence civile degli Stati Uniti) del giornalista W. Thomas Smith Jr. in cui si legge che la sesta direzione del KGB non era responsabile del reclutamento di imprenditori occidentali ma di «far rispettare le leggi finanziarie e commerciali, nonché di proteggere dallo spionaggio economico». Quello che si occupava di reclutare persone straniere era invece la prima divisione. 

Sei giorni dopo la pubblicazione del suo post divenuto virale, Mussayev è tornato sulla questione, sempre con un commento su Facebook, affermando di aver ricevuto molte richieste di intervista, ma che al momento non ha intenzione di parlare con la stampa. 

La storia dei rapporti diretti di Trump con il KGB non è nuova

Nel post del 20 febbraio l’ex capo dell’agenzia di intelligence del Kazakistan afferma che Trump sarebbe stato reclutato come agente del KGB, con lo pseudonimo di “Krasnov”‭, nel 1987. Questa data non sembra essere casuale e più volte è stata indicata da diverse fonti come il presunto inizio del reclutamento di Trump. 

In quell’anno l’allora uomo d’affari si era recato a per la prima volta a Mosca, insieme alla prima moglie Ivana Trump, per cercare siti alberghieri per una possibile joint venture con Intourist, l’agenzia turistica del governo sovietico, aveva ricostruito nel 2017 Voice of America (VOA), ​​servizio radiotelevisivo finanziato dal governo federale degli Stati Uniti (a cui la nuova amministrazione americano ha tagliato completamente i fondi, smantellandola di fatto), in un timeline degli interessi economici e politici di Trump nei confronti della Russia. 

Nel libro “The Art of the Deal” (in italiano, “L’arte di fare affari”) uscito proprio in quell’anno, lo stesso Trump aveva raccontato che l’idea del viaggio nacque nel 1986 durante un pranzo a New York con l’allora ambasciatore sovietico Yuri Dubinin in cui, tra le altre cose, si parlò della Trump Tower. «Una cosa tira l’altra, e ora sto parlando di costruire un grande hotel di lusso di fronte al Cremlino in partnership con il governo sovietico», scriveva il magnate statunitense. L’anno successivo, Trump volò a Mosca su invito di Dubinin per discutere del progetto dell’hotel. Il progetto, tuttavia non si realizzò, ma l’idea per Trump di fare affari in Russia non svanì.

Proprio di questo primo viaggio di Trump in Russia per possibili affari si parla nel libro inchiesta del 2017 intitolato “Collusion: Secret Meetings, Dirty Money, and How Russia Helped Donald Trump Win” (in italiano, “Collusione: incontri segreti, denaro sporco e come la Russia ha aiutato Donald Trump a vincere”), scritto da Luke Harding, corrispondente estero del Guardian, e basato su resoconti originali e sul dossier Trump-Russia compilato dall’ex agente dell’intelligence britannica Christopher Steele. Secondo quanto riportato dal giornalista, quella prima visita prima visita di Trump alla Mosca sovietica sembra, a posteriori, essere stata parte di uno schema che l’agenzia di intelligence russa, che puntava in quel periodo a reclutare con maggior successo più americani, portava avanti da tempo. 

«Quando il KGB ha aperto un fascicolo su Donald Trump? Non lo sappiamo, ma i registri del servizio di sicurezza del Blocco orientale suggeriscono che potrebbe essere stato già nel 1977. Fu l’anno in cui Trump sposò Ivana Zelnickova, una modella ventottenne della Cecoslovacchia. Zelnickova era cittadina di un Paese comunista. Era quindi di interesse sia per il servizio di intelligence ceco, lo StB ( che avrebbe poi passato informazioni alla loro controparte a Mosca, ndr) sia per l’FBI e la CIA‭», si legge nel libro. 

Harding afferma che Trump potrebbe essere stato di interesse per diverse ragioni: un primo motivo poteva essere il fatto che sua moglie provenisse dall’Europa orientale; un secondo era che «in un periodo dopo il 1984 in cui il Cremlino stava sperimentando la perestrojka, o riforma del Partito comunista, Trump aveva un profilo di spicco come imprenditore immobiliare e magnate‭». Inoltre, secondo file cechi ripresi nel libro, Ivana aveva menzionato il crescente interesse del marito per la politica e quindi Trump avrebbe potuto a un certo punto prendere in considerazione una carriera politica.

Quello che è certo è che, continua Harding, la versione del viaggio a Mosca fornita da Trump nel suo libro è incompleta. Secondo Natalia Dubinina, figlia dell’ex ambasciatore Yuri Dubinin morto nel 2013, la storia vera e propria riguardava uno sforzo più determinato da parte del governo sovietico per cercare Trump. La donna infatti disse al quotidiano russo Komsomolskaya Pravda che suo padre stava cercando di agganciare Trump. L’altra figlia di Dubinin, Irina, disse che suo padre era in missione come ambasciatore per entrare in contatto con l’élite imprenditoriale americana e comprendere il capitalismo. 

Ma l’invito di Dubinin a Trump a visitare Mosca, prosegue il giornalista del Guardian, sembra un classico esercizio per “coltivare” personalità straniere, che avrebbe avuto il pieno supporto e l’approvazione del KGB. Secondo Viktor Suvorov, ex spia militare del GRU (direzione generale per le informazioni militari russe), il KGB gestiva l’Intourist, l’agenzia di viaggi ufficiale che aveva il compito di controllare e monitorare tutti gli stranieri che entravano nell’Unione Sovietica. E secondo questa ricostruzione del libro, a essere monitorato sarebbe stato anche l’hotel e la stanza dove Trump aveva soggiornato durante la visita a Mosca. Le informazioni sarebbero state poi integrate con tutto ciò che era stato raccolto durante gli incontri con il magnate statunitense, dalle intercettazioni, dalla sua stanza d’albergo.

Il libro di Luke Harding non dimostra tuttavia che Trump sia stato reclutato dal KGB nel 1987. Quello che invece «si può dire con assoluta certezza», spiegava lo stesso giornalista in un’intervista quando era uscito il suo libro, è che c’era stato «uno sforzo molto determinato da parte dei sovietici per portare Trump a Mosca, e che inoltre la sua personalità era il tipo di cosa che stavano cercando. Cercavano narcisisti. Cercavano persone che fossero un po’ – oserei dire – corruttibili, interessate al denaro, persone che non erano necessariamente fedeli nei loro matrimoni e anche un po’ opportuniste».

Quattro anni dopo la pubblicazione del libro di Harding, nel 2021, è uscito un altro libro sui legami tra Trump e Russia intitolato “American Kompromat” (“Kompromat” è un termine russo per indicare un dossier compromettente su personaggi politici o di rilevanza pubblica), del giornalista americano Craig Unger, basato su interviste esclusive con decine di fonti di alto profilo. Il giornalista riporta la testimonianza di Yuri Shvets, ex maggiore del KGB che durante gli anni ‘80 aveva un lavoro di copertura come corrispondente a Washington per l’agenzia di stampa russa Tass. Shvets afferma che Trump è una risorsa russa coltivata dal KGB a partire dal suo primo viaggio a Mosca. Il giornalista ha tenuto a precisare a Euronews che esiste una chiara distinzione tra un agente e una risorsa: «Mentre un agente è impiegato da un’agenzia di intelligence e viene pagato, una risorsa è un amico affidabile che fa favori».

Sempre nel 2021 Shvets ha rilasciato un’intervista al Guardian in cui si legge che nel 1987, nel corso della visita dell’imprenditore americano a Mosca, agenti del KGB avrebbero lusingato Trump, suggerendogli di buttarsi in politica. L’ex agente segreto ha dichiarato che il KGB aveva raccolto molte informazioni sulla sua personalità e che quindi sapessero chi fosse personalmente: «La sensazione era che fosse estremamente vulnerabile dal punto di vista intellettuale e psicologico, nonché incline alle adulazioni». Shvets «aggiunge che hanno finto di essere incredibilmente impressionati dalla sua personalità e gli hanno detto di credere che un giorno sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti». 

Quando Trump ritornò da Mosca negli Stati Uniti, esplorò una sua possibile candidatura per la presidenza con il Partito Repubblicano e tenne anche un comizio elettorale a Portsmouth, nel New Hampshire. Il 1° settembre 1987 pagò anche un annuncio a tutta pagina sul New York Times, sul Washington Post e sul Boston Globe in cui accusava il Giappone di sfruttare gli Stati Uniti ed esprimeva scetticismo sulla partecipazione degli Stati Uniti alla NATO. Nel testo Trump spiegava che gli Stati Uniti avrebbe dovuto «smettere di pagare per difendere i Paesi che possono permettersi di difendersi da soli».

Shvets racconta che nel frattempo era tornato in Russia e pochi giorni dopo, mentre si trovava al quartier generale del primo direttorato principale del KGB a Yasenevo, ricevette un cablogramma che celebrava le azioni di Trump come una “misura attiva” (termine sovietico che indicava una gamma di operazioni segrete e negabili di influenza politica e sovversione) di successo eseguita da una nuova risorsa del KGB. Anche in questo caso, tuttavia, non esistono riscontri indipendenti che dimostrino la fondatezza di queste affermazioni.

“Non ho mai lavorato per la Russia”

Trump ha sempre negato e respinto con forza queste ricostruzioni. A metà gennaio 2019, a una precisa domanda di un giornalista su suoi legami con la Russia, l’allora presidente aveva detto che era «una vergogna» che gli venisse chiesto una simile cosa: «Non ho mai lavorato per la Russia. […] È una bufala enorme».

Il giornalista aveva sollevato la questione dopo che pochi giorni prima erano uscite due notizie sul tema. Il Washington Post aveva pubblicato la notizia che Trump, dopo un incontro avuto nel 2017 ad Amburgo con Putin, avesse fatto di tutto per nascondere agli alti funzionari dell’amministrazione statunitense i dettagli delle sue conversazioni con il presidente russo, arrivando almeno in un’occasione a impossessarsi degli appunti del suo interprete. Il New York Times aveva riferito invece che l’FBI stava indagando su Trump perché avrebbe agito come un agente russo e contro gli interessi americani dopo che il presidente statunitense aveva licenziato l’allora direttore dell’FBI James Comey.

Sempre nel 2019 è stato pubblicato il rapporto Mueller, risultato dell’indagine dell’ex procuratore speciale Robert Mueller sui tentativi russi di interferire nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 e sulle accuse di cospirazione o coordinamento tra la campagna presidenziale di Trump e il Cremlino. Nel documento si legge che il governo russo aveva effettivamente interferito nelle elezioni presidenziali del 2016 «in modo radicale e sistemico» e che erano state identificati «numerosi legami tra il governo russo e la campagna di Trump». L’indagine tuttavia «non ha stabilito che i membri della campagna Trump abbiano cospirato o si siano coordinati con il governo russo nelle sue attività di interferenza elettorale».

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