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La «tassa Covid-19» denunciata dal Codacons è un aumento dei prezzi attuato per sostenere i costi di sanificazione

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27 maggio 2020
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Mercoledì 28 maggio la redazione di Facta ha ricevuto diverse segnalazioni via WhatsApp che chiedevano di verificare la notizia, pubblicata tra il 23 e il 24 maggio da diverse testate, di una presunta «tassa Covid-19» comparsa sugli scontrini di alcuni esercizi commerciali, «soprattutto parrucchieri e centri estetici», per sostenere i costi di sanificazione ambientale previsti dal dpcm 17 maggio 2020.

Vale la pena specificare, innanzitutto, che la locuzione «tassa Covid» è frutto di una semplificazione comunicativa e che l’aumento dei prezzi non è dovuto a una tassa voluta dallo Stato. Nonostante l’utilizzo del termine «tassa» quindi non risulti corretto, la notizia è però vera.

La denuncia arriva dal Codacons, il Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, che in un comunicato stampa del 23 maggio riferisce di numerosi consumatori che «hanno denunciato al Codacons un sovraprezzo, mediamente dai 2 ai 4 euro, applicato in particolare da parrucchieri e centri estetici ai propri clienti».

Tale balzello, secondo il presidente del Codacons Carlo Rienzi, sarebbe «inserito in scontrino con la voce “Covid” e sarebbe imposto come contributo obbligatorio per sostenere le spese degli esercenti per sanificazione e messa in sicurezza dei locali».

La notizia è stata confermata anche da Marco Accornero, segretario generale dell’Unione artigiani (categoria che include anche parrucchieri ed estetisti), che il 23 maggio al Corriere della Sera ha definito l’aumento dei prezzi «un dato oggettivo» reso necessario dal costo di mascherine, sanificazioni e dispositivi di sicurezza. «Noi non incoraggiamo gli aumenti» ha concluso il rappresentante di categoria «ma non ci sentiamo di stigmatizzarli».

Dopo la denuncia del Codacons, la palla passa ora all’autorità Antitrust, che si occuperà di verificare l’effettiva diffusione del fenomeno sul territorio. Per la legge italiana, l’aumento dei prezzi di beni e servizi non rappresenta di per sé un comportamento penalmente rilevante, ma lo diventerebbe nel caso in cui tale aumento di trasformasse in una manovra speculativa (articolo 501-bis del codice penale), fattispecie che richiede però l’assenza di un valido motivo per tale decisione.

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