Non è ancora sicuro che assumere aspirina sia d’aiuto per la Covid-19 - Facta
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Non è ancora sicuro che assumere aspirina sia d’aiuto per la Covid-19

Il 29 ottobre 2020 la redazione di Facta ha ricevuto via WhatsApp la richiesta di verificare un articolo pubblicato da Agi il 28 ottobre 2020 dal titolo “Abbiamo i farmaci anti Covid ma pochi lo sanno”. Nel corpo dell’articolo si legge che secondo il cardiochirurgo «i pazienti [Covid n.d.r.] possono essere trattati a domicilio con aspirina, cortisone ed eparina». Il riferimento è alla notizia – che, anche in questo caso, ci è stata segnalata via WhatsApp – circolata a partire dal 28 ottobre 2020 e secondo cui «l’aspirina potrebbe ridurre il rischio dei pazienti con Covid-19 ricoverati di ammalarsi gravemente e morire.»

Le dichiarazioni di Spagnolo e la notizia segnalata non sono in pieno contrasto con le evidenze scientifiche, ma necessitano di essere prese con la dovuta cautela. Vediamo perché. 

Sui farmaci cortisonici – come, ad esempio, il desametasone, un antinfiammatorio che normalmente si usa per la terapia di allergie, malattie dermatologiche, asma e altri disturbi – è vero che le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) basandosi su due meta-analisi che raccolgono i risultati di otto test clinici randomizzati raccomandano l’uso di cortisonici in casi gravi di Covid-19. Le linee guida dell’Oms però, sulla base degli stessi dati, non raccomandano al momento l’uso domiciliare di cortisonici in casi non gravi, con alcune evidenze (anche se non molto sicure al momento, in quanto i dati sono, secondo l’Oms, «seriamente imprecisi») che possa aumentare, invece che diminuire, la mortalità. 

Per quanto riguarda l’eparina, avevamo già discusso il suo ruolo nel trattamento della Covid-19. Alcuni studi suggeriscono che l’eparina possa portare a una prognosi migliore e a una diminuzione di mortalità in alcune classi di pazienti. Si tratta però di un farmaco con costi e benefici: almeno uno studio dell’Università di Padova ha riscontrato un rischio superiore di emorragie con la somministrazione di eparina e conseguente mortalità più elevata. La società americana di ematologia ha suggerito ai pazienti Covid-19 di partecipare ai test clinici sull’uso dell’eparina invece che di usarla direttamente in circostanze in cui non ci sono ancora evidenze scientifiche della sua utilità. 

Infine, l’aspirina. I due articoli a noi segnalati si riferiscono a uno studio scientifico pubblicato sulla rivista medico-scientifica Anesthesia & Analgesia il 21 ottobre 2020 da parte di un ampio team di medici statunitensi. Lo studio raccontato nell’articolo di Agi confronta 98 pazienti a cui è stata somministrata aspirina a casa  nei 7 giorni precedenti o nelle 24 ore successive al ricovero, confrontati con 314 pazienti che non hanno assunto aspirina. Quello che è stato osservato è che i pazienti Covid-19 ricoverati che avevano assunto aspirina hanno avuto tassi inferiori di ricovero in terapia intensiva, meno necessità di ventilazione meccanica e minore mortalità. 

Si tratta di un cosiddetto studio retrospettivo: non è una sperimentazione clinica rigorosa, ma uno studio che va a vedere, a posteriori, le condizioni dei pazienti che avevano o meno assunto aspirina, e trova una correlazione con il loro stato clinico. L’ipotesi è che l’aspirina possa aiutare i pazienti affetti da Covid-19 in quanto ridurrebbe la coagulazione del sangue. L’eccessiva coagulazione sanguigna infatti è considerata sempre più un aspetto critico nella malattia Covid-19.

Tutto quello che può fare uno studio di  questo tipo è trovare delle correlazioni, ma ricordiamo che correlazione non significa che ci sia un sicuro rapporto causa-effetto. È possibile infatti che si tratti di una correlazione fittizia, dovuta a fattori indiretti. Come viene sostenuto nello studio stesso: «I limiti del nostro studio includono il suo design […] e il campione modesto di pazienti, che ne limita la generalità e l’abilità di correggere completamente per fattori confondenti […] I pazienti nel gruppo che ha assunto aspirina potrebbero aver ricevuto cure mediche diverse a causa delle loro maggiori comorbidità, portando a differenze nel trattamento. Inoltre non abbiamo registrato l’assunzione di altre medicine che sono associate con la coagulazione del sangue, come contraccettivi orali e terapie ormonali, e differenze nell’uso di questi farmaci potrebbe aver confuso i nostri risultati». 

Lo studio quindi ci mette davanti a un’ipotesi plausibile e interessante, ma tutta da verificare. Di per sé non ci sono conclusioni definitive. Lo dichiarano gli stessi autori: «Uno studio più grande sarà necessario per confermare i nostri risultati e capire quanto le relazioni da noi osservate siano causali. Fino a quando non verrà fatto un trial clinico controllato e randomizzato, è imperativo mantenere un cauto ottimismo e bilanciare i rischi noti dell’aspirina contro i suoi potenziali benefici, nei pazienti affetti da Covid-19».

In conclusione, anche se è vero che ci sono alcune evidenze scientifiche preliminari a favore dell’uso dell’aspirina e che il ruolo di cortisone ed eparina deve essere ulteriormente investigato, non è vero, ad oggi, che l’assunzione domiciliare di cortisone, eparina e aspirina sia una terapia anti-Covid-19 ufficialmente raccomandabile, in quanto non è ancora chiaro il rapporto costi-benefici di queste terapie. 

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Comments (2)

  • salvatore spagnolo

    Il cortisone, l’eparina, l’antibiotico e l’antivirale sono farmaci utilizzati nelle terapie intensive di tutto il mondo e diversi lavori scientifici prodotti da Centri Universitari Americani e inglesi hanno confermato che l’uso di questi farmaci ha abbassato la mortalità dal 27% al 6%. Il virus agisce attaccando le cellule endoteliali che rivestono le pareti dell’alveolo polmonare dei vasi sanguigni, del cuore dei reni e dell’intestino.Quando il virus raggiunge l’alveolo polmonare passa direttamente nei capillari e di replica nell’endotelio causando la distruzione della parete e l’attivazione dei processi della coagulazione con formazione di una pericolosa embolia polmonare periferica. Nei soggetti positivi al covid ed asintomatici, che sono la maggioranza, è necessaria nessuna terapia. Nei soggetti positivi al Covid ma positivi il virus sta già replicandosi e causano l’infiammazione e la formazione di microtrombi. Secondo le linee guida attuale noi dobbiamo aspettare che il paziente sviluppi segni sicuri di polmonite e poi sarà ricoverato dove daremo eparina, cortisone, antibiotico ed antivirali, sparando che il paziente guarisca. A me sembra più logico che il medico di famiglia dia questi farmaci a domicilio dove i paziente non è ancora debilitato e la carica virale è ancora modesta. Attualmente prima aspettiamo che il paziente sviluppi la polmonie e l’embolia e poi la curiamo. Per dare valore a quanto scritto invio il mio curriculum

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    • Facta

      Gentile dr. Spagnolo,
      grazie del suo commento. Ci siamo limitati a riportare le linee guida attuali e le conclusioni degli studi rilevanti, cercando di dare conto del consenso medico-scientifico sull’argomento. Il corretto luogo dove far valere le sue ragionevoli ipotesi mediche è la letteratura medica e scientifica, supportata da studi clinici. Quando le linee guida e il consenso accademico cambieranno, saremo felici di aggiornare il nostro articolo.

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