No, i tamponi rino-faringei non servono a «rompere la barriera sanguigna ematoencefalica del cervello» e provocare i sintomi della Covid-19
Mercoledì 26 agosto 2020 la redazione di Facta ha ricevuto su Facebook una segnalazione che chiedeva di verificare le informazioni contenute in un post pubblicato il 15 agosto sul social network. Il post oggetto della nostra verifica contiene l’illustrazione del metodo per eseguire un tampone rino-faringeo, una delle principali modalità di diagnosi della Covid-19, e un testo che recita: «Inserendo quelle bacchette nel naso si desidera rompere la barriera sanguigna ematoencefalica del cervello, affinché qualsiasi microbo possa penetrare attraverso quei vasi sanguigni rotti nell’organismo!!! Ecco perché molti asintomatici iniziano ad avere sintomi dopo l’esame!!!».
L’immagine è accompagnata da una un commento, scritto da chi ha pubblicato il contenuto su Facebook, in cui si legge: «Perché scavare nel naso con il tampone per cercare il virus? Non basterebbe sputarci sopra, visto che contagia anche ad un metro di distanza? Ecco perché».
Si tratta di una notizia falsa. Andiamo con ordine.
Innanzitutto, il tampone rino-faringeo consiste in un prelievo del muco che riveste le cellule superficiali della mucosa della rino-faringe (la parte superiore della faringe, posta tra la volta faringea e la faccia superiore del palato molle), mediante l’inserimento di un piccolo bastoncino ovattato nel naso.
Perché non basta «sputare» sul tampone per ottenere il campione da testare? La risposta arriva dall’Istituto Superiore di Sanità, che in un dettagliato vademecum destinato agli operatori sanitari spiega che «l’agente eziologico della malattia COVID-19 è stato ritrovato in vari distretti delle vie respiratorie superiori e inferiori come faringe, rinofaringe, espettorato e fluido bronchiale» e che «per la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 il campione di elezione è un campione delle vie respiratorie».
Come ha spiegato la Bbc il 18 luglio 2020, nonostante la Covid-19 possa essere trasmessa attraverso le goccioline di saliva nebulizzata, non è affatto detto che queste contengano «particelle virali», o comunque non in quantità sufficiente all’analisi in laboratorio. Il test per la diagnosi della Covid-19 deve fugare ogni dubbio sulla positività o meno del paziente e l’unico modo per farlo è analizzare un campione proveniente dall’interno del corpo umano.
Non esistono inoltre testimonianze che colleghino il tampone rino-faringeo al danneggiamento della barriera sanguigna ematoencefalica, un meccanismo cellulare presente nel cervello che regola selettivamente il passaggio sanguigno di sostanze chimiche, proteggendo il sistema nervoso da avvelenamenti e intossicazioni. Come spiega ancora l’Istituto Superiore di Sanità, il tampone rino-faringeo «ha un’invasività minima, originando al più un impercettibile fastidio nel punto di contatto».
Non solo il tampone non fa male, ma non arriverebbe neanche nei pressi della barriera sanguigna ematoencefalica, come spiega il dottor Morgan Katz, professore di medicina alla Johns Hopkins University, che il 7 luglio 2020 ha dichiarato ad Associated Press: «Per avvicinarsi alla barriera ematoencefalica il tampone dovrebbe passare attraverso strati di muscoli e tessuti fibrosi, ma anche attraverso la base del cranio, che è un osso spesso. Direi che non è possibile».
In conclusione, il tampone rino-faringeo è il metodo più affidabile con cui prelevare un campione di muco da sottoporre al test per la Covid-19. Si tratta di un metodo sicuro, poco doloroso e che non arriva neanche nei pressi della barriera sanguigna ematoencefalica.
Alex
#GreatAwakeing
Carmen
Non mi è piaciuto affatto. Questo dottore non capisce un Katz..